8.

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Entrata in camera si sedette accanto a Qui-Gon, che l'aspettava sul letto. «Mi fa un po' di impressione vederti così... azzurro.»
«Ti ci abituerai.»
Lei si sdraiò e si mise a guardare il soffitto. La presenza di suo padre la confortava, provava la sensazione di essere davvero a casa. Vide che il suo fantasma fece lo stesso e sorrise, tirando su col naso.
«Come fai a stare su oggetti solidi?»
«Misteri della Forza.»
«E senti la sensazione del letto sotto di te?»
«Quanto sei curiosa, bambina mia.»
Lei si girò verso di lui e vide il suo sorriso: era ancora più bello di quanto se lo ricordasse. «Papà, è morto.»
«Lo so. Non ascoltare Sidious, non è stata colpa tua.»
«Se non gli avessi parlato, se fossi stata zitta e se non avessi cercato di ricondurlo nel Lato Chiaro ora sarebbe ancora vivo.»
«Devi gioire quando qualcuno si unisce alla Forza Vivente, Herzebeth. Ora il nostro Maestro è in pace.»
«Verrà anche lui a trovarmi?»
«Non è una tecnica che si impara non appena si muore. Ci vuole pratica e molta volontà di farlo.»
«Mia madre non viene a trovarmi?»
Lui sospirò. «Crediamo sia meglio per te che venga solo io.»
Stettero per un po' in silenzio, Herzebeth si girò verso di lui appoggiandosi e trapassandogli il braccio. Non gli faceva male e lei lo sentiva più vicino, quel torpore la faceva tranquillizzare e il sorriso le spuntava come se fosse ancora bambina. «Mi parli di Tahl?»
Lui mise la mano sul suo braccio come per stringerla. «Tua madre era una donna eccezionale, l'ho conosciuta qui quando eravamo ancora Padawan. Aveva anche lei i capelli neri come i miei e degli splendidi occhi azzurri da cui potevo vedere tutta la Galassia, tutto l'universo. Infondeva una così grande fiducia che mi lasciava confuso, ero ancora troppo giovane per capire che mi ero già innamorato. Crescendo ho capito cos'era che me la faceva sentire così vicina, ma nel frattempo avevo imparato che non avrei dovuto provare amore per una persona, il Codice lo vieta. Passarono un paio d'anni, ma non riuscivo a reprimere l'amore che provavo per Tahl: i suoi occhi azzurri mi perseguitavano ed ero certo che lei provasse qualcosa per me. Un giorno ci trovammo insieme a dover portare a termine una missione di pace, cosa quotidiana per noi. Eravamo su uno sperduto pianeta sull'Orlo Esterno, seduti su una roccia a guardare le stelle. I riflessi degli astri sul suo viso la rendevano ancora più splendida, quasi fosse una specie di dea. Non potetti più reprimere il mio sentimento, le confessai cosa provavo per lei e la baciai. Consumammo il nostro amore quella notte stessa e, qualche tempo dopo, scoprii che avrei avuto una piccola guastafeste che si sarebbe dovuta chiamare Serena.»
«Ah, non mi piace.»
«Ma poi tua madre ha avuto l'idea di chiamarti Herzebeth. Mi piacque quel nome, aveva un bel tono. Herzebeth. Mia figlia, la mia bambina si sarebbe chiamata Herzebeth.»
Si prese una pausa per farle metabolizzare il tutto. Le stava parlando di una vita che ora non le apparteneva più, aveva sicuramente bisogno di tempo per riflettere e prendere fiato. «E ricordo anche quando sei nata. Sentivo tua madre urlare dall'altra stanza per il dolore del parto e stavo per impazzire, sentivo il dolore sulla mia pelle. Poi entrai, e ti vidi già tutta pulita e pallida tra le braccia di Thal. Lei rideva e tu anche, avevi dei grandi occhi azzurri e agitavi le braccia. Ti baciai la fronte e dissi a tua madre che era un peccato che tu non avessi preso niente da me. Eri così piccola, sentivo la Forza pulsare potente in te fin da quando hai visto la luce per la prima volta. Ti ho rivista quando avevi un anno, camminavi barcollando e ancora andavi a cadere. Tua madre aveva l'aspetto stanco, ma ti voleva così bene...»
«Lo so, le volevo anch'io. Sento che quel sentimento non l'ho dimenticato.»
«Non appena mi hai visto mi sei corsa incontro cadendo soltanto una volta e hai teso le braccia verso di me. Quando ti ho preso in braccio mi hai ricoperto di baci. Ero l'uomo più felice del mondo. E poi, quando tornai dopo due anni...»
«Non mi trovasti più.»
«Trovai tua madre a terra, senza vita. Potevo solo immaginare cosa fosse successo. Continuo ad incolpare me dell'accaduto, piansi per due giorni senza fermarmi. Avevo perso le mie due donne, avevo perso il mio unico amore e la mia unica bambina. Non sapevo cosa fare, ho pensato perfino di lasciare l'Ordine, ma sentivo che la Forza mi diceva di non farlo, che avevo altro da fare lì.»
«E poi mi hai vista dopo dodici anni. Mi hai riconosciuto?»
«Gli occhi della propria figlia non si dimenticano facilmente.»
Lei fece spallucce, come per dire "credo di sì", e si alzò dal letto, prendendo la spada laser. La accese e la guardò bene, come se si accorgesse solo ora della sua lama rossa. «Il mio... il nostro Maestro è morto, padre.»
«Herzebeth, cosa vuoi fare?»
Lei si prese i capelli. «Il mio Maestro diceva sempre che non potevo tenere i capelli lunghi. Io lo facevo solo per ribellione. Non voglio più ribellarmi a lui.»
Qui-Gon non poté far altro che guardare i capelli neri di Herzebeth cadere morbidamente a terra e lasciò la figlia intenta ad aggiustarsi i nuovi capelli lunghi fino alla base del collo, scomparendo.


