forty-six;

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Stavamo correndo per i corridoi della scuola. Eravamo in ritardo. In un assoluto e tremendo ritardo.
Lui rideva, forse per la mia goffaggine. Stavo correndo con uno zaino pesante che rimbalzava sulla mia schiena ad ogni passo.
Veniva da ridere pure a me.
Mi fermai, davanti alla classe di scrittura creativa.
Respirai a fondo, per riprendere fiato.
«Ci vediamo a pranzo?» chiese.
Annuii.
Lui seguiva dei corsi diversi dai miei, condividevamo solamente quello di inglese ed economia.
«Vado.» disse, lasciandomi un bacio sulle labbra.
Mugolai, attirandolo a me.
«Dai Manu, devo andare.» sorrise.
Lo baciai un ultima volta, prima che se ne andasse correndo verso l'aula di scienze.
Entrai in classe.
Il professore si voltò verso la porta, posò il gessetto sulla cattedra.
«Mi scusi davvero tanto. Le prometto che non succederà mai più.» dissi velocemente.
«Che sei stato con il tuo amico frocio? Ah no! Lo sei anche tu!» esclamò un ragazzo dal fondo dell'aula, Douglas. La classe ridacchiò.
Non doveva saperlo.
Come faceva a saperlo?
Io e Austin ci eravamo tenuti tutta la nostra storia solo con noi. A scuola ci comportavamo normalmente.
Rimasi in piedi, cercando di non sembrare troppo stupito e seccato dalla esclamazione.
«Manuel vatti a sedere. Questa volta farò finta di niente.» disse, fingendo pure che Douglas non avesse detto quel commento e che la classe non si fosse messa a ridere. Mi diede fastidio. Io e il professore avevamo un rapporto che andava oltre a quello scolastico, a volte gli parlavo delle faccende che mi capitavano. Non gli avevo più detto niente, però. Ultimamente, studiavo, prendevo appunti e basta. Senza metterci nessuna emozione, mi impegnavo quanto era necessario.
Mi sedetti al mio posto, sospirando, presi dallo zaino il quaderno e cominciai a scrivere la consegna che c'era scritta alla lavagna. Iniziai a scrivere quel testo, senza però riuscirmi a concentrare sulle parole che gettavo sulla carta.
Alla fine dell'ora, consegnai il compito, fui l'ultimo. Ero rimasto solo io.
Stavo per uscire dall'aula quando sentii un foglio che veniva stappato.
Mi girai. Sapevo che era il mio compito.
«Ho preferito farlo a pezzettini che darti una D.» mi disse.
«Ha fatto bene. Quel tema faceva schifo.» rispose.
Lui annuì.
«Per caso questa tua sottospecie di testo, è stata influenzata dal commento di Douglas?» chiese retoricamente.
«Mi sono solo stupito. Io non ho mai detto a nessuno di essere gay.» disse scrollando le spalle.
«Lo sei o non lo sei?» chiese quasi spazientito.
«E anche se lo fossi?» chiesi.
«Non ti sto giudicando, Manuel.» rispose tranquillamente.
«Sono gay. Adesso devo andare, oppure farò tardi ancora.» dissi. Poi uscii dall'aula.
Incontrai Austin nel corridoio.
«Ehi.» sorrise.
«Ciao.» sbuffai.
«Che succede?» chiese preoccupato, toccandomi il braccio.
Mi scansai.
«Che hai?» chiese corrugando la fronte.
«Douglas, quello della squadra di baseball, sa che siamo gay. Tu hai detto qualcosa?» chiesi sospirando.
«No.. No non ho detto nulla.» scosse la testa confuso.
Sospirai.
«Devo andare a lezione.» dissi cominciando a camminare. 
«No aspetta!» mi afferrò il braccio, obbligandomi a guardarlo.
«Non aspetto, perché sono già arrivato tardi ad una lezione. La professoressa di storia è molto rigida a riguardo. Ci vediamo dopo.» fuggii, letteralmente da lui.

«Spiegami.» gettò il vassoio sul tavolo.
«Non lo so! Come cazzo hanno fatto a scoprirlo? E il professore di scrittura creativa ha stracciato il mio tema.»
«Recupererai con un altro compito.» fece calmo. «Per quanto riguarda il fatto che sanno che siamo gay, okay. Lo sanno, e allora? Siamo liberi di fare e di essere quello che vogliamo. Sinceramente non mi interessa. E non dovrebbe importare nemmeno a te, cosa pensa la gente di noi. Devi imparare a fregartene. Fottitene.» disse con durezza.
Abbassai lo sguardo sul mio pranzo.
Feci una smorfia, poi annuii.
Lui sorrise.
Si mise in piedi sul tavolo.
«Austin! Scendi!» risi.
Nascosi il viso tra le mie braccia, appoggiate sul tavolo.
«Sentite qua!» gridò. A quel punto alzai lo sguardo e vidi tutti quanti fissare il biondo sul tavolo in attesa del suo annuncio.
«Io e Manuel stiamo insieme.» urlò.
Imprecai a bassa voce, ridendo.
«E non mi interessa cosa pensate, volevo solo chiarire questa faccenda prima che degeneri nel peggio.» disse.
Alcuni risero mentre urlarono degli insulti omofobi, di cui non mi preoccupai.
«Tu sei un deficiente.» rise.
«Adesso mi sento meglio.» sospirò sollevato, ridendo.
Scossi la testa, sorridendo.
«Ti adoro.» dissi mangiando una patatina.
Sorrise.

Note:
Okay, scusatemi davvero tanto, ma il mio cellulare si era bloccato e non avevo idea di come farlo ripartire. Ma ora ce l'ho fattaa!

Dear M;;Manu RiosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora