17.

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Heidi.

Sento il dottor Harrison parlare, e parlare, e ancora parlare. Ma non lo sto ascoltando. Odio starmene seduta su questo dannato lettino. Odio non capire cosa sta succedendo. Odio non capire perché mi sta ricoverando. Odio non capire perché non si è arrabbiato quando gli ho detto del mal di testa.
Odio tutto questo. Cecità inclusa.
Finché il mio medico non la smette di blaterare, e la mia stanza d'ospedale piomba nel silenzio più totale, interrotto solo da quattro respiri differenti. Il dottor Harrison, tutto respiri profondi e paroloni ultra scientifici. Charlotte, il respiro un po' affannato di chi fuma per far passare lo stress. Mia madre. E Zayn. I respiri affannati per le scale che devono aver fatto.
Ma un attimo. Sono insieme. Che...? Inarco un sopracciglio, e prendo un respiro profondo, finché l'odore di mia madre e quello del mio ragazzo mi arrivano alle narici, con prepotenza. Odorano entrambi di ciambelle e caffè. Ma... non capisco. «Mamma, che...?», riesco a chiedere, mentre lei si avvicina al letto e mi intrappola in un abbraccio dal quale non voglio fuggire. Perché sono a casa, al sicuro.
«Vado un attimo fuori col dottore, okay? Io e te parliamo dopo, piccola».
Riesco solo ad annuire, ma sempre più confusa. E sempre più in preda al panico. Mia madre e il mio ragazzo sono entrati insieme. Odorano entrambi di ciambelle. Insomma, potrebbe essere una coincidenza. Oppure no. Fatto sta che non ho idea di cosa stia succedendo. E non ho idea di cosa pensare.
Tiro un sospiro, non di sollievo. Provo di tutto in questo momento. Tutto, ma proprio tutto. Tranne il sollievo. Sensazione che però arriva quando sento le dita di Zayn contro le mie. Le sue labbra posate delicatamente sulla mia fronte. E il suo odore di tabacco a entrarmi dentro, a permearmi completamente.
«Ehi», mi sussurra sfiorandomi delicatamente una guancia con due dita.
Rilasso il volto, accorgendomi solo ora che sto stringendo i denti fino a digrignarli, fino quasi a farmi male. Sento mia madre parlare con dottore. Li sento uscire, seguiti dal rumore dei tacchi di Charlotte. «Come conosci mia madre?», gli chiedo in un soffio. Faccio quasi fatica a sentirmi.
«Ho scoperto poco fa che fosse tua madre», mi dice Zayn a voce appena più alta della mia. Spezza il silenzio con poche parole, e lo riempie di un eco fastidiosa, irritante. E sto per chiedergli di spiegarsi, ma mi chiude la bocca con un bacio a stampo. Veloce, bisognoso. «E' giusto che tu lo voglia sapere...».
«Allora dimmelo, Zayn», lo interrompo allungandomi verso il suo viso e sfiorandogli una guancia, dalla tempia al mento, per poi fermarmi col pollice sul suo labbro inferiore. Trema appena.
Un tremito di indecisione. Di sorpresa. Di paura. Di sconforto.
Sento il suo respiro infrangersi contro la pelle del mio viso. Prepotente. Come se sbuffasse, scocciato dalla mia richiesta. Ma so perfettamente che non è scocciato. Ha solo paura della mia reazione, come sempre.
«Era al processo per l'incidente di mia sorella».
Ogni parola è un pugno nello stomaco. Dolorosa. Ma detta con calma, e con attenzione nei miei confronti. Non vuole che stia male. Ma sto male. Soprattutto quando collego i fili di quel casino esorbitante e arrivo alla soluzione senza bisogno del fiume di parole che so che sta per dirmi.
«No...».
«Hai perso la vista nell'incidente che ha ucciso mia sorella».
Poche parole. Ma solo perché ha capito dalla mia espressione che ci ero già arrivata, senza bisogno che mi si spieghi come si fa coi bambini piccoli. Sono cieca, non stupida. Riesco a collegare due avvenimenti fino a dargli un senso logico. Ma nonostante io l'abbia già capito, non riesco a dire niente.
Niente di niente. Sono come diventata muta. Perché sentirselo dire fa più male che capirlo da sola. Perché non lo posso guardare negli occhi e dirgli quanto mi dispiace. Perché non riesco ad abbracciarlo. Non riesco a dare niente che abbia un senso. Riesco solo a pensare, facendomi probabilmente aumentare il mal di testa.
«No», ripeto facendo scorrere una lacrima lungo la guancia.
«Ma non è colpa tua, piccola». Sento a malapena le sue parole, troppo concentrata sulle sue labbra, che portano via le lacrime, nutrendosi di esse. Portando via il dolore che da sola non potrei cacciare. E ogni lacrima che mi porta via, ogni singhiozzo che soffoco contro di lui... mi sento meglio. «Heidi, calmati...», lo sento aggiungere, mentre prendo a singhiozzare più forte. Sento il dolore nella sua voce. Ma non mi importa. Vorrei solo piangere, fino ad affogare nelle mie stesse lacrime. «Mi fa male vederti così, principessa...».
«Avrei dovuto guidare io...».
Tormento il lenzuolo di cotone con le dita, cercando inutilmente di smettere di piangere. E sento lo sguardo di Zayn addosso, ma non posso fare niente per impedirgli di guardare la mia sofferenza, anche se così soffre anche lui.
Non posso farci niente.
La situazione è e resterà uno schifo.
«Non pensarci nemmeno...». Mi stringe a sé come fossi la cosa più importante del mondo. Come se per lui, fossi la cosa più importante. Come se vedermi in lacrime lo uccidesse. Come se provasse qualcosa per me. «Sistemeremo tutto, okay?». Non ho nemmeno la forza di protestare, perché quella è un'altra delle promesse che non riuscirà mai a mantenere.
Annuisco e basta, come se bastasse. Come se aggiustasse tutto quanto.
«Da quanto lo sai?».
«L'ho incontrata poco fa al bar... non sapevo che fosse tua madre, prima di oggi». Annuisco, accoccolandomi con il viso nascosto nell'incavo della sua spalla. La guancia a sfiorare la sua, ricoperta dal solito centimetro di barba. «Non te la prendere con lei perché non te l'ha detto...».
Mi irrigidisco. Come fa? Come fa a capire come mi sento?
Tradita da mia madre, che non mi ha detto niente. Perché a questo punto è evidente che sapesse che nel mio incidente fosse coinvolta un'altra auto. Lo sapeva, e non mi ha detto niente. Né quando ero in ospedale, né mai. Sapeva che un'altra famiglia aveva perso una figlia, una sorella... e io non ho potuto fare niente, perché non lo sapevo.
In più, l'avrei conosciuto prima. Zayn, intendo.
«Avrei voluto fare qualcosa, se l'avessi saputo, amore...».
Mi scappa un sorriso. Non l'ho mai chiamato così, non seriamente. E immaginare la sua espressione mi sta facendo più male del solito. Non fisicamente, no. Psicologicamente. Mi sento impotente, anche più del solito.

Blind love. [Zayn Malik]Where stories live. Discover now