IV. (prima parte)

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Non sentì la cera colargli sulla mano.

Tra pochi giorni la Grande Salle sarebbe stata immersa in una propulsione di drappi d'oro e blu, fiori e candelieri, animata dai brindisi, voci con accenti diversi, musiche e balli in suo onore.

Ma ora, nel cuore della notte, quel luogo apparteneva al silenzio e all'oscurità. Solo la luce argentea della luna e la fiammella della candela che Charles reggeva nella mano rischiaravano le volte a ogiva sopra la sua testa. A ogni passo la luce strappava dall'ombra nuove sagome. Si sentì osservato da mille occhi gelidi.

Sopra i capitelli dei pilastri si stagliavano, una di fianco all'altra, le quarantacinque statue dei re di Francia che erano succeduti al leggendario re Faramond. L'eco dei suoi passi risuonò nella sala, come quello di un fantasma che silenzioso si aggirava nella notte, forse anche di giorno.

Davanti a una di quelle statue austere si arrestò.

Lo sguardo di suo padre infondeva fierezza, come la corona gigliata e la spada in pugno che aveva brandito a Poitiers e in altre battaglie. Tutte quelle statue di re coraggiosi e intrepidi erano nei tratti forti e audaci. Quel giovane dal volto pallido e il corpo sproporzionato, che ora contemplava le effigi dei suoi antenati, si chiese come sarebbe apparsa la propria fra di esse. Sulla parete opposta della lunga navata, erano invece allineate le statue delle loro consorti e regine. Di fronte all'effige di Jean II era stata posta quella di Jeanne I, contessa d'Alvernia e Boulogne, la matrigna di Charles. Il duca di Normandia aveva dodici anni quando la peste che aveva dilagato nell'Occidente si era portata via la sua vera madre, Bonne. Morta da principessa e Delfina di Francia, della sua personalità Bonne aveva lasciato poco nella memoria della storia del regno.

Giunse alla corte di Francia a diciassette anni, accolta da facce mai viste prima d'ora, senza nemmeno conoscere una parola di francese. Jitka – che alla corte di Francia veniva chiamata Bonne - discendeva dall'antica e nobile Casa dei Premyslidi, figlia del re di Boemia Jan il Cieco caduto a Crécy ed Eliska Premyslovna, sorella del re di Boemia e Imperatore del Sacro Romano Impero Karl IV.

I princes des fleurs de lis di lei avevano conservato con malinconia l'immagine di una madre buona e gentile, amante della musica e protettrice dell'ars nova. Quando la corte si trasferiva a Vincennes, nelle gelide giornate d'inverno Jitka si faceva coccolare dal fuoco di un camino ascoltando musica e le poesie recitate da Guillaume de Machaut, mentre i suoi quattro figli seguivano il re e la sua compagnia a caccia nei boschi con i loro levrieri, fino a farsi intorpidire mani e piedi.

Di quel paradiso perduto Charles ricordava quando tornava al tepore del castello e Bonne lo trascinava con la premura di una madre nei confronti del suo primo figlio davanti al camino all'interno del quale un ceppo crepitava fra le fiamme rosse. Sua madre a quel punto congedava il poeta, si sedeva nel vano della grande finestra che illuminava la stanza e Charles si accostava al suo fianco. Mentre fuori, oltre i vetri piombati Vincennes spariva sotto un candido manto di neve, quella che un tempo si era fatta chiamare Jikta gli parlava della Boemia e della Moravia, di Praga, la città in cui era nata e cresciuta, nella quale suo zio l'Imperatore stava facendo innalzare una cattedrale, dedicata a san Vito, le cui torri e guglie avrebbero fatto il solletico alle nuvole, un nuovo ponte che avrebbe unito Malá Strana e la Staré Mesto, vigilato da due poderose torri.

Quelle bellezze di cui parlava, che avrebbero adornato la Città d'Oro, Jitka non le avrebbe mai viste, come Charles.

Nella sua voce vacillata dalla cadenza boema assorbiva la sua malinconia di principessa costretta a lasciare la sua terra d'origine per raggiungerne un'altra lontana e ignota, insieme a un marito ignoto e mai guardato in faccia prima delle nozze. Jitka gli mostrava il suo ciondolo attaccato a una sottile catenella, che recava il sigillo smaltato da principessa del Lussemburgo, un leone rosso dalla coda forcata in campo argento. «Non dimenticare mai chi sei» gli ripeteva sempre con l'accento boemo che mai sarebbe sfumato. "Non dimenticare le tue origini." Ma ritornato a Parigi dopo il lungo viaggio che lo aveva portato nel Sud a ricevere titolo di Delfino, Charles non trovò sua madre Bonne ad aspettarlo, bensì un'altra donna.

LUCE DI RAME. La Guerra È DichiarataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora