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Parcheggiai l'auto, nello stesso posto, in cui l'avevo presa la sera prima.
Sospirai. Ero nervoso. Più spaventato, da una possibile e sicuramente negativa, reazione da parte dei miei genitori.
Bianca si era cambiata i vestiti, avevamo nascosto ogni possibile traccia di festa su di noi.
Scendemmo dall'auto.
«Ma che fine avevate fatto?!» esclamò Rob con il suo vocione profondo.
«Siamo andati a dormire da Austin.» risposi frettolosamente.
«Io non direi proprio..» la voce di mio padre era palesemente arrabbiata.
Io e Bianca ci girammo contemporaneamente verso di loro.
«Mamma.. Papà.» sorrisi nervosamente.
«Dove siete stati?» chiese la donna, incrociando le braccia la petto.
«A dormire da Austin. Una specie di pigiama party.» annuì, Bianca.
«E non dite nemmeno la verità!» gridò mio padre, tutto rosso di rabbia in volto.
«Ci hanno chiamato i signori Rothschild.» aggiunse mia madre severamente.
«Cazz..» sussurrai.
«Non l'abbiamo fatto apposta!» fu la prima cosa che mi venne in mente.
Quando ero nel panico non pensavo realmente a ciò che dovevo dire. Reagivo di impulso.
«Mi prendi anche in giro adesso?!» gridò nuovamente.
«No.. Ma..» non mi lasciarono finire.
«Scordati di uscire con i tuoi amici per i prossimi due mesi!» grido mia madre.
«Ma..» alzai l'indice.
Non era tanto per la punizione, ormai ci ero abituato, più che altro perché mia sorella ne era uscita inerme e intatta, senza nessuna preoccupazione e senza nessuna punizione.
«Bianca è venuta con me! Cioè praticamente mi ha costretto!» gridai indicandola.
Okay, non era del tutto vero.
Lei mi diede un calcio sullo stinco della gamba destra.
«Ahia! Ma sei scema?!» le diedi una gomitata.
«Non credo proprio signorino. Si da' il caso, che qui il più grande sia tu, che quindi hai una maggiore influenza, una cattiva influenza, su di lei.» disse mio padre duramente.
Schiusi la bocca.
«Papà! Ma.. Non è vero!» allargai le braccia, più basito che mai.
Mia madre si avvicinò furiosamente, tanto che pensai che mi avrebbe tirato uno schiaffo in pieno viso. Chiusi istintivamente gli occhi.
Lo riaprii quando invece, prese il mio cellulare, dalla mano.
«E questo lo prendo io!» gridò ancora.
«Per due mesi? Mamma stiamo scherzando?» esordii ridacchiando.
«Ti permetti pure di ridere?! Manuel questo comportamento non lo accetto in casa mia!»
Manuel. Uh.
Ero stanco già delle urla. Sapevo che non sarebbero finite lì.
Mi chiedevo solo, se questa situazione di tensione e rabbia, si sarebbe smorzata entro questi due mesi, di pura prigionia.
Lo speravo, perché, per quanto potessi odiare i miei genitori e mia sorella, un dialogo tranquillo e senza discussioni, mi mancava. Dato che erano rari. Forse anche per il mio carattere, che non era uno dei migliori. Ma rimanevano sempre i miei genitori e mia sorella.
E forse, la nostra non si poteva definire una famiglia del tutto unita e veritiera.
«Alle diciannove sarà pronta la cena. Non uscire dalla tua stanza fino a quell'ora.» disse poi, mio padre duramente.
Una prigione. Ecco.
«Bianca, ripeto, è venuta alla festa.» dissi scocciato, dal fatto che lei non avesse ricevuto nessun tipo di punizione.
«Sappiamo entrambi, che lei stessa si è sentita obbligata a venire. Solo per coprirti.» la voce di mia madre rimase ferma e severa. Come d'altronde era sempre.
«Ma vi sentite?! Non sta n'è in cielo n'è in terra.» risposi borbottando, irritato, presi il borsone, con forza, dalle mani di Bianca, aprendo la cerniera.
«Ecco.. Guardate quest..» alzai il vestito nero verso di loro, scoprendo in realtà che se ne erano già andati.
Abbandonai la presa, lasciandolo cadere.
Mi veniva quasi da piangere. Non ero triste. Ma arrabbiato. Mi sentivo trascurato. Non mi sentivo amato, ecco. Ma mi costrinsi a reprimere le lacrime.
«Fottiti.» dissi poi, rivolto a mia sorella, che era rimasta a guardare la scena. Mi avviai verso la scalinata, che portava alla mia stanza.
Chiusi la porta a chiave. Non avevo voglia di vedere nè sentire qualcuno. Almeno fino all'ora di cena.
Mi stesi sul letto, emettendo un rumoroso sospiro.
Avrei fissato il soffitto bianco per i prossimi due mesi.

Aspettai che arrivasse l'ora di scendere, per la cena.
Mi costrinsi a mantenere la calma, senza scoppiare a causa dell'ira, a qualsiasi frase avessero potuto dire i miei genitori.
Però non parlavano.
In sala da pranzo, si sentivano solo le forchette e i coltelli che sbattevano sul piatto, quando qualcuno di noi doveva bere.
Tossii appena, prima di congiungere le mani sul tavolo.
«Posso..» fui subito interrotto.
«No.» rispose senza nemmeno guararmi, mio padre.
Sospirai. Dovevo mantenere la calma.
«Posso andare..» ancora.
«Ho detto no. Tu starai in casa per due mesi, uscirai solo per andare a scuola.» ripetè.
«Agli allenamenti?» chiesi speranzoso.
Odiavo allenarmi, ma sperai che mi lasciassero, così avrei potuto sfogare le mie delusioni e la mia rabbia su un cazzo di pallone.
«Vedremo.» rispose mia madre sospirando.
«Comunque.. Volevo solo andare in spiaggia, a fare una passeggiata. Dopo mangiato.» scrollai le spalle, abbassando lo sguardo.
Mia madre sospirò.
Alzai lo sguardo verso di loro.
Lei spostò lo sguardo verso mio padre.
«Solo il weekend. Quando avrai finito di pulire i piatti della cena.» disse lui.
Annuii.
Non mi lamentavo.

«Allora.. Io vado.» dissi sporgendomi dalla porta scorrevole del salone.
«Che ti sei portato nella sacca?» chiese mia madre.
Le porsi la sacchetta, praticamente vuota.
Lei la aprì, tirandone fuori il contenuto, sotto lo sguardo severo di mio padre.
Una bottiglietta d'acqua, la penna e il diario.
«Questo cos'è?» chiese insospettita, prendendo in mano il libricino nero.
Le strappai dalla mano l'oggetto.
«È mio.» dissi duramente.
Sospirò.
«Torna a casa entro le undici. Puntuale.» disse lei.
Annuii, uscendo da quella casa.
Oltrepassai il piccolo bosco, raggiungendo di fretta la spiaggia, quasi deserta.
Non mi ero nemmeno preoccupato di indossare le scarpe.
Camminai sulla riva per una quindicina di minuti.
Mi sedetti su uno scoglio,davanti al molo, godendomi gli ultimi colori del tramonto. Iniziai a scrivere; qualsiasi cosa, mi capitasse per la mente.





Note:
Portatemi a Santa Monica (foto).

Dear M;;Manu RiosWhere stories live. Discover now