20.

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Heidi.

Zayn sembra stanco. Ma non come chi non dorme la notte. Non è la stanchezza tipica dell'insonnia, quella che sento nella sua voce. È stanco. Stanco come chi lotta ma non riesce ad arrivare al proprio obiettivo. Stanco come chi viene trattato male tutta la vita. O stanco come chi perde tutto, e non riesce più a trovare la forza per andare avanti.
Stanco come se avesse combattuto contro un drago per salvare la sua principessa.
Sento la sua voce attraverso gli auricolari. E nonostante rida con me, nella mezz'ora della TAC... non so. Lo sento diverso. Come se la sua voce avesse qualcosa di diverso, che non ho mai sentito. O forse sì, ma è passato talmente tanto tempo che me ne sono quasi dimenticata. C'è qualcosa nella sua voce, che mi ricorda il giorno in cui ci siamo conosciuti.
«Attenta a dove vai, ragazzina!».
Chiudo un attimo gli occhi, e boccheggio, in cerca d'aria. C'è una sfumatura quasi impercettibile nella sua voce, che è la stessa che aveva il giorno che ci siamo conosciuti. Rabbia. Dolore. Insieme. Certo, non nella misura di quel giorno di due mesi fa, ma c'è. E proprio non capisco se sia causata da me, o da qualcos'altro. Insomma, ci siamo baciati, in quel modo poi. E ci siamo detti quelle tre parole, tra un rossore delle mie guance e l'altro.
«Amore, stai bene?», gli chiedo, interrompendolo a metà di una frase. Non riesco a farne a meno. E anche se la mia è una domanda inutile, ho bisogno della risposta. Anche se con tutta probabilità la conosco già. Solo, spero che mi dica che sì, sta bene. Che non c'è niente che non va. Però non mi arriva risposta, tanto che penso che sia colpa degli auricolari. «Zayn...».
«Non sto bene, è tanto evidente?».
Sospiro pesantemente, trattenendomi dal passarmi una mano tra i capelli. Devo rimanere immobile, a quanto ha detto il dottor Harrison. Niente movimenti inconsulti, o la TAC è da rifare. E preferirei non passare un'altra mezz'ora in questo aggeggio infernale, se possibile. Beh, menomale che non soffro di claustrofobia, o sarei già morta da un pezzo.
È evidente, sì. Evidente che non stia bene. Lo si sente dal tono di voce. Stanco, arrabbiato. Ma è come se non volesse parlarmene, per chissà quale motivo. E penso di sapere quale sia il problema. Deve essere per il fatto che Harry è in ospedale. Deve essere per Nathan, o Zayn non starebbe tanto male. Proverebbe a nasconderlo, come in fondo sta provando a fare anche con me.
Peccato, dal suo punto di vista, che io lo capisca fin troppo bene.
«Lo sai che con me puoi parlarne, vero? Sono qui apposta...», aggiungo, tentando un sorriso. Sorriso che però lui non può vedere. Solo, prego che l'abbia sentito. I sorrisi fanno rumore, a modo loro. I suoi, alle mie orecchie, lo fanno.
Appunto, lo sento sorridere, contro il microfono. E mi viene da ridere, perché, come volevasi dimostrare, riesco a capirlo come non riesco con nessun altro. Nemmeno con mia madre, o con Louis, o con Victoria. Di lui capisco qualsiasi cosa faccia, e qualsiasi espressione facciale, senza doverlo vedere.
Comincio quasi a pensare che avesse ragione. Sono una specie di supereroina.
«Nathan ha minacciato di farti del male...». È un sussurro. Ma nello stesso tempo alle mie orecchie risuona nitido, come non mai. Vorrei non aver sentito. Vorrei che non l'avesse detto. E la sua voce, distrutta da quello che ha appena detto, fa anche più male della minaccia stessa.
«Non mi farà del male, se ci sei tu», riesco a dire, altrettanto a voce bassa. Quasi come se avessi paura che lui possa dire il contrario. E ho paura, a dire il vero. Come non averne? Non conosco Nathan, ma da come me ne hanno parlato, c'è da aver paura. Ma il problema è un altro... e se provasse ad allontanare Zayn da me? Io, poi, come farei?
«Lo so piccola... ma è questo il punto, dovresti esserci arrivata, no?».
Annuisco solamente. Non credo di riuscire a parlare, con le lacrime che premono per uscire. E quasi non riesco a respirare, quando mi accorgo di quello che potrebbe davvero succedere se lui sparisse dalla mia vita. «No...». È quasi un singhiozzo, strozzato. «Non te ne vai...».
«No, ma se non riusciamo a liberarci di Nathan, sarò costretto ad andarmene... per il tuo bene», lo sento aggiungere dopo una manciata di secondi. E sorride, lo so. Appena. Ma è pur sempre un sorriso quello che sento. Sospiro, ma non di sollievo. Ho bisogno di un abbraccio, ora. «Altri due minuti e ti faccio uscire da lì... e ti porto a casa, okay?».
