23. Unforgettable

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23. Indimenticabile

Canzoni:
Bruno Mars- Talking to the moon.

«No. Per favore. È già difficile così.» Quando mi sfiorò con il dito dal polso lungo il braccio le mie palpebre si chiusero autonomamente. «Non sai quante volte ho desiderato sentire la tua pelle fresca sotto alle mie mani», sussurrò. Ebbi un sussulto quando mi afferrò entrambi i polsi per attirarmi a sé. Avevo paura di cosa sarebbe stato in grado di farmi, e di cosa io non sarei stata in grado di fare. I miei occhi finirono dentro ai suoi. «Che vuoi fare?», chiesi insicura, deglutendo. Dei brividi accapponavano ogni centimetro della mia pelle. Il suo pollice accarezzò il mio labbro inferiore, poi ritirò la mano. «Se non mi appartieni più vorrei almeno che mi appartenessi questa notte.» Sentii quelle parole contro al mio orecchio, sussurrate e calde. Il desiderio di assaggiare le sue labbra e sentirle tra le mie si fece sentire assieme ad una tachicardia irrefrenabile. «Jake...» «Lo so che non posso. Resisterò dal buttarti su quel letto e toglierti...», la sua mano afferrò l'asciugamano che avevo legato attorno al mio corpo. Sentii che da un momento all'altro l'avrebbe strappato via. «Okay. Resisto», disse combattuto, lasciando quel tessuto e sfiorando con le dita l'esterno della mia coscia. Volevo respirare ma era impossibile. «Non le tocco nemmeno le altre, giuro, giuro che non le guardo. Nessuna è come te», mormorò. Fece scivolare la sua mano all'interno della mia coscia, facendo stringere entrambe le mie gambe attorno ad essa. «Però dimmi che ti manco almeno un po'... Dì qualsiasi cosa, ma dì qualcosa», supplicò, afferrandomi nel suo palmo. Rimasi zitta, in silenzio, senza fiato, con le palpitazioni sempre più forti ed insopportabili. «Mi manchi», dissi piano e sottovoce, tanto che non seppi se mi avesse sentita. «Anche tu mi manchi, anche tu...» «No, per favore non toccarmi.» Mi allontanai e mi sedetti sul letto, evitando il suo sguardo che sapevo era su di me. Volevo essere vestita, e volevo che se ne andasse. «Perché?», chiese lui, raggiungendomi. Atterrai lo sguardo, allora si abbassò alla mia altezza e si inginocchiò. «Perché non sarà così che mi dimenticherai», dissi tutto d'un fiato. I suoi occhi guizzarono sui miei. «Hai ragione, ma io non voglio dimenticarti. Voglio solo avere vivido il ricordo di te il più possibile, per poterti pensare per il resto della mia vita.»
Una morsa mi strinse il cuore quando lo disse. Sentii le sue labbra morbide sul mio ginocchio. Mi divaricò le gambe per baciare tutto l'interno della mia coscia, accendendo la mia pelle. Il mio corpo, estasiato, non riuscì a trattenere un gemito. «Ma hai ragione. Lascia almeno che senta il tuo corpo sotto alle mie mani e alle mie labbra». Io lasciai che si appoggiasse la mia caviglia sulla spalla, e poi anche l'altra. «Ti amo», disse sussurrando, baciando  la mia pelle. Abbandonai la testa sopra ad il materasso, sentendo il mio respiro arrancare di già. Come poteva farmi provare tante cose...
Sentii freddo quando mi tolse l'asciugamano di dosso e lo gettò a terra. Ero completamente nuda ed esposta al suo sguardo, che si riempì di emozioni indescrivibili. «Mi chiedi troppo...», disse succhiando la pelle della mia coscia, e divaricandomi le gambe che per pudore si erano appena chiuse da sole. «Sei bellissima. Da me puoi lasciarti guardare, solo da me.» «Va bene», ansimai, rilassando i muscoli rigidi. «Voglio baciarti ovunque...», disse seminando baci per tutto il mio corpo. Salì fino a giungere alle mie labbra. Toccai con le mani il suo torace caldo, scolpito. Tolsi la sua giacca e poi aprii i primi bottoni della sua camicia bianca. La sua pelle aveva un profumo indimenticabile. «Lo sai che più si va avanti più è difficile fermarsi?», sussurrò contro la pelle del mio collo. Il mio seno era nelle sue mani, mentre più in basso, dallo stomaco in giù,  lo sentivo contro di me. «Mi manchi», rivelai. «Non lo sai quanto tu manchi a me», disse sospirando sulla mia pelle. «Mi manchi anche la notte, Jake», confessai, sentendo le guance ardere. Sollevò i suoi occhi contro ai miei. «Ti amo ancora di più quando dici queste cose...», i suoi muscoli si contrassero contro al mio corpo, e in particolare ne sentii uno premere su di me. «Dimmelo se pensi a me». Non credevo che ciò lo avrebbe potuto provocare tanto. «È così, penso a te.» Annientò la distanza tra le nostre labbra, sfiorandole solo come lui sapeva fare. «Pensi a me la notte quando sei sola?» Mi era mancato sentire il suo cuore battere sopra al mio e contro il mio. «Sì...» La sua pelle finalmente era scoperta. La toccai con le mani, poi toccai il gonfiore nei suoi pantaloni. Quando lo feci, lui gemette. «Non finirà bene», sospirò. «Forse dovresti andare», dissi io, anche se uscì come un gemito. «Vuoi che vada?» No, volevo solo che rimanesse sempre.
