28.

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Il viaggio in aereo fu, in assoluto, uno dei momenti più lunghi della sua vita. Dopo una notte a Las Vegas non aveva perso altro tempo, anzi, si era subito diretto in aeroporto e aveva preso il primo volo per Boston.

Tornato in città, si era subito fiondato in un'agenzia di noleggio auto, aveva preso una Land Rover nera e aveva impostato, sul navigatore, la strada per raggiungere Eagle Rock.

Era l'ultima speranza che gli rimaneva per trovare Kyle e Tyler.

Senza neanche tornare in appartamento per posare le valigie, schiacciò il piede sull'acceleratore, uscendo dalla città dopo neanche un'ora e immettendosi nei lunghi sentieri asfaltati che portavano alla riserva naturale di Breaklove.

Gli alti pini verdi, crescevano rigogliosi ai lati della strada. La natura era così maestosa, quasi se n'era dimenticato vivendo, da sempre, nel pieno della città. Dovette anche rallentare quando vide, in lontananza, il profilo di un cervo incerto se passare o meno. Fu catturato dal silenzio assordante che circondava quel posto ma, più di tutto, sentiva un peso sul petto, talmente forte, da impedirgli di respirare normalmente.

Cosa avrebbe fatto se li avesse trovati? Era più che sicuro che avrebbe preso con sé Tyler e non l'avrebbe lasciato mai più. E se non li avesse trovati? Non c'era tempo per pensare a un risvolto negativo. Doveva concentrarsi sulla strada e, soprattutto, trovare quel maledetto capanno.

Una volta giunto a Eagle Rock, il grande lago gli riempì gli occhi: il prato verde, perfettamente curato dai tanti animali che affollavano il posto, si estendeva attorno alla pozza d'acqua che assunse delle tonalità grigie per via del cielo nuvoloso che sovrastava quel luogo.

Scese dall'auto, lasciandola parcheggiata al lato del sentiero, immergendo i piedi nel terreno erboso e sentendone la morbidezza, passo dopo passo. Scostò i lunghi capelli dal viso, portandoli dietro le orecchie e, con il cellulare in mano, si addentrò nel bosco alla ricerca del famoso capanno.

Non seppe esattamente quanto tempo fosse passato, sapeva soltanto che gli sembrava di girare a vuoto. Fortunatamente, però, l'autunno che stava per concludersi, aveva distrutto gran parte del verde presente attorno a lui così da facilitargli la vista e ritrovare, facilmente, un punto di riferimento, il lago.

Continuò a camminare certo che, da un momento all'altro, avrebbe perso le speranza. D'altronde, l'aspetto da surfista e l'abbigliamento casual erano solo una facciata perché, in realtà, Sammy, era un tipo piuttosto pigro. Col fiatone, un leggero velo di sudore e una voglia assurda di bere dell'acqua fresca, si guardò intorno ancora una volta finché, sgranando gli occhi, intravide un tetto marrone sbucare da dietro un albero.

Il capanno era praticamente uguale a come l'aveva visto in foto. Tranne che per qualche piccolo particolare usurato dal tempo e dalle circostanze metereologiche, era assolutamente intatto. Vi girò intorno alla ricerca di un'apertura fin quando non trovò la porta, in legno, che ne segnava l'entrata.

Sembrava completamente deserto e, in effetti, nonostante avesse bussato un paio di volte, sentì soltanto il suono di qualche uccello che passava nei dintorni. Attese ancora qualche secondo, cercò di scrutare al suo interno, attraverso l'unica finestra posizionata proprio accanto alla porta e poi, decise di aprirla da solo.

Dopo un paio di tentativi, riuscì ad aprire la vecchia porta con una spallata, provocando un rumore talmente forte che fece alzare in cielo uno stormo posizionato su un albero vicino. La polvere era talmente tanta, che i capelli dell'uomo assunsero una tonalità grigia e, la puzza di chiuso, segnava che nessuno, almeno non negli ultimi anni, era stato in quel luogo.

Vuoto totale. A parte qualche escremento animale e un paio di scarafaggi che poté vedere correre a nascondersi, non c'era altro in quel capanno, né in quella zona.

Sammy lasciò cadere le braccia lungo il corpo. Ogni speranza di ritrovare Kyle era svanita.

Sentì gli occhi farsi liquidi, si maledisse per averlo lasciato andare e, in silenzio, circondato dall'immensità della natura, riprese il cammino verso l'auto in sosta.

"Novità?" domandò Cameron, dall'altra parte della cornetta, quando Sammy si decise a rispondere al telefono.

«Non l'ho trovato e non lo troverò mai.» rispose con un filo di voce, continuando a guidare. Ormai gli mancava poco per rientrare in città.

"Cazzo amico, mi dispiace. Domattina passa in centrale, posso chiedere a un paio di colleghi."

«No, va bene così. Se ha deciso di fuggire, devo lasciarlo andare.»

Si sentì uno sospiro.

"Va bene Sam, ti chiamo stasera."

**

L'umore di Samuel era a terra. Era convinto di non aver mai sofferto tanto in vita sua ma, d'altronde, non aveva mai amato nessuno come amava Kyle. Si sentiva come spezzato in due, come se gli avessero tolto una parte di sé. Come se il suo cuore fosse stato estrapolato dal petto e poi calpestato da centinaia di persone. Non aveva mai avuto un bel rapporto con la sua famiglia, quindi non aveva mai provato la sensazione di perdere qualcuno. Solo quando Mark decise di partire per New York si era sentito in modo simile, ma niente aveva a che vedere con la sofferenza che, in quel momento, rischiava di farlo cedere.

Attraversò la città senza neanche rendersi conto della strada. Un paio di volte sentì il clacson di qualche guidatore che, stanco di attendere, iniziava a strimpellare per farlo andare avanti. Sammy non era presente, non nella realtà almeno. Era completamente immerso dai suoi pensieri, dallo splendido volto di Kyle che sorrideva con gli occhi d'acciaio e i denti bianchissimi. Dal suo corpo tonico, dalla voce soave e da quei pochi ricordi che gli erano rimasti, fatti di momenti di intimità, di gioia, di famiglia.

Anche il piccolo Tyler aveva un posto nel suo cuore. Con quell'atteggiamento maturo, la voglia di essere comunque bambino e il sorriso contagioso, così simile a quello del fratello.

Arrivato sulla Freedom Trail, decise che non sarebbe passato dall'ufficio, anzi, si era messo in testa di non andare alla Fairfield per almeno una settimana. Voleva tornare nel suo appartamento e ubriacarsi fino a dimenticare.

Sì, questo era il suo piano.

Entrò nel palazzo con la testa china, raggiunse l'ascensore e vi entrò dentro, premendo poi, il tasto per arrivare al suo piano. Non osò neanche guardarsi nell'ampio specchio, sapeva, che se l'avesse fatto, avrebbe visto il rifletto di un uomo distrutto, un uomo solo.

Quando l'ascensore emise il bip, segnalando l'arrivo a destinazione, Sammy osservò il mazzo di chiavi che teneva tra le mani, stringendolo come fosse un appiglio, selezionò la chiave del suo appartamento e fece qualche passo lungo il corridoio. Ma il suo percorso si interruppe subito quando, di fronte a sé, apparirono gli occhi color acciaio che tanto aveva sognato di vedere negli ultimi giorni.

«Kyle.» sibilò, senza fiato, lasciando cadere le chiavi dalla mano e sentendo il terreno mancare sotto i piedi.

«Sono tornato da te.» rispose, il giovane, con gli occhi lucidi.


Love Made Me Do ItWhere stories live. Discover now