17. Oppression

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IT: oppressione

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IT: oppressione

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10 maggio 2023
Roquebrune-Cap-Martin, Francia

Lo scocco della pallina verde era l'unica fonte di intrattenimento mentre Valentin, come accadeva spesso nelle sue giornate libere dagli impegni, si dilettava con una partita amichevole di tennis in compagnia di un ragazzo conosciuto proprio al Country Club. Mi aveva invogliato a fargli compagnia, nonostante sapesse quanto quello sport mi annoiasse, ma ne avevo approfittato per godermi il sole rovente di inizio maggio prima del pranzo con i nostri rispettivi padri.

La polvere della terra rossa si innalzava a ogni movimento che compiva, tra dritti e rovesci, e la bravura maturata negli anni di allenamento – giocava da quando si era trasferito nel Principato – mise in difficoltà il suo avversario. Decisi quindi di immortalarlo, rendendo pubblica la nostra giornata insieme per mettere a tacere le malelingue che mi avevano tormentata nell'ultimo periodo.

Proprio in quel momento, i rimbalzi della pallina sfumarono nel silenzio e Valentin si avvicinò al parapetto che separava il campo e gli spalti vuoti, indossando un sorriso glorioso e rigirandosi il manico della racchetta tra le mani. Si asciugò la fronte dal sudore sfruttando il polsino bianco e mi raggiunse in un paio di passi.

«Ne ho appena vinta un'altra» commentò raggiante, passandosi le dita tra i capelli per ravviare il ciuffo biondo. «Théodore non mi sopporta più» ridacchiò, e si voltò verso il suo amico quando questo si avvicinò a noi, salutandoci con gentilezza.

Non avevo mai avuto l'occasione di conoscerlo, ma dal modo in cui il suo sorriso gli colmava gli occhi di luce sembrava un ragazzo gioioso e solare, un'ottima compagnia per i giorni liberi di Valentin.

«Vinci solo perché hai il giusto supporto» rilanciò Théodore, scherzoso, facendo un chiaro riferimento alla mia presenza. Chinando la testa e proteggendosi dalla luce insistente, controllò il suo orologio. «Vi lascio soli, ragazzi. Ci vediamo» ci congedò, e noi ricambiammo.

Io e Valentin rimanemmo nella quiete del campo; a tenerci compagnia, solo i cinguettii degli uccellini che popolavano la riviera francese. Il mio fidanzato compì un ulteriore passo per accorciare la distanza che ci separava, mi carezzò la guancia con il pollice e mi stampò un bacio sulla fronte, ma ignorai il brivido che serpeggiò lungo il mio corpo a quel gesto.

«Mi accompagni alla Club House?» mi domandò, senza allontanare la mano dal mio viso. «Ho bisogno di una doccia prima che arrivi mio padre, così possiamo goderci il pranzo in tutta tranquillità».

Annuii con un mero cenno e mi sforzai di non trincerarmi in un silenzio teso: «Credo che papà sia già qui, quindi ti aspetto con lui» lo informai.

Preso alla sprovvista dall'arrivo anticipato di mio padre, corrucciò lo sguardo e studiò il mio volto. Mi strinse il mento tra il pollice e l'indice e mi manovrò appena il capo, concentrandosi sulla tempia segnata dall'ematoma che stava lentamente scomparendo. Forse non voleva che gli altri lo vedessero per non sentirsi in colpa, e io non faticavo a inventarmi scuse credibili per difenderlo.

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