«È meglio di sì», dissi con il cuore nella gola. Temetti che stesse cercando una delle nostre vecchie scorte estive nel mio cassetto, ma poi tirò fuori un reggiseno e infilò il gancio tra la mia schiena ed il materasso. Lo legò e mi fece infilare le bretelle, mentre io ero ancora troppo stordita ed intontita per poter reagire. Prese anche degli slip e me li fece indossare, guardandomi in luoghi che solo lui aveva visto. «Sei bella dappertutto», disse accarezzandomi il volto e spostandomi i capelli dalla fronte madida. Sentii un bacio al centro di essa, chiusi gli occhi, percependo il suo respiro sulla pelle del mio viso. Quando fece per rialzarsi avvertii un bruciore nel petto. Aveva detto di amarmi... Me ne resi conto solo allora. Si mise all'in piedi e riallacciò la cintura dei jeans, che non mi ricordavo neppure di aver aperto. Abbottonò la camicia dal basso verso l'alto e prese la giacca dal pavimento. «Posso non venire al matrimonio, se vuoi», disse in tono piatto. «È il matrimonio di tuo fratello... Dovrei essere io a non venire». Camminò verso la porta. «No... Sono sicuro che saresti la più benvenuta tra noi due», disse lui. Non capii cosa volesse dire.
Sparì dietro alla porta, lasciandomi sola e confusa. Mi ero già concessa troppo, avrei dovuto sbattergli la porta in faccia ma non riuscivo a dirgli addio. Avevo rimesso tutto in discussione, un'altra volta. Avevo sbagliato, un'altra volta. Riuscivo sempre a farmi ferire e lo odiavo. Veniva qui, provandomi e provando a sé stesso che io ci sarei sempre stata per lui, che gli bastava guardarmi negli occhi per farmi sciogliere come burro al sole. Un suo «ti amo», non aveva più nessun valore per me. Era solo un'altra delle sue bugie, una di quelle alla quali io credevo sempre. Chi ama resta, chi non ti vuole se ne va. Perché non importa quanti problemi, o quante ragioni valide tu possa avere, quando vedi la persona che ami tu non riesci a resistergli - se l'ami sul serio. Se l'ami con tutto te stesso non c'è ragione valida che ti spinga a respingerla. Ed ecco come girava e rigirava il coltello nella piaga con tutta la sua forza... Doveva mettersi bene in chiaro le idee in testa, per sé stesso. Mi ripromisi che da lì in poi non avrebbe mai più avuto niente da me, doveva sparire per sempre dalla mia vita.
Il mattino seguente, con Amber e Julie raggiunsi l'aula magna, poiché trasmettevano un filmato di scoperte ed innovazioni riguardanti la chirurgia cardiotoracica.
