10. Forever Is A Long Time

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10. Per sempre è un tempo molto lungo.

JAKE

I nostri corpi si muovevano l'uno contro l'altro imperlati di sudore.
Lexie aveva questa grande abilità di portarmi in un altro pianeta quando eravamo a letto insieme.
Mi fermai, poiché sentivo il forte desiderio di baciare ogni millimetro della sua pelle.
Era così stranamente calda.
Baciai la caviglia incredibilmente liscia, sfiorandola con la lingua.
Salii sulla coscia, mentre ansimava. Il mio cuore tamburellava forte nel petto, mentre la osservavo nuda e perfetta.
Sfiorai con le labbra la zona delicatissima tra le sue gambe.
Me le strinse immediatamente intorno alla testa, cacciando un sommesso gridolino. La toccai con la lingua, e lentamente si tranquillizzò, concedendosi al piacere. «Jake..», gridò gemendo.
Sentire il mio nome uscire dalle sue labbra creava in me un effetto impagabile.
Incastrò le sue dita ai miei capelli, mentre muoveva leggermente i fianchi.
Spostai le coperte, «voglio vederti», dissi io.
La osservai immersa di eccitazione, mentre si reggeva sui gomiti e gemeva. Nonostante fosse buio, riuscii a vedere le sue guance più arrossate che mai.
«È bellissimo..», ansimò, non riuscendo a schiudere le palpebre, e accarezzandomi i capelli sulla nuca. Continuai a darle piacere finché non mi riaccompagnò alle sue labbra. «Voglio farti venire», mormorò al mio orecchio. Sentii un bruciore nel petto diffondersi più forte; sentirla parlare così mi eccitava da impazzire.
«Sono d'accordo. Ce lo meritiamo», sorrisi, e lei mi baciò, mentre mi risistemavo tra le sue cosce. Entrai delicatamente.
Tentavo di essere il più cauto possibile, avevo la paura costante di causarle dolore.
Tremava, mentre spingevo dentro di lei, ogni volta con più decisione.
Entrai sempre più infondo, mentre i nostri respiri arrancavano e i nostri battiti erano sempre più forti.
«Sì.. Di più..», gemette, perdendo il controllo sulle nostre lingue nella sua bocca.
Mi facevo mille paranoie sull'andarci piano quando anche lei voleva ciò che volevo io.
L'accontentai, spingendo più forte e velocemente mentre gridava dal piacere.
«Sì.. cazzo!», gemetti nella sua bocca, dando un'ultima spinta mentre era percorsa da un orgasmo.
Era stupendo vederla venire, lei era stupenda. Quel corpo splendido, i capelli lucenti e morbidi, gli occhi azzurri, nei quali affogavo di continuo.
Sfinito mi abbandonai al suo corpo tremolante e madido di sudore, che profumava di lei.
Ripresi fiato, mentre i battiti iniziavano a rallentare. Avevo il volto contro il suo seno, mentre respiravo a fatica.
«È stato il miglior sesso della mia vita», confessai, e lei rise.
Mi ressi sui gomiti poiché la stavo schiacciando con il mio peso, e poi mi ci stesi accanto.
L'abbracciai, e le accarezzai i capelli morbidi. Mi sentivo così bene. Ci avevo fatto l'amore e ora la tenevo tra le mie braccia. Dio, ero l'uomo più fortunato del mondo!
«Grazie, non solo perché é stato splendido. Ma per tutto», disse accoccolandosi, e la strinsi di più sotto alle lenzuola.
«Meno male che dovevamo aspettare un mese», ridacchiai, mentre inspiravo il suo profumo, e quello dei suoi capelli.
La sua pelle era così calda sotto alle mie braccia. Rise, ed io le baciai la fronte, «sono io che devo ringraziare te», bisbigliai.
Le baciai di nuovo nello stesso punto. «È perché sei duro di testa che stiamo insieme no?», disse ed io risi, cogliendo il doppio senso.
«Non ci sarà più nessuna bugia, nessun'omissione, nessun Thomas, nessuna insicurezza, okay?», chiesi, fissandola nelle pupille.
