Capitolo centoventisette

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10 anni prima

Diego

Blaterò qualcosa ma non se lo fece ripetere di nuovo. Esitante, mi avvolse in una presa salda. La gracilità delle sue braccia mi diede l'impressione che mi avessero legato attorno al busto uno spago.

Misi in moto e sparimmo nel traffico di Roma. Enola mi indicava la strada per raggiungere il luogo dove avrebbe dovuto svolgere il test. Arrivammo poco prima dell'inizio. Mi mollò il casco in mano e corse a perdifiato per raggiungere il banco che le era stato assegnato mesi prima e su cui avrebbe dovuto dare il meglio di sé.

Io l'aspettai. Come sempre. L'aspettavo da anni, l'avrei aspettata una vita intera.

Dopo un'ora i suoi fluenti capelli fecero capolino oltre la porta dell'edificio fatiscente che si stagliava come un vecchio rudere. Correva verso di me e il suo vestito svolazzava lasciando intravedere le sue gambe coperte da un sottile strato di calze scure.

Aprii le braccia per accoglierla. Volevo stringerla a me.

-Cosa diavolo fai? Ti sembra il momento per fare stretching? Dammi il casco!-

Chiusi le braccia e ingoiai amarezza.

-Non durava due ore la prova?-

-Sì-

-Hai finito dopo un'ora?-

-Sì.-

-Hai finito dopo un'ora un test difficilissimo che neanche i professori a volte sanno risolvere?-

-Sì-

-Andiamo?-

Basito come non mai infilai il casco, porsi l'altro ad Enola e guidai fino all'ospedale.
Trovammo subito mia madre che avevo preventivamente avvisato del nostro arrivo.
Enola si gettò tra le sue braccia e lei la rassicurò accarezzandole la testa.

Raggiungemmo il reparto predestinato ed Enola senza rivolgermi più la parola varcò con mia madre una pesante porta in ferro che mi venne volontariamente chiusa in faccia. Mi sentii tagliato fuori dalla sua vita. Avrei fatto di tutto per lei e lo sapeva bene, eppure mi impediva di accedere completamente alla sua anima. I suoi sbalzi di umore erano imprevedibili e le sue mosse impossibili da schematizzare. Poteva dichiararti amore eterno su una scogliera e un attimo dopo buttarti giù da essa. Presi posto su un divano davanti la porta di ferro aspettando che Enola facesse la sua comparsa.

Aspettai ancora e ancora. Chiusi e gli occhi e senza volerlo caddi in un sonno senza sogni. Mi svegliò un peso comparso improvvisamente sul mio petto.

-Enola...- biascicai stropicciandomi gli occhi.

La conferma alla mia teoria dell'instabilità emotiva: prima mi disdegnava poi si accoccolava contro di me.

-Mamma sta bene, per ora. Stasera saprò di più. Rimarrò qui fino a quando non arriverà mio zio dalla Sicilia, è già in viaggio.-

Enola si sistemò meglio su di me e non disse nulla.

-Ti ho dato il permesso per appoggiarti?- dissi tentando di sembrare serio.

Sussultò e provò ad allontanarsi ma io la strinsi a me ridendo.

-Sto scherzando.- Le sussurrai sui capelli.

Enola mi afferrò una mano e ci giocò come un gatto con un gomitolo di lana. Accarezzava le mie dita con le sue, vezzeggiava i solchi sul mio palmo con dolcezza. Linea della vita, linea dell'amore, linea del lavoro. Era così? Non ero bravo in quelle cose, ma secondo me Enola lo era eccome perché il suo sguardo era perso in quei sentieri rosei come se le stessero rivelando il destino del mondo.

Io la guardavo dall'alto, lisciavo con gli occhi il suo piccolo naso, le sue labbra ancora screpolate e le sue guance arrossate. Forse oltre quella porta aveva ancora pianto. Volevo provare a disegnarla da quella prospettiva. Indifesa, fragile, bisognosa di affetto.

-Ti ho portato una cosa.- dissi.

Alzò la testa e mi ritrovai a pochi centimetri dalle sue labbra. Enola guardò la mia bocca e poi puntò i suoi occhi nei miei.

-Cosa?-

Presi il mio zaino da terra e ne tirai fuori un libro che le porsi.
Enola lo afferrò e sorrise.

-Hai rubato l'Eneide dall'ufficio del preside?-

-Tecnicamente ne aveva tre copie, può sopravvivere con una in meno.-

Era lo stesso libro che aveva toccato mesi prima. Lo avevo preso mentre Enola era corsa in aula a recuperare le sue cose. Ero arrivato qualche istante prima e avevo approfittato di quel breve arco di tempo.

-Hai fatto bene a rubarlo, così potrò minacciarti di dirlo al preside quando più ne avrò voglia.-

-Come vuoi.- feci spallucce.

Enola lo aprì. La morte e la maledizione di Didone.

-Neanche io sono Enea.- le dissi.

-Mi hai tradito. Hai dato ragione al preside. Mi hai abbandonato.-

-Non è vero. Non ti ho abbandonato ad un futuro in cui avresti avuto rimorsi per una scelta sbagliata.-

Non fiatò.

-Hai salvato un sacco di vite. Anche quella del Roganti, il tuo professore preferito. Se fosse stato licenziato non lo avresti più rivisto e sarebbe finito sotto un ponte non potendo pagare l'affitto.-

-Va bene, non sei Enea.-

-Didone è salva-

-Didone è salva.-

Enola mise il broncio.

-Domani litigheremo di nuovo e dimenticarai quello che hai appena detto.- mi apostrofò.

-Un litigio non implica un'omissione di soccorso.-

-Non ti credo-

-Posso giurarlo.-

L'avevo detta grossa. Non rispettavo le promesse, figurarsi un giuramento.

-Va bene. Lo giureremo entrambi. Fammi pensare ad una formula...- esultò.

La faccenda stava prendendo una brutta piega.

-'Io giuro che ti sarò sempre accanto perché Enea è un pusillanime'-

-Che schifo.- commentai.

-Fallo tu visto che sei bravo!-

-'Ti giuro che mai sarò Enea'. Semplice e ad effetto.-

-Troppo corto. Non mi piace.-

-'Ti giuro che mai sarò Enea. Ti giuro che mai Didone morirà'. Se ti piace bene, altrimenti il giuramento te lo fai da sola.-

Enola mi diede un pugno sul deltoide che ovviamente non mi procurò il benché minimo dolore.

-Va bene.- si arrese.

-Però voglio che studi a memoria dei versi della Morte di Didone.-

-Sei una rompiscatole.-

-E daaaaaai! Fallo per me.-

-Credimi, faccio già troppo per te.-

-Daaaaaaaaaaaaai.-

Sospirai.

-Basta che poi stai zitta, mi stai facendo venire il mal di testa.- mi lamentai.

Enola battè le mani, scelse i versi da imparare e mi torturò fino a quando non seppi recitare quelle parole con pathos.

Era felice.
Ero felice.

Ogni alba rimasta (Ex ANCHE ORA- Il castello del tempo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora