I.

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C'erano giorni in cui Yves Beaumurais era felice di essere un cavaliere e solo il quartogenito di sei figli.

Denis, un giovane tutto cortesie cavalleresche, era appena rientrato dai boschi che circondavano Boves con un airone grigio cenere messo di traverso sulla sella dietro di lui. Smontando dal suo palafreno venne incontro a Clotilde, sua moglie, che salutò circondandola con braccio mentre le avvicinava la bocca a un suo orecchio per bisbigliarle qualcosa, parole che le strapparono una risata cristallina.

Yves non invidiava affatto il fratello maggiore. Tutta quella galanteria tipica dei signori della nobiltà, sorrisi e complimenti adulanti, non facevano per lui. Suo padre non avrebbe mai nemmeno avuto per la testa l'idea di dargli in sposa la figlia di qualche signore dell'Amienois. Ne era grato, perché di moglie ne aveva già una e gli bastava. Il suo nome era Fuoco sacro. La sua lama emanava riflessi cangianti argentei e azzurri. L'elsa era forgiata in un metallo che mandava luci dorate e rossastre. L'estremità dell'impugnatura era stata forgiata in guisa d'una testa di fenice, simbolo della sua casata. Quella spada gli era stata donata dal padre Eustache, il più bello e prezioso dono che mai potesse fargli. Denis stesso a quel tempo era stato preso da un'ignobile gelosia alla vista del regalo, "È troppo per Yves" aveva detto. E aveva ragione.

L'aveva impugnata per la prima volta a dodici anni, quando le sue braccia non erano ancora forti e allenate, i muscoli gli dolevano per lo sforzo, dalle mani ai piedi. Ma per il giovane Yves i primi tentativi furono un fallimento. E sapeva che non poteva deludere uno come suo padre. Aveva paura di lui. Era sempre stata una figura fredda e autoritaria, e a causa sua, crescendo Yves era diventato il ragazzo fine e timoroso che tutt'oggi era.

Ogni servo, alfiere e stalliere di Boves sapeva che da piccolo Yves Beaumurais quando arrivava maggio si divertiva a fare coroncine di fiori con sua sorella Zabèle. A quell'epoca Yves aveva poco più di nove anni, un innocente bambino, troppo innocente per Eustache. Così il padre gli aveva cacciato una spada di legno e lo aveva mandato dal maestro d'armi. «Il figlio che voglio non è una donnicciola che fa coroncine di fiori e gioca con le bambole di sua sorella» gli aveva detto, in uno dei suoi penosi e discorsi ripetitivi. «Tu sarai un cavaliere, un uomo forte e coraggioso, e voglio che tu lo dimostri.»

Almeno una dozzina di diversi maestri d'arme si erano alternati nel cortile del castello di Boves con la missione di trasformare Yves Beaumurais nel cavaliere e nell'uomo che il padre voleva che fosse. Il ragazzo subì punizioni continue ogni volta che la spada gli scivolava a terra o era lui a farlo. Aveva ricevuto schiaffi, era stato martellato di insulti e bastonate. Un giorno Eustache gli fece indossare i vecchi abiti di sua sorella più grande, Guinivere, e lo fece passare in parata davanti a tutta la corte, tra risate e insulti, con la speranza che la vergogna si sarebbe tramutata in valore cavalleresco.

Nulla era servito a spronarlo, se non a demoralizzarlo. Eustache e Denis da quel punto in avanti avevano iniziato a disprezzare Yves. C'erano volte in cui avrebbe voluto gettare Fuoco sacro nelle acque della Somme, ma alla fine ci ripensava. Aveva sudato sotto una pesante maglia di ferro, sotto l'umida calura estiva e d'inverno quando il suo fiato si condensava in dense nuvole bianche. Ci aveva messo tutte le forze e l'impegno per migliorare e strappare un sorriso d'orgoglio al padre, che lo osservava dall'armeria o dalle finestre dei suoi alloggi. Tuttavia, non ci era mai riuscito. Nemmeno a non farsi disprezzare dal fratello maggiore.

Quegli insegnamenti avevano trovato il terreno più brullo e non avevano attecchito. O se lo avevano fatto, avevano dato vita ad arbusti secchi, morti. Yves ci aveva fatto così l'abitudine che era diventato naturale.

Fuoco sacro ora era come una parte di sé. Lucidava fino a potersi specchiare nella lama e l'affilava ostinatamente per minuti con la cote, seduto sotto il tetto dell'armeria, con gli occhi fissi e immobili su di essa. Come quella mattina.

LUCE DI RAME. La Guerra È DichiarataWhere stories live. Discover now