Mi sedetti in fondo e rubai il pacchetto di patatine di Travis, che mi sedeva accanto russando. Dopo una prefazione del nostro professore, lui fece partire un filmato. Iniziarono tutti a chiacchierare, e a mangiucchiare snack della macchinetta. Io non seguii affatto, dovevo ammettere che non stavo andando alla grande, ma mi andava bene così. Dovevo ritrovare un ritmo, riprendere stabilità e smetterla con la mia ossessiva ambizione per il trenta. I brusii nell'aula cessarono del tutto, ma distinsi una frase provenire dalla fila dietro alla mia. «Ma quello non è Richard Bristol?», mormorò qualcuno alle mie spalle. Sollevai lo sguardo. Papà era dietro ad una parete blu, era la sala congressi del New York Central Hospital. Iniziò a parlare ad un microfono a riguardo del primo trapianto ex-vivo cuore polmoni effettuato nel mondo. Effettuato proprio da lui. Era contento, forse. Aveva trovato il modo di salvare delle vite, e magari io all'epoca neppure ne ero consapevole. Persi il filo del suo discorso, osservando solo la sua immagine. La cravatta regalata dalla nonna Cecilie nel nostro unico Natale di famiglia, una delle sue tante giacche nere, una delle sue camice celesti. Mio padre era bellissimo, sorridente, sereno... Non sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi come accadeva in genere, mi venne solo da sorridere. «In memoria al più talentuoso cardio chirurgo di New York, e degli Stati Uniti, oggi, possiamo inaugurare il secondo trapianto ex-vivo cuore polmoni, effettuato dalla nostra equipe chirurgica, che comprende anche il giovane figlio Jonas Christopher Bristol.» Mi unii all'applauso degli altri studenti in modo discreto. «Ma dov'è mio fratello?», chiesi a Julie, aggrottando le sopracciglia. Si strinse nelle spalle. «A lavoro», disse inacidita. «Non essere arrabbiata con lui, capisci che piuttosto che venire ad un matrimonio salva delle vite.»
Lei mi guardò da sopra una spalla, poco convinta. «Mh», fece una smorfia. Quando il filmato terminò, e il professore culminò il suo discorso finale noi ci alzammo in piedi per raggiungere il corridoio.
«Oh, dimmi di no», bofonchiai. «Oh sì invece mia cara. Abbiamo psicologia adesso», ridacchiò Julie, trascinandomi per un braccio nell'aula di Evans.
Per fortuna non era ancora entrato in classe ed io avrei potuto sedermi in fondo per nascondermi da lui. Amber se ne stava in prima fila con Travis, per fortuna, che si ostinava a frequentare i corsi del secondo anno piuttosto che del terzo tanto per noia. Il professore entrò in classe con una tazzina di caffè spumeggiante ed un cornetto alla marmellata di ciliegie. Si sedette sulla cattedra con la sua borsa a tracollo, e masticò indisturbato per qualche minuto. «È proprio fuori di testa», dissi io. «Sarà anche fuori di testa ma è un genio», disse Julie. «Non è un genio, è un semplice professore. Un idiota», replicai. Lei rise e scosse il capo. «Cambi opinione sulle persone in base al periodo in cui ti stanno più simpatiche?» «No. Lui piuttosto che fare lezione mangia. È un idiota», ribattei. «Bristol e Dickens. Perché non proferite anche noi le vostre dicerie», esordì, facendomi fare un sussulto. «Scusi, professore», disse Julie immediata. Io rimasi in silenzio ed immobile. «No, no. Parlavo sul serio. Avanti, di cosa parlavate?», domandò, dirigendosi verso il cestino. Gettò la cartaccia del cornetto e appoggiò la tazzina del caffè sulla cattedra. Io guardai Julie corrugando la fronte. «Inventati qualcosa!», sussurrò lei. «Non stavamo dicendo nulla che la possa interessare», dissi a denti stretti. «Questo lo chiami inventarti qualcosa?!», mormorò Julie, rimproverandomi. «Oh, a me interessa tutto Signorina Bristol. Mi dica, avanti», insistette, con un lieve sorrisetto. «Stavo solo dicendo che piuttosto che mangiare potrebbe cominciare la lezione». Julie mi tirò un calcio da sotto al tavolo, e qualcuno ridacchiò, Evans compreso. «Ha completamente ragione. Ma ho ancora fame, le andrebbe di accompagnarmi alla macchinetta del caffè? Le va qualcosa?», chiese, sorridendo in modo apparentemente sincero. Aggrottai le sopracciglia. «Cosa?», strabuzzai gli occhi. «Mi ha sentito. Le va qualcosa? A lei, signorina Dickens?» «Mh, no, grazie», rispose Julie timidamente. «Questo è folle», sussurrai, fingendo di grattarmi al fronte e coprendomi il volto con la mano. «Non vi negherei mai di mangiare. È un sano principio che molte ragazze della sua età sottovalutano. Mangia abbastanza, signorina Bristol? È molto magra, sa?», domandò con dell'autentico interesse. Mah. «Sì. Mangio abbastanza», feci un sorriso a denti stretti, con l'intento che apparisse finto.
Sorrise. Sorrise e basta, per provocarmi. Dio, quanto l'odiavo di punto in bianco.

Amami nonostante tutto 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora