17. Marry Me

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17. Sposami.

Lexie

«Mi hai sentita. Ho detto sposami.»
Ciò che lessi nel suo sguardo mi ricordò la gioia. I suoi occhi erano così belli, brillavano e scintillavano di felicità, ed io a mia volta ero super felice per esserne la causa.
«Dio sì! Sì cazzo. Ti sposo subito. Dici sul serio? Non stai scherzando vero? Perché io ti prendo e ti porto nella prima chiesa aperta ventiquattro ore su ventiquattro. Capito?», accalcò una domanda dietro all'altra. Sorrisi mentre avevo gli occhi colmi di lacrime non versate. Annuii. Mi assalì le labbra, la sua espressione euforica e sorpresa al massimo non me la sarei mai dimenticata. Non avrei mai immaginato che io, e dico io, gli avrei detto di sposarmi. «Aspetta, aspetta», riprese aria da quel bacio passionale. «Lo troviamo un prete alle...», volse lo sguardo al polso dove c'era l'orologio Rolex che indossava sempre. «No, direi di no», concluse. «Ci sposeremo domani», dissi ritoccando le sue labbra con le mie, appoggiando entrambe le mie mani sul suo volto. «Aspetta. Dici sul serio vero? Perché io faccio sul serio...» «Voglio che tu mi sposi. Voglio sposarti. Voglio che noi ci sposiamo. Voglio essere tua moglie, voglio condividere il resto della mia vita con te. Voglio i tuoi figli... Voglio il tuo cognome. Voglio che tu sia mio marito, e che nessun'altra donna osi più fare pensieri su di te. Voglio solo averti per sempre. Hai capito? La smetti di fare domande e credere che io scherzi o che da un momento all'altro scapperò?», sorrisi, guardando il mare nei suoi occhi. Mi baciò di nuovo e di nuovo, senza un minimo di tregua. «Domani», sussurrò sulle mie labbra. «Domani. Senza nessuno tranne che noi due. Due fedi, due promesse. Nient'altro, okay? Simon preparerebbe uno schifosissimo addio al celibato e Julie mi farebbe vestire da confetto ambulante perciò... Sposiamoci e basta», dissi, e il solo pronunciare quelle parole mi riempì il cuore di incontenibili emozioni. «Sì, come vuoi tu. Anche in jeans e scarpe da ginnastica basta che da domani tu sarai Alexis McCall», pronunciò. Il suo cognome! Non potevo credere a tutto quello, sembrava troppo bello per essere vero. Si stese accanto a me, ed insonnolita mi appoggiai al suo petto, godendomi il calore emanato dal suo corpo. Ero solo felice, immensamente.
«No, non sono incinta tranquillo», lo precedetti. «Mi spieghi come facevi a sapere a cosa stavo pensando?», chiese sorpreso. «Ti conosco molto bene», risposi soddisfatta. «Mi piacerà vederti con un pancione e dover assecondare in piena notte le tue voglie di burro d'arachidi», disse. Sorrisi e chiusi le palpebre. «Non vale, dopo questa io non riesco a dormire», brontolò. Il mio sorriso si aprì di più, gli strinsi le braccia attorno e baciai il centro del suo petto. «Dormi. Domani abbiamo da fare», sussurrai. Mi accarezzò i capelli, mentre un fremito mi scuoteva il cuore, che fece diverse capriole nel mio petto. Il sonno dopo un po' si fece sempre più prepotente; le palpebre sigillate, il cervello annebbiato...
Mi svegliai quando un bagliore si fece forte dalla finestra. Sbadigliai sgranchendomi, e poi mi infilai sotto alle coperte la biancheria. Lo lasciai dormire, corsi nel bagno, che neppure ricordavo dove si trovasse. Aprii il "guardaroba", piuttosto. Trovai la camera da letto, ed il bagno che era all'interno aveva un bellissimo box doccia munito di radio che aspettava solo me. Mi insaponai, sciacquai e risciacquai. Infine mi avvolsi in un accappatoio bianco trovato appeso vicino. Gocciolai finché non infilai quelle ciabatte bianche appoggiate a terra, ed infine mi diressi per il mio immenso armadio. Indossai della nuova biancheria blu notte, ed un morbidissimo ed inviolato pigiama appeso in mezzo a quegli splendidi abiti. Era composto da dei pantaloncini corti ed un'amabile felpa vellutata di pikachu. Chi mi avrebbe presa sul serio così? Scesi di sotto, ispezionando quella nuova e perfetta casa. Aprii alcuni scaffali, e tentai di cucinare qualcosa malgrado fossi stata negata.