«Okay», disse, circondandomi con il suo braccio. Sospirai, e poi la vidi chiudere le palpebre. Due fili impercettibili d'aria mi colpivano il petto, ritmicamente. «Lexie», la chiamai, non sapendo se fosse ancora sveglia oppure no. «Sì?», chiese, riaprendo gli occhi. «Ti amo di più ogni giorno che passa», dissi, e un sorriso le si incurvò sulle labbra. Mi baciò, e poi si rannicchiò come prima. «Anche io», mormorò prendendo la mia mano e posandosela sulle costole, appena sotto al seno. Accarezzai quello destro, e chiusi le palpebre. «Ma che fai?», ridacchiò. «Dormo più facilmente», risi io. «Mmh, e perché?», chiese mentre la palpeggiavo. «Lo facevo con mia madre da neonato credo», ridemmo insieme. «Come lo
Sai? Te lo ricordi?», chiese ironica. «Me lo raccontava lei», spiegai sospirando. Ci fu un attimo di silenzio.
«Farà ancora così male tra qualche anno?», domandò, cambiando tono di voce. Sospirò, e mi sembrò di sentire il rumore di quel macigno che teneva sul petto. «No. Il momento peggiore è quando realizzi che non tornerà da te. Ma dopo, pensarci.. Farà male solo un po'. Anche se rimane una ferita aperta», dissi, guardando il soffitto dove perdevo lo sguardo nelle ombre degli alberi, sentendo il fruscio del vento sui rami e sulle foglie. «Dimentico spesso che hai conosciuto anche tu mio padre. Come ti è sembrato?», domandò. Ci pensai per lunghi secondi. «Era una situazione particolare ma.. Sembrava sconfitto, credo», ammisi sospirando. Sussultò mettendosi sui gomiti. «Hai conosciuto anche mio fratello? Dimmi di no», si coprì il volto con le mani. «Digrignava i denti e stringeva i pugni per la maggior parte del tempo ma.. Sì, l'ho conosciuto», dichiarai, e lei si riabbandonò al letto. «Almeno non è un criminale. Potrei scrivere un libro sulla mia famiglia», disse ed io risi. «Beato te», sospirò malinconica. «Perché?», mi accigliai. «La tua famiglia è così bella», bofonchiò arrivando a sfiorarmi la punta del naso con quella del suo. «È anche la tua», dissi. Sorrise, e vidi della gioia scintillarle negli occhi celesti. «Vorrei che lo fosse ma..» «stt», la interruppi. «Lo sento. Al di là di tutto quello che accadrà. Tu sarai mia moglie, un giorno». Le si aprì un meraviglioso sorriso sul volto.
Rimase sorpresa da ciò che aveva sentito, e poi mi baciò posando le sue mani sul mio volto.
«Non sei un po' precoce?», mormorò. «Se fosse per me ti sposerei anche adesso», sussurrai, sinceramente. Era la mia donna e non avevo paura di cosa ci riservasse il futuro. Io l'amavo e l'avrei sempre amata. Vidi dell'acqua nei suoi occhi, erano ancora più belli. «Tra.. Sette anni?», trattò. «Sette?!», allargai le palpebre. «Sei..?» «Due, massimo tre», dissi io. Sorrise, in modo triste e spento. «Che c'è?», mi accigliai. Si asciugò una lacrima che aveva appena rigato la sua guancia. «Penso solo che non avrò qualcuno che mi accompagnerà all'altare.. O che i miei figli non conosceranno mai suo nonno..», disse tristemente abbassando lo sguardo dal mio.
