Thomas

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Tre settimane dopo...

Quel suono non lo sopportavo più. Era diventato un vero e proprio incubo.

Diedi uno sguardo alla sveglia che era sul comodino e poi andai alla ricerca del cellulare, rincorrendo quel rumore fastidioso che, da giorni, era diventato il mio tormento. Lo trovai tra le lenzuola del letto. La batteria era quasi scarica e lo schermo si illuminava appena. Soffocai uno sbadiglio e scorsi le notifiche senza preoccuparmi troppo del contenuto. Sapevo già cosa avrei trovato. Erano trascorse svariate settimane, tre se non andavo errato, da quando l'articolo di Noah era stato pubblicato, e la scia di polemiche non si era ancora placata. Dovevo ammetterlo: era proprio bravo con le parole. Semplici ma dirette. Forse anche troppo. Dal suo ritratto sulla Settimana della Moda di New York e sul mondo degli influencer era uscita una fotografia brutale del mio lavoro e di tutto ciò che girava attorno al mondo dei social.

L'influencer che mi amava.

Alla Settimana della Moda non c'è spazio per i sentimenti.

Quell'articolo lo avevo imparato quasi a memoria e per quanto volessi evitare di leggerlo, in un modo o nell'altro, compariva sempre e comunque nella home del mio feed. Tutti ne stavano parlando. Chi in bene e chi in male. Era diventato di tendenza solo perché Noah era stato in grado di usare le parole giuste e raccontare quanto è effimero il lavoro degli influencer e quanto è crudele il mondo della moda. E più lo leggevo e più rendevo conto di essere stato un vero stronzo nei suoi riguardi.

Ancora una volta ero fuggito dalle mie responsabilità. Ancora una volta avevo chiuso la porta all'unica persona che mi aveva amato e che aveva compreso chi fosse il vero Thomas. A Noah era bastato un semplice scambio di messaggi per leggere le pieghe più profonde dell'anima. Era adirato nei miei riguardi, e aveva tutte le ragioni per esserlo. Eppure era disposto a concedermi, ancora una volta, il beneficio del dubbio. C'era proprio un passaggio di quel maledetto articolo che mi aveva fatto capire l'errore che avevo commesso.

Misi il cellulare in carica e andai verso la finestra della stanza da letto per fumare una sigaretta, sperando di mettere a tacere i pensieri e il mio senso di colpa. Erano appena le otto del mattino. Il cielo era opaco. Il sole era coperto da uno strato di nuvole bianche. L'aria era triste, pensante, calda e asfissiante. Mandai giù un sorso d'acqua e fumai con foga la mia sigaretta, avvolto dal caos di New York che si sentiva dal mio appartamento. Ero rimasto nella Grande Mela a vegetare come un povero idiota in quella giungla di lamiere solo per sfuggire da me stesso e dalle mie responsabilità. Le parole di Noah mi avevano colpito in profondità e, di conseguenza, avevo perso interesse nel lavoro. In agenzia avevo chiesto un po' di riposo, rifilando la scusa dello stress post Settimana della Moda. Mi avevano concesso un mese di pausa lontano dai social e tutto il resto senza batter ciglio. Forse, anche Roger, il mio capo, si era reso conto che ero infelice? Non tornai a San Francisco. Affittai un appartamento nell'East Side e restai lì, guardando la vita scorrere attraverso la finestra. Speravo di poter trovare una soluzione ai miei problemi, ma era tutto inutile.

Andai in cucina per un po' di caffè, disturbato ancora dal suono dei pensieri. Neanche una doccia bollente aiutò molto. Così, verso le dieci del mattino decisi di fare un giro intono all'isolato. Indossai qualcosa di comodo, occhiali da sole, capello e scesi in strada. Il cellulare continuava a vibrare in continuazione e tra le notifiche lessi anche un messaggio da parte di Sean, ma lo ignorai volutamente. Non aveva nessun senso andare a lui e fare altro sesso. Avrebbe complicato ancora di più la situazione. Tornai subito nel mio appartamento. Prima, però, mi fermai in un drugstore per acquistare un paio di birre e qualche bottiglia di vino. L'unica cosa che non mancava mai in frigo.

La giornata la trascorsi in panciolle sul divano. Arrivai a sera con lo stomaco che mi brontolava e una voglia sfrenata di fare sesso. Preparai un french toast e lo mangiai di fronte alla tv, facendo a botte con il cellulare e impedendo a me stesso di comporre il numero di Sean. Non era facile, perché al momento la voglia di affondare dentro il suo corpo stava prendendo il sopravvento. Così uscii di nuovo, cullato dai rumori e dal tepore della sera. Mi allontani dal quartiere, spingendomi fino a Central Park. Mi rinfrescai grazie alla brezza della sera e poi tornai di nuovo al mio alloggio, più stanco e spossato di prima. Dio, ma cosa diavolo dovevo fare per uscire da questa situazione?

All'ennesima notifica ricevuta, decisi di spegnere il cellulare e andai in stanza da letto. Volevo dormire, o al massimo riposare un po'. La rabbia e i pensieri, però, mi avevano letteralmente sovrastato. Ero convinto che dovevo trovare una soluzione. O altrimenti, cosa sarebbe successo quando sarei tornato alla mia attività lavorativa? Mi alzai dal letto, andai in cucina e bevvi un sorso d'acqua. Accesi il cellulare e subito andai a rileggere le parole che mi ero scambiato con Noah qualche settimana fa. Ero stato troppo freddo nei suoi riguardi. Non si meritava quel trattamento. Così, in un gesto istintivo, sbloccai il suo contatto e inviai un messaggio.

T. Mann: Sono un verme, ma questo credo che lo sai già. Mi sono comportato proprio come uno stupido adolescente. Il tuo articolo, però, mi ha fatto pensare a molte cose. Sono ancora a New York. Domani pomeriggio mi trovi alla Bethesda Terrance di Central Park. Almeno... possiamo provare a ricominciare.

Non era da me fare una cosa del genere. Ero una persona egoista a cui piaceva la condizione di solitudine in cui ero caduto, ma... si trattava di Noah. Se ero in quello stato emotivo e se ero convinto di scendere a patti con me stesso per cercare di uscire da quella dannata situazione, be', significava che lui, per me, non era solo uno sfizio come poteva essere Sean. Era... una persona importante. Sì, poteva essere la mia seconda possibilità. Poteva essere la persona con cui tornare a vivere e a sorridere. Non ero più un adolescente insicuro. Ero un uomo che voleva qualcosa di più dalla sua esistenza.

Solo quando inviai il messaggio riuscii a prendere sonno. Dormii profondamente, senza pensare alla mia condizione e senza pensare alle conseguenze delle mie scelte. 

L'influencer che mi amavaWhere stories live. Discover now