Capitolo 14

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Uno sparo, l'F.B.I a correre verso un mangazzino abbandonato, lei pure insieme ad una bambina e al dottor Agasa. Dentro c'era un uomo biondo con una pistola puntata sulla testa, un altro sparo...si era ucciso. Oltre al cadavere di quell'uomo, a terra, c'era un ragazzo con tanto sangue attorno: era Shinichi. Ran correva verso di lui insieme ad Agasa e alla bambina mentre un'agente dell'FBI ordinava di chiamare  un'ambulanza. Shinichi aveva aperto gli occhi e chiedeva a lei di perdonarlo per una promessa. Lei piangeva e gridava il suo nome mentre il ragazzo chiudeva gli occhi.

...

Ran si svegliò di botto mettendosi a sedere. Era tutta sudata, impaurita e stava piangendo. Aveva appena fatto un sogno orribile su Shinichi. Ma era convinta che fosse anche un ricordo. Se, come dicevano Araide e Sharon, Shinichi era un criminale, allora perché nel sogno lei piangeva per lui. A meno che, il vero protagonista del sogno fosse Araide. E poi chi era quella bambina con Agasa? E perché non c'era Sharon con l'FBI? Non era sempre stata lei a occuparsi degli uomini in nero? Troppe domande affollavano la mente di Ran. Voleva una risposta e la voleva immediatamente. Si alzò e andò in bagno a sciacquarsi il volto poi si asciugò e andò da Araide per svegliarlo. Aprì leggermente la porta e lo chiamò a bassa voce finquando lui non aprì gli occhi.
-Ran, tutto bene?-
Si strofinava gli occhi e aveva un tono di voce evidentemente irritato.
-Scusami se ti disturbo a quest'ora ma devo chiederti una cosa-
-Avanti, parla-
-Ti hanno sparato una volta?-
Araide levò la mano dagli occhi ancora doloranti per il sonno e la guardò dritta negli occhi impietrito.
-Sei pazza? No, mai! Adesso torna a letto è inutile che vieni qui a svegliarmi per queste idiozie!-
La cacciò bruscamente dalla stanza e lei se ne andò senza dire nulla. Qualcosa non le quadrava più. Le era stato detto che in tutti i suoi ricordi c'era Araide ma, allora, perché lui negava sempre? L'aveva fatto anche la sera prima con il ricordo sull'acquario. Però, forse, una soluzione c'era. Decise di fare passare un'ora in modo che Araide si addormentasse di nuovo e poi di andare in quel magazzino. Voleva ricordare meglio quel momento senza nessuno che la influenzasse. Nel sogno aveva visto delle barche e anche il mare quindi capì che, sicuramente, il magazzino abbandonato si trovava al porto. Si vestì mettendo una tuta e delle scarpe da tennis che le aveva tornato Shinichi. Poi, facendo attenzione a non fare rumore, uscì di casa senza farsi notare. Di notte, a Beika, c'era sempre qualche tassista che girava e Ran lo trovò subito. Si fece accompagnare al porto, pagò e fece andare via il tassista non curante di come tornare a casa. Quel luogo le metteva paura e provava una strana sensazione di tristezza e preoccupazione. Prosegui lentamente per paura che qualcuno la seguisse poi aprì il grande cancello arrugginito. Dentro c'erano due punti diversi e distanti circondati dalle strisce di isolamente della polizia, quelle nere e gialle con cui si isola la zona di un delitto. Nel punto più vicino c'era solo del sangue, era molto. Nel punto in fondo al grande spazio vuoto all'interno della struttura, il sangue, invece, era circondato da una figura umana fatto col gesso. Ran intuì subito che nel punto più vicino qualcuno era stato solo ferito e che in quello più lontano qualcuno era morto. Ricordò il sogno fatto un'ora prima e dedusse che l'uomo morto doveva essere quello che si era ucciso da solo mentre lì doveva doveva esserci Shinichi ferito. Si avvicinò mettendo le mani a terra per toccare quel punto e il ricordo sfocato che aveva di quel giorno, improvvisamente, fu piú chiaro che mai: quello nel sogno era sicuramente Shinichi, non era Araide. Ma