PROLOGO

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Da qualche parte, qualcosa di incredibile attende di essere conosciuto.

Carl Sagan



Il lume a olio sospeso a una catenella d'oro pendeva dalla chiave di volta, facendo risplendere i colorati vetri traslucidi che adornavano la cappella come un preziosissimo sacro reliquario. Innumerevoli occhi fermi lo osservavano, volti arcani lo giudicavano. Santi, principi, re ed eroi che erano più leggende che uomini reali. Cosa pensavano di lui, coloro che erano venuti prima del suo tempo? Era un sovrano degno del suo titolo, oppure no? Era capace di saper distinguere il bene dal male, il bello dal brutto? Avrebbe udito i cori angelici nella beatitudine del Paradiso o la sua anima patito il fuoco e il gelo dell'Inferno? L'uomo si soffermò un attimo su di loro e mentre seguitavano a scrutarlo in muto giudizio, Karl socchiuse gli occhi, immergendosi nella preghiera.

Il servo venne da lui nel cuore della notte, scusandosi e rompendo quel momento di solitudine. Non gli fu più possibile pregare dopo.

«Cosa significa tornato?» Karl arrivò sconcertato alla fine del messaggio che il servitore gli aveva porto.

«Uno dei suoi figli è venuto meno alla sua promessa ed è tornato a Parigi» Karl dovette quasi smettere di respirare per udire la flebile voce del servo, quasi un sussurro. «Ora per ripagare al torto subito, Jean si è riconsegnato al re d'Inghilterra.»

Karl era basito. Un anno di trattative tra il Plantageneto e suo cognato per arrivare a un accordo, anche seppur umiliante per Jean, e ora che era tornato a calcare la terra del suo regno devastato, si riconsegnava nelle mani del nemico? Assurdo, pensò riconsegnando il cartiglio violato nelle mani del servo mentre i suoi pensieri andarono ad altro.

«E ora chi tiene le redini del regno?» chiese con inquietudine, anche se era una domanda alla quale Karl si sarebbe dato risposta anche da solo.

«Ha nominato il Delfino quale luogotenente» disse l'uomo poi, congedato fece un profondo inchino, lasciando l'imperatore nella penombra silenziosa della cappella e nello sconforto più completo. Chiuse di nuovo gli occhi, mormorando una preghiera per ricacciare nell'oblio della sua mente le angosce risvegliate in quella gelida notte di gennaio, ma nemmeno il lume a olio che bruciava sempre, le candele e le sacre reliquie riuscirono a tenere lontano gli spettri del dubbio dalla sua testa, dal suo cuore. Fuori, oltre le pareti il vento ululava sopra le foreste della Boemia mentre cercava di trovare conforto, prudenza e il giusto consiglio invano.

Non poteva dare sostegno a Jean, anche se tuttavia una simile mossa avrebbe portato Karl ad assumersi un enorme peso sulla coscienza. I loro padri erano stati inseparabili compagni d'arme. Jan aveva mandato suo figlio Karl a Parigi, dove era vissuto e cresciuto ma a differenza sua era tornato in Boemia, a Praga, e dopo la sua morte l'aveva elevata a capitale dell'Impero, Praga caput regni. Jan il Cieco, chiamato così per la sua precoce cecità, non aveva mai dimostrato amore per la sua terra e la sua gente ma in molti lo avevano pianto, e quanto miserabile e codardo si sentiva Karl. Nel 1346, quando suo padre aveva sentito che l'armata del re d'Inghilterra approdata sulle coste normanne stava marciando verso la Piccardia seminando distruzione per conquistare Calais, era sceso in campo a sostenere Philippe VI, nonostante l'età avanzata e la sua cecità che gli impediva non poco di distinguere un amico dal nemico. Karl lo aveva accompagnato e aveva combattuto al suo fianco, a Crécy, e quel maledetto 26 agosto 1346 suo padre aveva perso la vita lanciandosi contro gli inglesi legato alla propria sella, guadagnandosi tuttavia un'aura eterna di onore e leggenda tanto che Edward III e il figlio, il giovanissimo principe di Galles, riconoscendo l'uomo dalle proprie insegne schiacciato dal proprio cavallo, ordinarono che fosse portato nel padiglione reale per essere assistito come si confaceva al suo rango, anche se nulla di ciò servì. Era così morto il fiore della cavalleria, come si decantava in ogni dove. E Karl, invece? Lui si era salvato la pelle da codardo, ripiegando a Praga, odiato dai nuovi sudditi, con un regno abbandonato a sé stesso. Prima di questa tragedia, il re di Francia e suo padre Jan avevano suggellato un'alleanza tra i Valois e Premyslidi unendo a nozze sua sorella, la principessa Jitka, al duca di Normandia, ora Jean II di Francia e da quell'unione erano nati splendidi nipoti, principi e principesse di Francia, tra i quali Charles nel Natale del 1356 gli aveva reso omaggio a Metz e lo aveva insignito del titolo di principe dell'Impero. Ma Karl non poteva aiutare entrambi. Il bene comune era forse più importante degli affetti, della famiglia? Il suo vecchio amico era stato umiliato, reso uno zimbello per la seconda volta, ma Karl poteva rinunciare al bene più importante che ci fosse al mondo, riportare la Chiesa dal suo solo e unico sposo? Che misera figura avrebbe mai fatto, lui che aveva avuto il privilegio di portare le armi di Boemia con l'aquila bicipite dell'Impero di Carlo Magno?

LUCE DI RAME. La Guerra È DichiarataWhere stories live. Discover now