LXXXIX Dylan: COSA MI HAI FATTO, IRIS?

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Canada, 26 luglio 2010

Tu sai amare, questa è un opera d'amore...

Le parole di Iris girano nella mia testa proprio come i miei vestiti dentro l'oblò dell'asciugatrice.

Quello che è successo stasera mi ha tolto dieci anni di vita. Vedere Iris così debole e infreddolita è stato tremendo. Per un attimo non ho capito più nulla e ho avuto davvero paura.

Cos'altro avrei dovuto fare? L'ho aiutata ed è stata una fortuna che io sia riuscito a farlo! Non si tratta di amore, solo di buon senso.

Il mio stomaco si schiaccia, come stretto da una morsa. Tutto il mio spavento, tutti quei battiti fuori controllo e la voglia di quell'abbraccio, sono molto più che semplice buonsenso. E' chiaro che sia così, ma è anche chiaro che questo sia contro la mia vera natura.

Ancora una volta le mie certezze traballano, fin quasi a sgretolarsi. Vorrei avere del whisky adesso per allontanare tutte queste nuove sensazioni che mi attraversano il corpo.
Mi basterebbe anche un po' di rum o di gin.
Mi basterebbe un semplice alcolico.
Potrei cercarlo nella cucina dei Sanders oppure nel loro salotto. Poso la mano contro l'elettrodomestico e piego la testa. Respiro forte e cerco di riprendere il controllo di me stesso. Iris è di sopra e io mi sento solo uno stupido a pensare al bere e alle sue conseguenze. Non sono un ladro e neanche un alcolista. Posso farcela. Posso farcela anche senza cadere così in basso. Io sono migliore di Tara e Brian, sono più forte di loro e devo dimostrarlo soprattutto a me stesso.

L'asciugatrice emette un piccolo suono acustico, annunciandomi la fine del suo lavoro. Tolgo i vestiti e li indosso. Sono caldi e averli sulla pelle è davvero una piacevole sensazione.

Quando esco dalla lavanderia, la figura del signor Sanders che rientra, mi coglie di sorpresa.

"Dylan!" dice l'uomo, sfilandosi gli stivali e abbandonandoli sulla soglia. La porta sbatte spinta dal vento.

"Signore, buonasera" biascico, "io...io ho utilizzato la vostra asciugatrice. La tempesta...ecco, io e Iris eravamo fuori e l'auto...abbiamo forato e ci siamo bagnati..."

Mike Sanders si avvicina. Si toglie l'impermeabile e lo abbandona su una sedia, senza preoccuparsi delle gocce di acqua che si depositano a terra.

"Dov'è mia figlia?" chiede.

"Di sopra, nel suo letto" dico.

"Sta bene?" I suoi occhi, così somiglianti a quelli di Iris, mi destabilizzano quasi.

"Sì. Ha preso molto freddo e mi ha fatto spaventare, ma adesso è al sicuro" sospiro.

"Non è una buona cosa per mia figlia aver preso molto freddo. Sta combattendo già contro un'infezione, pochi giorni fa aveva la febbre e...accidenti! Per lei anche un semplice raffreddore può essere letale, credo tu lo abbia capito, vero Dylan?"

"Non avrei dovuto portarla fuori, sono stato uno stupido a non pensare alla tempesta in arrivo! Poi la gomma forata...oh...mi dispiace così tanto..."

L'uomo si butta a sedere sulla sedia. Le sue spalle si abbassano e le sue mani si portano tra i capelli.

"Non è colpa tua" dice, liberando un lungo e prolungato sospiro, "e poi i sensi di colpa non servono a niente. Iris è una ragazza con la testa sulle spalle e sa quello che fa. Stammi a sentire: qualsiasi cosa succeda non devi mai sentirti responsabile. Non ho mai visto gli occhi di mia figlia così splendenti come in questa estate, non l'ho mai vista così serena e in alcuni momenti addirittura felice. Credo che tu c'entri con tutto questo, quindi, non dispiacerti mai e sii felice di ciò che hai fatto per lei. L'hai fatta sentire viva e donna e io devo solo ringraziarti..."

Faccio un passo indietro e poi un altro ancora. "Io credo che è l'ora di tornare a casa" farfuglio, puntando verso l'uscita.

L'uomo aggrotta la fronte. "Vuoi dire che tu hai intenzione di andare alla tenuta Cox con questo tempo?" domanda, "e poi come? La tua auto è fuori uso..."

Apro e chiudo la bocca senza però parlare.

"Puoi restare qui per questa notte" dice lui.

"Non vorrei disturbare, io..."

"Hai intenzione di uscire dalla porta principale e passare dalla finestra?" Un sorriso sghembo si materializza sul volto stanco dell'uomo.

"Cosa, cosa...intende?" balbetto.

"Ehi, ragazzo! Non sono stupido. Anche io da giovane mi arrampicavo sugli alberi per spiare le ragazze. Non è una tecnica poi così moderna!"

"Io...ecco, posso spiegarle, davvero..."

"Non voglio spiegazioni. Voglio solo che giri le chiappe e torni di sopra. Vai da Iris e comportati bene con lei. Mi piaci come genero!"

"Signore, io...tra me e Iris non..." continuo a biascicare, come uno stupido.

"Sei ancora qui?"

Mi volto e senza aggiungere altro torno al piano superiore. Mi sembra di sentire il signor Sanders ridacchiare.

Iris sta già dormendo.
Per un secondo resto in piedi a guardarla.
Il suo volto è sereno e rilassato. Sembra una bambola, una bellissima bambola addormentata. Il suo torace si alza e si abbassa e anche la sua pancia compie gli stessi movimenti ampi, posso vederli nonostante sia coperta fin sopra le spalle.

Il mio cuore batte forte adesso. Batte fino a sentirlo dentro i timpani e dentro la testa.
E' un suono nuovo, un suono che non oso classificare. Mi sento diverso, mi sento un ragazzo perso. Un corpo senza anima. Un ragazzo che sta cercando la sua vera identità.
Il passato non conta più, il presente è indefinito e il futuro è incerto.

"Cosa mi hai fatto, Iris?" sussurro, avvicinandomi alle sue labbra.

Il profumo del suo respiro mi sconvolge.

L'attrazione supera ogni limite e io non posso fare a meno di baciarla. Le mie labbra sfiorano delicatamente le sue. E' qualcosa che sento di fare, qualcosa che mi spinge, qualcosa dannatamente più forte del desiderio di alcol o di fuga. Qualcosa che viene da chissà quale parte del mio essere.

Poi mi allontano dalle sue labbra e la guardo dormire. Deve fare un bel sogno perché la sua bocca sembra quasi sorridere.

L'AMORE NON ESISTEWhere stories live. Discover now