c'era ancora una domanda: perché lei aveva pianto se lui era un criminale che le voleva fare del male? Sicuramente c'era una spiegazione plausibile e stavolta avrebbe chiesto spiegazioni a Sharon. Adesso doveva capire come tornare a casa. Non aveva intenzione di chiamare Araide dato che era stato un gran cafone prima, quindi, optò per Sharon. Prese il cellulare e fece partire la chiamata ma nessuno rispondeva. Sicuramente non poteva restare lì tutta quanta la notte col rischio che qualcuno le facesse del male. Dopo attenta riflessione decise di chiamare l'unica persona che era certa l'avrebbe aiutata.
-Pronto?-
Aveva la voce impastata dal sonno e ogni tanto sbadigliava al telefono. Sicuramente non si era accorto neanche di chi fosse la chiamata.
-Shinichi...-
-Ran! Che succede?!-
Si era svegliato tutto in una volta allarmandosi per la telefonata.
-Nulla, ho solo bisogno che tu mi manda un taxi...-
-Sei fuori a quest'ora?!-
-Ti chiamo solo perché non avevo altra scelta...sono al magazzino abbandonato del porto-
-Cosa ci...-
Ran non lo fece proseguire e gli chiuse la telefonata in faccia. Non aveva voglia di sentire una sua ramanzina. Era l'ultima persona che gliela poteva fare. Aspettò circa dieci minuti e poi vide spuntare la luce dei fari del taxi. Fece segno di fermarsi con la mano e salì ma non era sola: dentro l'auto c'era anche Shinichi. 
-E tu cosa ci fai qui?-
-Questo te lo dovrei chiedere io...anche se lo so già-
Certo era ovvio, era un detective. Solo che a Ran dava su i nervi il suo modo di fare: diceva quello che intuiva ma alla fine non spiegava mai come aveva fatto. Bè quella volta non voleva neanche saperlo quindi non glielo chiese.
-Sei stata incosciente a venire qui, almeno adesso hai capito che quello ero io? Hai bisogno di altre conferme?-
-No, non ne ho bisogno...adesso accompagnami da loro-
-Cosa? Ma hai appena detto...-
-So quello che ho detto, quindi? Non significa nulla, l'unica cosa da capire è perché piangevo per te..-
-Forse perché mi amavi?-
-Ho la costante paura di non ricordare i dettagli importanti. Sei così speciale che da quando non sei più vicino a me tutti i miei sorrisi, anche quelli più felici, sono un po' più spenti-
Ran abbassò la testa e strinse le mani in mezzo alle gambe. Non sapeva se prima lo amava o se amava Araide però era certa di una cosa: lo amava adesso, lo amava più della sua stessa vita. Avrebbe attraversato qualsiasi pericolo per stare con lui. Il problema era che lei pensava che il pericolo fosse lui. Iniziò a piangere non appena iniziò a riflettere sui suoi sentimenti. Nonostante continuasse a dire che era un criminale e, dunque, che doveva stare lontana da lui, quando aveva bisogno, era la prima persona a cui pensava. Ran si fidava di Shinichi e questo fin da quando erano bambini. Vederla piangere per Shinichi era straziante. Avrebbe preferito essere ucciso lui che vedere piangere lei. Era tentato di stringerla a sé ma non lo fece. Non voleva peggiorare le cose. Ma, Ran, si era accorta di quello che voleva fare, di quell'impercettibile movimento che aveva accennato.
-Fallo, ti prego, ne ho bisogno-
E fu così che, dopo giorni senza poterla sfiorare, la strinse a se. Il loro non si poteva chiamare amore perché quello è un sentimento che prima o poi passa, un sentimento quasi banale...no, il loro era molto di più di quella semplice parola, di quel semplice sentimento. 
-Stai attenta, ti prego. Ricordati che c'è differenza tra quello che si vede e quello che si pensa-
E lei sapeva quello che aveva visto, lo sapeva perfettamente. Aveva visto l'amore della sua vita, in tutti i suoi ricordi c'era Shinichi, no Araide, Shinichi...e chiunque fosse, lei si fidava e lo amava.
-Shinichi...-
-Si?-
-Ti amo-

Non basta più il ricordo ora voglio il tuo ritorno ~2~Where stories live. Discover now