Sento le proteste del mio medico, in sottofondo. Ma non mi interessa. Abbasso le palpebre e mormorò un "sì", appena sussurrato, quasi convinta che Zayn non sia riuscito a sentirmi. Sarebbe la cosa più probabile, visto il mio tono di voce.
Sono stanca, a questo punto. Quasi quanto lui. Stanca, di subire, di soffrire, di non riuscire a sorridere come vorrei. Stanca di non vedere. Stanca che il mio principe stanco non riesca ad abbattere il drago. Stanca, e basta. Apparentemente per un nonnulla. Ma, semplicemente, non ne posso più. Delle bugie e del buio, soprattutto.
Stanca dei medici.
Vorrei solo stare a casa mia, dormire per il resto della vita. O magari dormire, sì. E poi svegliarmi, e vedere. Come nel sogno che faccio tutte le notti. Che al mio risveglio io possa tornare a vedere. Ma è solo un sogno, purtroppo. E io non vedrò mai quello che sogno di vedere da due mesi a questa parte.
Gli occhi di Zayn.
E quasi non mi accorgo che passano gli ultimi minuti di TAC, immersa come sono nei miei pensieri. Sento all'improvviso le mani della stessa infermiera che mi ha aiutata ad entrare lì dentro, aiutarmi ad uscire, il più delicatamente possibile. Mi tolgo gli auricolari, ed è un attimo prima che mi ritrovi - finalmente - nell'abbraccio di Zayn.
Quasi mi dimentico dove sono, presa come sono da quell'abbraccio.
Il più bell'abbraccio che mi abbiano mai dato. Il suo più bell'abbraccio.
Un abbraccio pieno. Pieno di tutto. Pieno di me, e di lui. Pieno di noi. Pieno di... amore. Sì, amore. Le mie labbra posate appena sotto il suo orecchio, e le sue, di riflesso a sfiorarmi i capelli. «Ho paura», dico, strofinando il naso contro il suo collo, mentre lui continua a stringermi a sé, come fossi la cosa più importante e preziosa che abbia mai avuto. Delicatamente, ma allo stesso tempo con decisione.
«Piccola, io non vado da nessuna parte, te lo giuro».
«E' l'ennesima promessa che non riuscirai a mantenere, lo sai?». Mi scappa una risata, nonostante tutto. Perché anche se all'inizio di tutto si era detto niente promesse impossibili, lui continua, imperterrito, a promettere cose su cose, amore su amore. Lo sento ridacchiare contro i miei capelli, ma dopo un attimo torna serio.
«Posso provarci però, no?».
Sorrido, solo questo. Ed è probabile che mi venga anche da piangere. Ma non me ne accorgo. Non faccio in tempo. Sento solo le labbra del mio ragazzo scendere dai capelli, alla fronte, al profilo del naso, e fermarsi ad un soffio dalle mie labbra, dopo aver lasciato una serie infinita di baci lungo tutto il loro percorso.
Per adesso, sembra proprio che tu ci stia riuscendo.
Un battito di ciglia, e le sue labbra sono sulle mie. Appena, solo qualche secondo, nel bacio a stampo più bello di sempre. E che sa di lui, se mi sfioro le labbra con la punta della lingua, ancora con le palpebre abbassate. Lui ridacchia, al mio gesto, decisamente più rilassato. E appena in tempo per essere interrotti dalla voce fastidiosa del dottor Harrison.
Ormai sta diventando un'abitudine, tanto quanto la mia reazione. Sbuffo, ancora tra le braccia di Zayn. Proprio non riesco a farne a meno. Né di sbuffare, né di rimanere dove sono. Sto troppo bene, qui, immersa nel suo odore.
«Pronta per la risonanza, Heidi?».
Inarco un sopracciglio, e sento Zayn irrigidirsi al mio fianco. E i risultati della TAC? Io credevo si dovessero aspettare i risultati. Che si dovessero aspettare giorni, se non settimane, prima dell'esame successivo. Poso stancamente la testa sulla spalla del ragazzo al mio fianco e sospiro, trattenendomi a malapena dallo scuotere la testa.
«Ma... i risultati della TAC?», gli chiede Zayn, leggermente acido. Come se mi avesse appena letta nel pensiero. Lo sento spostare un braccio dal mio fianco a circondarmi le spalle. Lo sento farsi anche più protettivo di quanto già non sia. Lo sento stringere la presa, come se davvero quel semplice contatto potesse proteggermi dalle parole del medico che ci sta di fronte.
Sento il medico sbuffare. Nitidamente.
E ancora una volta intuisco tutto. «Non si vede niente dalla TAC, non è vero?», gli chiedo, stringendo inconsciamente le mani a pugno. Lo sento borbottare un "sì", come avesse paura della mia reazione. E inizio a tremare, quasi senza rendermene conto. Era proprio questa la mia paura. Il sottopormi ad una procedura invasiva - per le radiazioni, non per altro - che probabile non avrebbe dato alcun risultato.
«Le risponda, dottore».
«Dalla TAC non si vede niente, Heidi, mi dispiace».

Blind love. [Zayn Malik]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora