XCIV Iris: IL MIO OSSIGENO SEI TU

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Canada, 27-28 luglio 2010

Steve recupera tutti i suoi vestiti e fugge in bagno. Dylan sa come stuzzicarlo e lui d'altro canto non sa come moderare la sua rabbia.
Si è messo completamente a nudo davanti ai miei occhi e la cosa è stata alquanto imbarazzante. Non che non lo avessi mai visto come mamma l'ha fatto, sia chiaro, ma l'ultima volta credo che avessimo più o meno sei anni. E non è esattamente la stessa cosa!

"Piaciuto lo stacchetto?"

Dylan è di nuovo vestito o almeno, quasi. Ha i jeans sbottonati e la camicia aperta.
Il mio cuore perde un colpo, mentre lui si avvicina al fuoco e a me. Cerco di restare calma. Tutta questa agitazione non mi fa per niente bene!

"Decisamente migliore dei protagonisti del film" convengo, arrossendo.

Dylan porta le dita tra i ricci, scompigliandoli. E' bellissimo. Decisamente e tremendamente bellissimo.

"Forse è meglio se adesso spegniamo il fuoco e torniamo dentro" dice, "troppe emozioni, non è vero? Non voglio sentirmi responsabile di un'altra tua ricaduta..."

La flebo sopra la mia testa continua a scendere indisturbata, emettendo un suono delicato e sottile, in perfetta contrapposizione con le prepotenti pulsazioni del mio cuore.

"Sto bene, non ho freddo" lo tranquillizzo.

Lo scialle mi ripara dalla brezza leggera e la sola presenza di Dylan è sufficiente a non far scendere eccessivamente la temperatura del mio corpo. Non so da dove proviene tutto il calore che emana, ma è forte, quasi quanto quello del fuoco.

Dylan mi porge la sua mano e io la sfrutto per mettermi in piedi.

"Mi sono divertita questa sera" confesso.

Lui resta davanti a me. Immobile. Un sottile alito di vento gli fa volare la camicia, scoprendo il suo torace maggiormente.

"E' quello che speravo sentirti dire!"

I miei occhi restano incollati ai suoi.
Per un attimo dimentico la bombola di ossigeno al mio fianco, la flebo e il male di questi giorni. Per un attimo dimentico tutto e siamo solo io, Dylan e il fuoco.

"La parte finale è stata la mia preferita" sussurro.

Dylan affonda gli incisivi nel labbro inferiore, tirandoselo. "Non avevo dubbi!" annuisce.

"Prima che Steve avesse quel colpo di genio, ovviamente!"

"Ovviamente!" ride.

Le nostre risa si confondono con i nostri respiri e con la notte. Poi l'idillio viene immancabilmente spezzato dalla tosse, che mi assale subdola e meschina. Dylan mi aiuta a tornare seduta e io mi aggrappo a lui, indebolita.

"Scusami" riesco a dire, tra un colpo e l'altro.

Sento il torace riempirsi di secrezioni e ho davvero un gran bisogno di buttarle fuori, ma non posso farlo. Non così, non davanti al ragazzo che si è appena spogliato per me.
Mi vergogno e improvvisamente mi sento inadatta. Mi sento malata più di sempre, più di qualsiasi altro momento della mia vita.
Gli occhi scuri di Dylan cercano i miei, mentre le sue mani mi spostano i capelli dalla faccia.
E' un angelo, un principe, è un essere sovrannaturale e bellissimo che è piombato nella mia vita, migliorandola. Non si merita tutto questo. Non di vedere quanto io soffra e neanche quanto questa assurda malattia sia umiliante per me.

"Ehi, non devi scusarti..."

La sua premura mi fa stringere il cuore.
Chiudo gli occhi e cerco di reprimere la tosse e con essa tutte le secrezioni che dovrei invece espellere.

L'AMORE NON ESISTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora