Capitolo 15

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"Ti svelo un segreto: tutti i migliori sono matti."
(Alice in Wonderland)

POV: REBECCA

Qualcosa mi sta accecando. Schiudo leggermente le palpebre, un odioso raggio di sole sta filtrando dalla finestra.

Resto distesa nel letto, stiracchiandomi e sbattendo le palpebre mentre le immagini della sera precedente iniziano a farsi spazio nella mia testa annebbiata.

Come un lampo, i ricordi della serata con Riccardo mi tornano in mente. Di scatto mi metto seduta sul letto e mi guardo intorno. Allungo il braccio verso la parte opposta del materasso. É fredda. Deve essersene andato appena mi sono addormentata.

Una punta di delusione mi attraversa la bocca dello stomaco.

Cosa mi aspettavo che facesse? Che restasse mentre lo usavo come cuscino e gli sbavavo sulla spalla?

Oddio, speriamo di non averlo fatto.

Ricaccio indietro la strana sensazione di tristezza mista a imbarazzo. Mi alzo dal letto, rabbrividendo al contatto del pavimento freddo.

Poi lo vedo, proprio lì sul tavolo, un biglietto.

« Grazie a te per avermi fatto rimanere».

In un secondo vengo riportata a ieri sera. Riccardo che ordina il sushi, il film, le risate e infine io che lo ringrazio per essere rimasto.

Riccardo è stato davvero gentile con me, come se avesse capito quello di cui avevo bisogno. In qualche modo quel suo bigliettino era un modo per dirmi che non gli era dispiaciuto essermi stato vicino.

D'istinto prendo il cellulare, apro le note e digito: " le attenzioni di Riccardo". Ecco, l'ennesima cosa che mi fa sentire in colpa.  Da quando sono arrivata a Bologna, mi sembra di aver dimenticato che quello che è capitato a Lisa è successo a causa mia.

Ho quasi distrutto anche la mia famiglia, perché in quel momento non ho pensato a loro, ma solo a me stessa e al mio dolore.

Adesso, arrivo qui, è passo il tempo a ballare con Emma e le cheerleader come se fossimo amiche o a farmi confortare da Riccardo, accettando tutte le sue premure.

Merito qualcuno che si prenda cura di me? No.

Senza nemmeno accorgermene sto camminando a passo spedito. Ho la mente confusa che non ho consapevolezza di dove sto andando finché non mi ci trovo davanti. L'ufficio del Dottor X.

Busso, il cuore a mille e il fiatone. « Avanti» la sua voce mi giunge da dietro la porta. Prendo un respiro ed entro. Il mio psicologo è in piedi davanti alla sua piccola libreria, intendo a cercare qualcosa.

Si volta verso di me e i suoi occhi si spalancano. La sua sorpresa dura solo un attimo, il suo sguardo saetta verso l'orologio a muro che indica le sette e mezza del mattino.

« Buongiorno Rebecca», la voce profonda e calma, «Non avevamo un appuntamento, giusto? ». Il suo modo di guardarmi si addolcisce, io nego con la testa, ancora incapace di parlare.

«Ma deduco che tu abbia bisogno di parlarmi, giusto?» . Annuisco più volte, mentre sulle sue labbra si forma un sorriso incoraggiante.

Viene verso di me, abbassando il capo per fare in modo che lo guardi in viso.  Contatto visivo, deve essere una di quelle cose da psicologi. «Facciamo così. Non ho appuntamenti al momento, ma stavo andando a prendere un caffè. Tu accomodati dove vuoi».

Mi guardo intorno, notando quante sedute abbia il suo ufficio. Un divano, due poltrone, davanti ad una scrivania c'è anche la sedia. Perché avere così tanti posti per sedersi?

Oltre le nuvoleWhere stories live. Discover now