Gli asciugai il viso e baciai la sua guancia. Non c'era niente in grado di consolarla in quel momento, perché era la verità, non c'era niente che glielo avrebbe restituito, né niente in grado di sostituire un padre. «Se può anche minimamente esserti d'aiuto ti accompagnerà mio padre all'altare. E sarà un ottimo nonno per i nostri figli». Sorrise, «mmh.. Matrimonio, figli.. Non è esattamente quello che avrei pensato quando hai detto "ma guarda dove vai stupida gne gne"», arricciò il naso ed assottigliò lo sguardo. Risi e scossi il capo. «Mi perdonerai mai per quello?», chiesi sorridendo. «Mmh.. Non ti perdono soprattutto per il dopo. Mi trattavi da schifo», disse sprezzante, mettendo il broncio. «Io?», allargai le palpebre. «Ero già cotto di te, stupida», confessai. «Se mi chiami ancora stupida ti distruggo», minacciò. «Tremo di paura», ridacchiai, e offesa si mise sull'altro fianco dandomi le spalle. La attirai a me, e le morsi il collo, facendola ridere e contorcere. «Basta! Togliti!», strepitò. «Non la pensavi così poco fa eh», le solleticai la vita, e sembrava piangere dalle risate. «Zitto, idiota», disse prima di tirarmi una potentissima gomitata dritta nello stomaco. Gemetti di dolore, e subito dopo si voltò verso di me preoccupata. «Ti ho fatto male?», chiese accigliata. «No.. Ma dai.. Sto benissimo», dissi con sarcasmo, con il fiato bloccato nei polmoni. Era l'unica che riusciva a farmi male, e a vederla sembrava surreale. «Scusami», disse mortificata, prendendomi le guance nelle mani. Baciò le mie labbra. «Ti amo», disse, facendo sparire il dolore con quelle due parole. «Meglio?» «Decisamente sì», la baciai di più, e lei sorrise sulle mie labbra. Solleticai ancora la sua vita e lei si contorse nuovamente, ridendo e tentando di dimenarsi. «Sai sempre come rovinare un momento!», disse mentre la torturavo. «Basta! Per favore..!», supplicò. Io risi, e le stampai baci ovunque. «Sei.. Da riempire di baci», dissi, e lei sorrise. «Lo dici spesso», osservò. «Ora dormiamo», mi tirò il braccio obbligandomi a stare con le spalle sul materasso, per poi posare la testa sul mio petto.
Sentii il profumo dei suoi capelli trasportato da una folata di vento, insinuata dalla porta finestra della stanza.
Riaprii le palpebre. Lei era appoggiata al mio petto, mentre mi posava la mano sul torace.
Pensai a quanto fosse bella, con quelle ciocche caramellate che scendevano lunghe sui nostri corpi abbracciati l'uno all'altro.
Ero veramente felice, cazzo! Finalmente lei non se ne sarebbe mai più andata. Era l'unica cosa che sapevo mi avrebbe risolto la vita, ed ora era reale.
Perlopiù, la sera precedente si era concessa così tanto a me che sentivo di non avere più un confine da lei.
Era veramente stata splendida, perfetta. Salì un po' con la testa, e poi si rannicchiò sotto alle coperte.
Accarezzai la sua nuca, e poi la sua guancia scottante.
Passarono minuti, mentre le sue costole e poi il ventre, scorrevano sotto alle mie dita.
Riuscivo solo a pensare a quanto fossi fortunato. Avevo la donna più bella e straordinaria del mondo, dopo tutto quel travaglio.
Riaprì lentamente le palpebre, e le richiuse subito dopo per poi schiuderle definitivamente.
«Ehy», disse assonnata, sfiorando la punta del suo naso con quella del mio.
Era stranamente calda, e toccarla era ancora più bello.
La baciai sulle labbra mentre ancora era confusa e cercava di riprendere contatto con il mondo.
«Come fai a essere splendida di prima mattina?», chiesi, mentre si accoccolava al mio collo.
Aveva ancor di più le guance arrossate, come le labbra, da ieri sera. Le sue ciglia erano incredibilmente lunghe, scure e curve. Una cornice perfetta per quel colore così bello che aveva nelle iridi.
Oggi erano di una sfumatura più intensa, il blu era disposto in diversi spicchi in mezzo all'azzurro acceso, che richiamava quello della piscina alle sue spalle.
Profumava, di suo, di fiori, o di fragole. Non l'avevo mai capito, ma era il migliore odore che avessi mai sentito.
«Mmh.. Sono indolenzita», gemette, con voce roca.
Risi, «ne è valsa la pena almeno?», domandai, accarezzando la sua guancia con il mio pollice.
«Decisamente sì», mi stampò un debole bacio sul collo, ed io sorrisi.
Mentre era insonnolita la tempestai di piccoli baci, e poi le accarezzai tutto il corpo con le mani. Avevo quel forte sentimento che mi esplodeva nel petto, e che non sapevo come esprimere.