Sentii dei passi farsi vicini, e poi due mani afferrarmi i fianchi mentre armeggiavo una padella.
«Pensavi di venir meno ai tuoi doveri?», mi sussurrò all'orecchio, facendo scendere e salire la mano destra su tutto il mio corpo. Rabbrividii. Sbuffai, non riuscendo nemmeno a non far bruciare semplici uova. «Tranquilla. Le mangeremo lo stesso», disse alle mie spalle. «A me non piacciono le uova», precisai. «Dunque le hai fatte per me?», domandò. «È strano?», chiesi abbassando il fuoco. «È stranamente dolce, fatto da te», ridacchiò. «Perché io non sono una persona dolce?», dissi offesa ed imbronciata. «C-certo, sì», mentì, grattandosi il dorso del collo. «Perché suona tanto come un "sei dolce quanto Hitler"?», chiesi accigliata. Rise di sottecchi, e tolse le uova dal fuoco. «Non è vero. Sei super dolce, giuro», disse grattandosi la fronte. Allarme bugia. Gli lasciai credere che gli avevo creduto, mentre metteva le uova in un piatto. Prese una forchetta e mando giù un boccone. Tossì forte, rimanendo con le guance piene. «Acqua», disse facendomi un cenno teatralmente disperato. «Molto divertente», assottigliai offesa lo sguardo, ed incrociai le braccia al petto. Rise e mandò giù. «Scherzavo. Sono delle ottime uova strapazzate», disse stringendomi l'occhio, e attirandomi a sé afferrandomi un fianco. Stampò un baciò sulla mia tempia, e terminò in fretta e in furia tutto ciò che c'era nel piatto. Miglioravo! Versai del latte, e del succo alla pesca per me. Succo alla pesca ovunque: che paradiso. Glielo porsi, bevve alla svelta e andò di sopra. «Perché hai fretta?», domandai cercando di farmi sentire mentre percorreva le scale. «Dobbiamo sposarci», gridò. «Ma non alle sette di mattina. Dobbiamo andare a scuola», gli ricordai buttando nel lavandino i bicchieri e la padella.
Lo raggiunsi dopo essermi sciacquata le mani. «Ehy. Vuoi sposarmi a quest'ora?», chiesi sorridendo. Guardò nuovamente l'orologio. «Mh, direi di no», sbuffò. Risi. «Dopo la scuola ci sposeremo okay?», domandai buttandogli entrambe le braccia al collo. «Ti avevo immaginata con l'abito bianco... Il velo», disse sorridendo malinconicamente. «La pazzia si fa di nascosto. La formalità dopo. Non credi?», chiesi io furbamente. «Sono pienamente d'accordo. Prima diventi mia moglie meglio è. Ma poi ti voglio in abito bianco, prometti?» Annuii. «C'è ancora una parte della mia famiglia che devi conoscere», disse sorridendo. «Davvero?», allargai leggermente le palpebre. «Già. E ne saranno anche entusiasti», disse prima di baciarmi il naso. «Perché?», chiesi sorridendo. «Perché a Natale sei stata l'argomento centrale», ridacchiò. «Sul serio?» «Sì. Dicevano tutti che ero innamorato di te. Io non li volevo ascoltare perché avevo paura di perderti», rivelò. «Sei stupido», dissi e lui rise.
