xviii. Vecchietti pro-Kira e ninfe asociali

119 15 98
                                    

Iris si svegliò come se fosse appena tornata dagli Inferi, cosa teoricamente vera. 

La sua schiena era sudata, come se il ritorno dal regno di Ade se lo fosse fatta a piedi. Ne fu schifata. Odiava davvero la sensazione di bagnato che le inondava la schiena.

Si girò verso Luke, per capire se anche lui avesse effettivamente sognato quello che aveva sognato lei, e capì di avere ragione, quando incrociò il suo sguardo.

«Beh, a quanto pare abbiamo entrambi un problema di rabbia» buttò sul ridere Iris, accennando ad un sorriso. In realtà, però, non riusciva a staccarsi dalle parole di Stige. Li aveva avvertiti poco prima che arrivassero al Monte Otri. E poi non aveva risposto alla sua domanda sui giudicatori. Quell'impresa stava diventando sempre più seria.

Luke guardò serio un punto imprecisato del sedile di fronte a lui.

«È quello che ti ha maledetta, vero?» domandò.

Lei lo guardò sorpresa e confusa. «Cosa?».

«Colui che odi fuori da ogni controllo. È la divinità che ti ha maledetta, vero?» cercò conferma Luke.

Ci aveva ragionato un po' su. Stige non si sarebbe di certo messa a dare consigli sull'odio al primo che passava. La sua teoria era che entrambi si portavano dietro un forte rancore e odio. Lui aveva quello per suo padre, Iris quelle per gli dei, ma non era abbastanza forte. Era basato sull'idea generica che la semidea si era fatta delle divinità nel corso della sua vita. Serviva una divinità specifica che avesse dato il via a quella scia, e l'unica che venne in mente a Luke era quella che aveva rovinato la vita alla sua migliore amica. Solo lei poteva essere odiata così tanto da Iris.

Lei staccò lo sguardo da lui, ripensando a quel momento. Quello che aveva sognato qualche giorno prima, sulla maledizione sua e di sua madre. 
Si morse il labbro inferiore, indecisa su cosa fare o dire.

«Non c'è bisogno che ne parli, se non-».

«No» lo interruppe lei.

Si girò a guardarlo dritto negli occhi, sentendo la determinazione salirle nel petto. Aveva promesso a Luke di raccontargli le cose quando sarebbe stata pronta e lo era. Glielo doveva.

«Io... quel giorno, quando io e mia madre siamo state maledette...» si interruppe e prese un respiro. Non poteva tirarsi indietro. Luke sapeva della sua maledizione, dirgli almeno in cosa consisteva era il minimo. «Lei era costretta... a sognare la morte dei suoi cari e la loro reazione alla sua, io... io sono destinata a soffrire». Nel dire quelle parole la ragazza sentì l'amaro in bocca. L'odio profondo che provava per quella divinità. Quel mostro.

Luke sentì la rabbia salire, come se riuscisse a percepire le emozioni dell'amica. Avrebbe voluto chiedere ad Iris chi fosse e perché le avesse maledette, ma non disse niente. Leggeva la sofferenza e la rabbia negli occhi della semidea e non voleva alimentare nessuna delle due. La ragazza si meritava un po' di pace.

Iris continuò a guardarlo, aspettandosi qualcosa. Una parola, un gesto... qualunque cosa.

E quella cosa arrivò. Rapido come suo padre, Luke l'abbracciò, circondandole la schiena con le sua calde e robuste braccia. Iris si sentì subito a casa e ricambiò il gesto.

«Io ci sono» le sussurrò all'orecchio.

Tre parole. Tre parole le erano bastate per capire che Luke non era solo un amico, ma la persona con cui parlare di tutto. La persona che sarebbe sempre stata al suo fianco.

Quell'impresa si stava dimostrando utile, a quanto pareva.

Poi, i suoi pensieri tornarono alla realtà e a quello che Luke stava probabilmente pensando: chi le avesse maledette e perché. Ma Iris non riusciva a dire il nome di colui che aveva maledetto lei e sua madre, e soprattutto non riusciva a dire il motivo. Le veniva da vomitare, se ripensava alla ragione che aveva spinto un dio a maledire una madre e sua figlia.

(1)Scelte, luke castellanWhere stories live. Discover now