Lexie era dolce, e affettuosa. Avevo molto da imparare da lei.
Mi circondò semplicemente il collo con le braccia, che mi strinse forte addosso, appoggiando il suo corpo al mio.
«Ho freddo», mugolò, nascondendosi sotto alle coperte.
Richiuse le palpebre. «Mi porti qualcosa di pesante?», bofonchiò.
«Certo», dissi dopo averle stampato un altro bacio sulla bocca.
Infilai i boxer umidi, ricordandomi solo dopo del bagno in piscina fatto alle nove di sera.
Salii al piano di sopra canticchiando, e tirai fuori un paio di cose dalla sua valigia.
Intimo rigorosamente Victoria's Secret, e un maglione con dei jeans. Scesi nuovamente di sotto, e appoggiai quelle cose sopra alle lenzuola. Vidi che dormiva profondamente, con una mano tra la guancia e il cuscino.
Tornai di sopra e mi misi sotto al getto caldo della doccia. Dopo qualche minuto chiusi l'acqua, mi infilai altri boxer, e poi feci la barba con ogni mattina.
«Jake», sentii dire. Uscii dal bagno, e la vidi con due guance ancor più rosse, e con quel maglione lungo fino a metà coscia.
Aveva un'espressione tenera, e spaesata. «Ehy», sorrisi e poi mi strinse le braccia intorno. Scottava.
«Ma dov'eri?», bofonchiò. «Mi sono solo fatto una doccia», mi giustificai sorridendo. «Noo», si lamentò, strascicando la "o".
«No cosa?», chiesi io. «Non te ne devi andare prima che mi sia svegliata. La mattina mi devi fare le coccole», borbottò dolce.
Le presi le guance tra le mani e sorrisi, prima di baciarla prepotentemente sulla bocca. «Mmh», si lamentò, una volta che mi ero diviso. «Non basta. Riportami nel letto di sotto», mugghiò legando le braccia al mio collo e appoggiando la guancia alla mia spalla. Era strana, più del normale. «Stai male?», chiesi, posandola gli avambracci sotto alle natiche per sollevarla. «Credo di sì», biascicò, mentre mi avviavo per il corridoio. «Mi piace tantissimo quella camera», disse a metà strada. Sorrisi, poiché quella era anche la camera preferita della mamma. La riadagiai sul letto, e lei si rimboccò sotto alle coperte, prima di chiudere le palpebre. «Vieni», mi invitò facendo un debole cenno con la mano. Mi stesi accanto a lei e l'abbracciai sotto alle coperte. Sembrava di stringere un termosifone tra le mie braccia. Sentii il telefono trillare sul comodino, così lo afferrai, mentre lei rilasciava un mugolio, infastidita dal rumore. "Piper Palace 11 pm", riconobbi il numero, e frustrato richiusi il cellulare. «Chi è?», bofonchiò ad occhi chiusi. «Avrò da fare probabilmente ogni sera di questa settimana», sospirai. Sbuffò e si girò sull'altro fianco. «Tu mi vuoi lasciare per forza a casa da sola», borbottò. Non immaginavo cosa sarebbe successo se avesse visto di cosa si trattava. Probabilmente pensava che erano piccole scazzottate a scommesse; non immaginava quanta gente assistesse, quanti miei conoscenti scommettevano. «Non ti lascio da sola.. Ti farà compagnia qualcuno», mormorai, pensando che se avessi chiesto il favore a Luke o a Trent di rinunciare alla vista del loro spettacolo preferito per una sola sera, avrebbero accettato. «Noo», prolungò ancora la vocale. «Perché non vuoi che venga? Ci sono troppe tue vecchie "amiche", che gridano il tuo nome e ti ammirano senza t-shirt?», chiese con sarcasmo, non sapendo che quello era uno dei motivi principali. «Non mi piace, ci sono studenti ma anche altra gentaccia e stai anche male», dissi fermo, e lei scoccò la lingua sul palato come a dire, "inventati una scusa migliore". «Bene, dovrò stare per una settimana da sola, grazie», brontolò. Considerando che l'ultima volta delle ragazze mi avevano lanciato perizomi e tanga, era decisamente meglio di no.

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