XXXII Iris: LICENZIAMENTO

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Canada, 3 luglio 2010

"Mi dispiace Iris, sei licenziata!"

La voce di Pedro mi martella in testa, da una tempia all'altra, in modo ripetitivo e costante, mentre attraverso le vie di Banff, tornando a casa.

"Ho bisogno di una cameriera più efficiente. Niente di personale, ma tu hai i tuoi problemi e per questa taverna non sono certo la cosa migliore."

Una cameriera più efficiente!
Non lo sono? Eppure ho servito i tavoli sempre in modo impeccabile.
Non ho mai sbagliato un'ordinazione.
Niente di niente.
Poi cosa c'entrano i miei problemi?
Tutti ne hanno! Cosa hanno di speciale i miei?
Forse Pedro non intendeva i problemi in quanto problemi.
Lui intendeva la mia malattia.

Credevo che fosse una persona diversa, invece si è rivelato un uomo ipocrita e egoista, proprio come tutto il resto della gente.

Finalmente arrivo al grande cancello della mia abitazione.
Percorro il giardino e scappo su per le scale.
Non voglio parlare con nessuno.
Non voglio parlare con mio padre.
Una sola parola e scoppierei in lacrime.

Purtroppo non sono abbastanza veloce, papà, sentendo i miei passi pesanti sulla gradinata, viene a vedere cosa mi sia successo.
Sono appena uscita, non dovrei essere già di ritorno.

Prima che lui apra bocca per pormi qualsiasi tipo di domanda, sono io a parlare: " Pedro mi ha licenziata"

Mi soffermo sull'ultimo gradino, studiando il suo viso. Sembra dispiaciuto.

"Non le serve una cameriera malata. Ha bisogno di una ragazza in piena salute" butto fuori con amarezza.

Mio padre è indeciso se rimanere fermo e lasciare che prosegua, fino a chiudermi in camera a sfogare e sbollire la brutta notizia, oppure venirmi incontro e provare a consolarmi.
Alla fine opta per la seconda.
Non avevo dubbi.
Salta a due a due gli scalini e mi accoglie tra le sue braccia.

Le lacrime mi escono senza che possa fare niente per fermarle.
Piango. Non tanto per il lavoro in sè, infondo era solo quello di una cameriera, ma per il modo in cui sono stata trattata.
Mi sono sentita una persona incompleta.

"Mi dispiace, papà" sussurro.

"Non preoccuparti, bambina mia" soffia tra i miei capelli. "Ce la faremo anche senza i soldi di Pedro. Chiederò al responsabile del Parco un anticipo per questo mese e farò un paio di turni in più alla settimana. Ultimamente non sei stata molto bene, un po' di riposo non ti farà male..."

Le parole di mio padre mi fanno stare peggio.
So che lui cerca solo di rendersi utile, ma aumenta il mio senso di disagio.
Non essere in grado di mantenermi un lavoro, di essere autonoma almeno nelle cure, mi fa sentire inadeguata.

"Non voglio sacrificarti" schiaccio la guancia contro la sua spalla. "E' così umiliante..."

"Non dirlo neanche per scherzo. Farei qualsiasi cosa per la mia bambina" mi stringe a sè con vigore, " qualsiasi!"

"Lo so" singhiozzo.
***

Non è facile addormentarsi presto quando sei abituata a far tardi tutte le notti.
Non è facile riprendere il ritmo, quando dentro la tua testa frullano così tanti pensieri, da poterci tirare fuori una macedonia.

Smetto di fissare il soffitto. Mi tiro sù e controvoglia assumo i miei farmaci.
La scatola di vitamine sta quasi finendo.
Domani dovrò passare in farmacia a prenderne una nuova.
Nel salvadanaio ho ancora qualche dollaro.
Li prendo e li metto nello tasca anteriore dello zaino.

Poi afferro la penna e faccio la mia dose di insulina. I miei gesti sono meccanici e rimpinguano il varco di dolore che porto dentro.

Apro il mio diario.
Ho così tante parole brutte e frustanti da scrivere.
Sospiro e scorro con l'indice sulla pagina di ieri. Era una pagina colorata e felice.
Parlava di Dylan. Il principe Dylan.

Una lacrima cade dai miei occhi sul foglio. L'inchiostro della sua iniziale si ingrandisce fino a sbiadirsi. Improvvisamente mi viene in mente come potrebbe essere adesso averlo al mio fianco. Seduto sul letto proprio vicino a me.

Chiudo gli occhi e immagino le sue braccia, il suo profilo, i suoi capelli.
Allungo la mano, fingendo di stringere la sua.
Serro le dita in un pugno ed è come se toccassi la sua pelle.
Il mio cuore trema, facendomi uscire un sorriso.

Mi asciugo le lacrime e stringo i denti.
Sono una Sanders e devo andare avanti.

Nella pagina di diario di oggi non scriverò niente di negativo.
Nessuno sfogo personale, nessuna accusa contro Pedro, contro il mondo.
Appunterò soltanto di quanto io sia forte e quanta voglia abbia di lottare e vincere.

E poi, per qualche strano motivo, il solo pensare a Dylan, il solo fingere che sia al mio fianco, mi dà forza. Quella giusta, quella necessaria per potermi addormentare e risvegliare con lo stimolo di andare addirittura volentieri al centro.
Non so cosa stia succedendo dentro di me, ma anche solo rivedere quel ragazzo mi spinge a non abbattermi.

"Ehi, bambina mia!" papà entra nella mia stanza.

Apro gli occhi.

"Stavi dormendo?"

Scuoto la testa.

"E' per te" mi passa il cordless, mimando con le labbra il nome di Steve.

Allungo la mano per prenderlo.
Mi rendo conto che ho ancora le dita strette in un pugno, o meglio ancora avvinghiate a quelle immaginarie di Dylan.

"Pronto?"

Papà torna di sotto. Sento i suoi passi scendere lungo la scalinata.

"Tuo padre mi ha detto tutto. Mi dispiace" dice il mio amico dall'altra parte della linea. "Anche se non ero d'accordo sul fatto del lavoro, immagino come tu possa sentirti in questo momento. Pedro non avrebbe dovuto trattarti così!"

"Grazie Steve" soffio nella cornetta.

"So quanto tu detesti essere aiutata, ma io posso farlo. Lascia che la mia famiglia ti venga incontro con un sostegno economico"

"No, Steve. Non insistere. Per favore..." rifiuto.

Non accetterò dei soldi dalla famiglia Cox.
Non per la dignità della mia di famiglia.
Io e mio padre ce la faremo ugualmente.
Da soli.

Steve è contrariato, "Odio la tua testardaggine!"

"Odio la tua benevolenza!"

Lui soffia dentro il telefono, "Buonanotte, ragazza"

"Buonanotte, amico mio"

Poso il cordless sul comodino, scivolo il diario sotto al letto e mi allungo sul materasso. Socchiudo le palpebre.

Tamburello con i polpastrelli sulle lenzuola.
Fingo che anche Dylan tamburelli con i suoi vicino ai miei, fino a quando le nostre dita non si incontrano, intrecciandosi le une alle altre.

Poi il sonno si impadronisce completamente del mio corpo. Mi addormento mano nella mano con il mio principe.
O almeno sogno di farlo.

L'AMORE NON ESISTEWhere stories live. Discover now