Quando Obi-Wan la vide quasi non la riconobbe. Era stretta in un vestito rosso come il sangue, lungo fino alle caviglie e con le maniche larghe che le nascondevano le mani come già faceva il suo mantello da Sith, che camminava graziosamente a fianco di Padmé. La bellezza del giardino impallidiva in confronto alla sua figura. Gli mancò il fiato, i capelli neri così corti risaltavano ancora di più la delicatezza dei tratti del suo viso. Quando arrivò davanti a lui lo guardò con occhi freddi, quasi severi. Erano davvero gli stessi occhi che qualche giorno prima lo guardavano con così tanto amore? Ad Obi-Wan venne spontaneo fare un piccolo inchino. «Che fine hanno fatto i tuoi capelli?»
«I capelli lunghi sono un tremendo punto debole.»
«Te ne accorgi solo dopo vent'anni?»
Padmé si voltò verso Anakin e si congedò velocemente da loro. Ad Herzebeth si strinse il cuore vedendo il bel ragazzo abbracciare la sua amata. L'immagine di quello stesso ragazzo a cui aveva badato da piccolo, a cui voleva bene come un fratello mentre uccideva Darth Tyranus era ben stampata in testa. Non sarebbe mai più riuscita a guardarlo con gli stessi occhi.
Poi si girò verso Obi-Wan Kenobi e la sua espressione si addolcì.
Lo abbracciò senza nemmeno badare a ciò che aveva detto, perdendosi nel suo profumo inebriante che tanto le era mancato e di cui tanto ne aveva avuto bisogno. «Mi hai sentito?», le chiese dopo aver ricambiato l'amorevole stretta.
«No, ripeti.»
«Ho detto che Grievous è scappato, il Consiglio ha mandato me a cercarlo, quindi dovrò andare via. Sono solo venuto a salutarti.»
«Odio il tuo Ordine, sai?»
«Mi dispiace tanto, anch'io avrei voluto passare un po' più di tempo con te...»
Herzebeth lo guardò dritto negli occhi, accarezzandogli la guancia, e gli sorrise. «Non importa, lo capisco.»
Il Jedi si ricordò improvvisamente di una cosa: «Herzebeth, quando sono stato catturato dai Separatisti il tuo Maestro mi ha detto una cosa. So che non è il momento adatto, ma...»
«Cosa ti ha detto?»
«Il Cancelliere è davvero un Sith?»
Herzebeth sussultò. Temeva che Dooku l'avesse riferito ad Obi-Wan ma lui non le aveva ancora chiesto nulla. Si ricordò delle parole che Sidious le rivolse quando la vide fuori la camera di Padmé e scosse la testa, decisa a mentirgli. «No, non è vero.»
«Lo sapevo.», disse poi lui, mentre Herzebeth continuava a scuotere la testa. Conosceva bene Sidious, aveva fatto la cosa giusta a mentirgli.
Obi-Wan le poggiò la testa al suo petto e le accarezzò i capelli, respirando a pieni polmoni l'aria profumata di rose del giardino e la pace che vi regnava. Preferì assaporare ogni secondo per bene, con la presenza dell'amata a confortarlo, con le sue mani sul petto come una bambina. Aveva la sensazione che tutto questo sarebbe durato troppo, troppo poco e la strinse ancora più forte.


E la pace non durò a lungo.
Herzebeth corse per il Tempio con il cappuccio ben calcato in testa e il mantello nero, sperando di non dare nell'occhio. I Cloni si erano ribellati, Anakin era impazzito. Sentiva da un po' l'inquietudine che stritolava l'anima di quel ragazzo ma non avrebbe mai pensato che la situazione avesse potuto degenerare così in fretta. Si fece mentalmente qualche calcolo e continuò la sua corsa nell'ombra verso la saletta dove i ragazzini si addestravano con Yoda. Probabilmente i piccoli si erano rifugiati lì e probabilmente erano il primo bersaglio di Anakin, chiamato da Sidious a distruggere l'Ordine dalle fondamenta. Prima che potesse raggiungere i bambini, vide qualcosa rantolare a terra. Corse verso la donna e la riconobbe: Jocasta. «Herzebeth... è troppo tardi...»
«Jocasta, chi è stato a farti questo?»
«Il ragazzo che... Qui-Gon...»
«Anakin...»
«Proteggi i bambini. Vai. I bambini...», la pregò l'anziana Jedi. Herzebeth deglutì e annuì, accarezzò la guancia rugosa di Jocasta e, con un movimento rapido, le chiuse gli occhi, pregando affinché la Forza la accogliesse. Spalancò poi la porta e indietreggiò di qualche passo davanti all'orrendo spettacolo: una decina di bambini erano morti, uccisi da una spada laser, a terra. Sentì il rumore di un combattimento in corso e un urlo acuto. Herzebeth non guardò a terra, corse dove aveva sentito l'urlo. Arrivò appena in tempo.


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