Dopo qualche secondo non sentii più la terra sotto ai piedi. Naturale; la sua spalla era il luogo più comodo per trascorrere la prima mattina e far rivoltare il succo nello stomaco. Mi scaricò nella mia stanza dei vestiti, e mi ordinò di prepararmi alla svelta. Mi vestii rapidamente, indossando dei vestiti che solo mettendoli mi facevano stare bene. Opera di Julie, ci avrei messo la mano sul fuoco. Venni trascinata nell'auto che era nel parcheggio di casa nostra, mentre sgranocchiavo dei creekers. «Ma tutte queste macchine?», domandai, accorgendomi solo allora della loro esistenza. BMW, Range Rover, una Ferrari! Era vera? Strabuzzai gli occhi. «Sono mie. Le tengo per bellezza», confessò. «Tu sei matto. Ricco sfondato oltre che matto», dissi scuotendo il capo. Rise e mise in moto. Uscì dal garage e tornò in strada. Questa casa si trovava tra quella dove abitavano prima e la Kingstom, era vicina a una delle sue tante ville, dove mi aveva fatto la festa a sorpresa. «Ma se hai tante case... Invece che comprarne una nuova non potevamo andare lì?», domandai. «Na, avevo l'occasione perfetta per alleggerire il mio conto in banca», spiegò. Scossi di nuovo il capo. «Allora preparati a riavere la metà dei soldi. Se è casa nostra paghiamo entrambi», dissi decisa. «Cosa? No!», rispose più che contrariato. Sembrava avessi appena bestemmiato. «Scherzi vero? Andiamo. Quanto l'hai pagata? Quanto hai pagato tutto quanto?», chiesi fissando il suo volto mentre lui invece guardava la strada. «Lexie no», rispose fermo. «Non farmi arrabbiare. Non dire di no alla tua futura moglie, capito?», assottigliai lo sguardo. Sospirò. «Non accetterò mai soldi da te», replicò. «Nemmeno se ti supplico?», chiesi facendo gli occhi da cane bastonato. Sbuffò. «Non fare così», disse combattuto. «Ti prego. Mi renderesti davvero felice se accettassi la metà dei soldi», insistetti. «... Dai», aggiunsi. Parcheggiò, l'auto si fermò di botto e lui scese dalla macchina senza rispondere. Sbuffando slacciai la cintura e aprii lo sportello. «Jake! Non ignorarmi. Per favore», dissi camminandogli incontro. Lo spinsi con le spalle contro al muro, cercando il suo sguardo con il mio. «Ehy!», strillai per richiamare la sua attenzione. Sorrise attirandomi a sé per i fianchi. Premetti ogni parte del mio corpo contro il suo, sperando che in quel modo l'avrei persuaso. «Per favore», feci scivolare il labbro inferiore. «Così mi fai eccitare e basta», disse abbassando le sue mani sul mio fondoschiena. Gli morsi forte il labbro, finché non gemette dal dolore. «Sì o sì?», domandai. «Abbiamo quindici minuti. Bagno della mensa o dello studentato?», chiese, mentre sentivo qualcosa indurirsi contro il mio ventre. «Rispondimi. Sennò niente!», mi imposi. «Prima me lo fai diventare duro e poi...» «No no! Mio marito non deve parlare così volgarmente», lo interruppi appoggiandogli un dito sulle labbra. «Uh, scusami tanto», rise, e poi mi morse l'indice. «Allora? Ti va?», domandò, stringendomi già la mano per trascinarmi chi sa dove. «Sì, ma non qui», sussurrai. «Allora vuoi che ti chiuda in un'aula vuota?», mormorò al mio orecchio. «Nemmeno», risposi insicura mentre dei brividi mi impedivano di tenere bene aperte le palpebre. «Mmh... In camera?», domandò. Annuii, e mi piazzò davanti a sé come se fossi uno scudo. Sentii un rigonfiamento premermi sulla schiena, mentre percorrevamo il campus. «Cammina e basta», mi disse all'orecchio mentre mi teneva i fianchi con le mani. «Okay», ridacchiai tentando di passare inosservata. Difronte al dormitorio però ebbi una spiacevole sorpresa. O meglio, spiacevole in quel momento. La voglia mi svanì in un attimo. «Alexis», disse Thomas sorridendomi. Feci lo stesso, mentre i miei fianchi venivano stritolati dalle sue mani con una presa mortale. «Ciao», dissi io. La situazione era abbastanza imbarazzante. «Perché vai verso il dormitorio? Non hai lezione?», chiese impertinente. «No, non ce l'ha. Ti dispiace toglierti dal cazzo e...» «Jake!», lo interruppi in tono rimproverevole. Lo sentii surriscaldarsi e stringermi più forte. Thomas rimase accigliato.
«Ehm... Okay. Ci vediamo in giro», disse sorridendo e sistemandosi lo zaino sulla spalla dolcemente. Era così gentile quel ragazzo, non avrebbe dovuto parlagli in quel modo. Mi misi difronte a Jake per guardarlo negli occhi. «Perché? Non ha fatto niente!», dissi arrabbiata. «Niente? Ci prova con te. Non mi sta bene», replicò. «Una volta mi hai detto che ti fidavi», rimbeccai. «Ho fatto male.
Dato che mi hai nascosto che vi siete baciati», disse lui. Rimasi in silenzio, scossi il capo ed incrociai le braccia al petto. «Sto per sposarti!», ribattei. Sorrise e poi mi prese entrambe le guance tra le mani. «Fino all'altro giorno volevi riflettere a riguardo della nostra instabile relazione e adesso vuoi sposarmi? È stato il sesso a farti cambiare idea?», disse con un sorrisetto beffardo. Assottigliai lo sguardo «potrei sempre cambiare idea».

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