Noah

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Scendevo di rado all'ottavo piano. In verità, non vedevo l'Ufficio delle Risorse Umane da quando avevo firmato il mio primo contratto di lavoro come giornalista per il Manhattan Magazine. Quattro anni erano trascorsi in fretta anche se la fatica di quel lavoro si faceva sentire spesso, ma amavo essere lì. Era il mio sogno fin da quando ero un ragazzino, e al giorno d'oggi non facile raggiungere i propri obbiettivi. In molti si dovevano accontentare. Io non ero come gli altri. Ero ambizioso e non volevo scendere a compromessi. Proprio quel motivo, nonostante lo stress, non avrei mai smesso di amare la redazione e il lavoro che mi ero scelto.

Arrivai quasi saltellando alla scrivania di Debra. Una volta giunto al piano, oltrepassai un piccolo corridoio per raggiungere poi una stanza ben illuminata che profumava di caffè e zucchero. Mi tolsi gli occhiali da vista, catturai dietro l'orecchio un ciuffo di capelli e mi accomodai alla poltrona che era posizionata proprio di fronte il computer di Debra.

«Hai raggiunto il tuo scopo» esordì. Da un cassetto tirò fuori il badge ufficiale del magazine per cui lavoravo e, vicino al logo, c'era una mia foto e la scritta press. «Quando l'ufficio accrediti mi ha confermato la presenza del Manhattan Magazine non volevo crederci.»

«E quel quale motivo? È un evento molto atteso» precisai con un sorriso sghembo sul viso. Poi presi il badge e lo guardai con un'aria soddisfatta. La foto non era il top ma non aveva importanza. Ero un giornalista accredito alla Settimana della Moda. Che altro potevo chiedere di più?

«Ma non ti occupi di cinema?» chiese ancora Debra. Eravamo stati compagni di corso all'università. Entrambi volevamo essere giornalisti. Il fatto era che, rispetto a me, Debra non aveva senso critico e scrivere non era proprio il suo forte. Finire alle Risorse Umane era stato un colpo basso, ma era un lavoro dignitoso che pagava affitto e bollette, quindi doveva essere felice lo stesso. Nonostante quella sconfitta e nonostante fossero passati diversi anni dalla nostra laurea, ancora non riusciva a digerire la cocente sconfitta.

«Lo spettacolo è tutto, Debra» risposi alla sua domanda. «E poi mi hanno chiesto un reportage di 4 pagine sul cartaceo e cinque colonne sul digitale, quindi... è qualcosa di serio. Meno male che non lavori alla contabilità» sorrisi. «Il mese prossimo verrò pagato profumante.»

Lei sbuffò e si inforcò gli occhiali da vista, cercando di non dare di matto e di domare la rabbia.

«Solo fortuna, Noah» aggiunse. Poi distolse lo sguardo da me e tornò a tamburellare qualcosa alla tastiera del computer.

«Non essere invidiosa, Debra» e mi alzai dalla poltrona nascondendo il badge nel taschino della camicia. «Puoi sempre provare con Pop Sugar. Lo sai che cercano dei freelance.»

«Ora ho da lavorare. Ci vediamo presto.» Mi liquidò stizzita, senza guardarmi in viso.

Le sorrisi dolcemente e tornai verso l'ascensore. L'umore di Debra non avrebbe di certo cambiato il mio. Quella che avevo era un'opportunità bellissima e poi... finalmente avevo l'occasione di rivedere Thomas. Appena avevo saputo che sarebbe venuto a New York, ero subito corso dal mio capo-redattore. Sì, al giornale non si parlava mai di moda. Eravamo un mensile che affrontava tutte le sfumature dell'arte e della cultura della Grande Mela, ma non appena avevo presentato la mia idea e il taglio dell'articolo, era partita immediatamente la domanda per richiedere un pass stampa.

Okay, era lavoro ma nessuno mi diceva che non potevo seguire un paio di sfilate anche per diletto. E se il diletto si chiamava Thomas Mann... be', dovevo cogliere al volo l'opportunità. Non lo vedevo da tempo. Dall'estate del diploma, per essere sinceri. Di lui avevo quasi perso il ricordo e, seppur riaffiorava di tanto in tanto, non mi stavo di certo struggendo per un amore di gioventù che era stata vissuto a mille all'ora. Eppure... ritrovalo su Instagram, bello come il sole, coperto di follower e di abiti firmati era stata una vera sorpresa per me. Quando lo avevo conosciuto era sempre stato una persona che voleva mettersi in mostra, ma non aveva il fisico e il giusto temperamento per farlo. Ora, invece, era così diverso che stentavo quasi a credere che T. Mann fosse proprio il ragazzo a cui avevo donato il mio primo bacio e la mia prima volta.

L'influencer che mi amavaWhere stories live. Discover now