•Phoberòn•

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Ormai erano le sette del mattino e Castiel aveva reputato inutile tornare a dormire, come anche Dean, che non avrebbe più voluto smettere di parlare con Castiel. Era un grande ascoltatore, ma parlava davvero poco di sé. Dean si chiese se non avesse qualche segreto, qualche esperienza passata che gli impedisse di aprirsi, o se era solo timido, mentre Castiel non poteva far altro che ricordare com'era andata l'ultima volta che si era aperto con qualcuno. Si fidava di Dean, ma era ancora faticoso riportare alla mente le cose orribili che gli avevano fatto. Anche se, pensò Castiel, avrebbe davvero avuto bisogno di togliersi quel peso dal cuore e tornare a vivere una vita degna di quel nome, con qualcuno di speciale. Qualcuno che sperava potesse essere Dean.
I suoi ricordi erano qualcosa che non voleva condividere a cuor leggero, voleva essere sicuro che la persona con cui avesse parlato avrebbe condiviso con lui quel peso e non ne avrebbe aggiunto un altro più grave da sopportare sulle sue spalle.

A Dean dispiaceva dover riportare Castiel a casa, ma alle nove sarebbe iniziato il suo turno di lavoro e non poteva tardare. Gli sarebbe piaciuto che Castiel fosse rimasto da lui e che quindi lo avrebbe ritrovato ad ora di pranzo, ma non gli era sembrato il caso di chiederglielo.
Quando arrivarono sotto casa di Castiel, non sapevano cosa dirsi. Nessuno dei due voleva che l'altro se ne andasse, ma allo stesso modo sapevano di doversi salutare, quindi ci fu un attimo di silenzio imbarazzante.
Alla fine, fu Dean a farsi coraggio e a parlare.
<<Cass, sono stato contento che tu fossi con me, ti ringrazio di essere stato così disponibile. Comunque, dovremmo rivederci>>
Dovremmo rivederci. <<Beh... c-certo Dean, mi farebbe... mi farebbe molto piacere e, ehm, solo che non so dove trovarti>>. Castiel si sentì molto stupido, non sapeva cosa dire. A Dean invece faceva tenerezza, era così dolce...
<<Beh, è per questo>> disse aprendo il cruscotto e cacciando una penna e un post-it <<che ora ti lascio il mio numero. Per qualsiasi cosa, ti risponderò>>.
Castiel cercò di non restare lì imbambolato a fissare il numero di Dean, lo ringraziò e scese dalla macchina. Entrò in casa senza voltarsi verso Dean e si sedette sul pavimento non appena ebbe chiuso la porta, appoggiandosi ad essa.
Dean Winchester gli aveva lasciato il suo numero.
Per qualsiasi cosa, ti risponderò.
Castiel era felice, ma allo stesso tempo riemersero le vecchie paure, soprattutto ora che era da solo e che non c'era più Dean con lui. Per qualche ragione, la sua presenza aveva fatto diventare i suoi brutti ricordi soltanto una nebbia fievole che occupava una minuscola parte del suo cervello. Ora che era da solo, però, era tornato tutto e i ricordi lo stavano bastonando.

Castiel era un ragazzo tranquillo, non era l'eccellenza al college, ma riusciva ad andare avanti egregiamente e senza troppi problemi. Non aveva molti amici, ma si fidava di quelli che aveva. Si fidava di Meg, così come di Raphael e Michael.
Castiel era diverso, diverso dalle altre persone, lui stesso sapeva di non essere come tutti gli altri. Aveva sempre avuto dei modi troppo gentili per essere come tutti gli altri, era sempre stato fin troppo sensibile per essere come tutti gli altri, ma non voleva affrontare questo suo modo di essere. Sapeva bene che gli piacevano i ragazzi, lo aveva sempre saputo. Ma non aveva mai avuto il coraggio di dichiararsi a nessuno. Pensava che le persone non avrebbero capito, e che gli avrebbero fatto del male.
Ma, in quel periodo, aveva trovato questi amici fantastici con cui parlava sempre di tutto e pensò che, con loro, forse sarebbe valsa la pena di aprirsi.
Una sera erano a casa di Meg, solo loro quattro, e stavano raccontando i gossip più succosi sulle persone del loro corso. Castiel non sapeva come facesse Meg ad avere tutte quelle informazioni, ma alla fine si scopriva che quello che aveva detto era sempre vero.
Castiel aveva deciso di dichiararsi quella sera, solo a loro quattro. Perciò, quando Meg smise di parlare, lui annunciò che aveva qualcosa di molto importante da dire. Disse che si fidava di loro, che per questo voleva condividere ogni parte della sua vita con loro, e disse loro di essere gay.
Solo poi si accorse di quanto grande fu il suo errore.
Tutti e tre impallidirono. Avevano delle facce da funerale.
Castiel si chiese cosa c'era, cosa stesse accadendo, quando Meg parlò e gli disse che loro tre avrebbero potuto aiutarlo. Aiutarlo a tornare normale. Che era una cosa assurda e che non potevano permettere che il loro amico fosse deviato, perciò si sarebbero impegnati al massimo per aiutarlo.
Ma Castiel non aveva bisogno di aiuto. Castiel voleva comprensione e affetto da parte dei suoi amici.
Era davvero deluso da quella reazione, perciò non fece altro che alzarsi, prendere le sue cose e andarsene via.
Decise che non avrebbe più avuto a che fare con quei tre, per quanto fosse terribilmente doloroso. Si sentiva come se lo avessero pugnalato, era tradito, solo e senza nessuno.
Ma un cuore spezzato da una delusione può sempre guarire. Era quello che successe dopo che lui non avrebbe mai immaginato.
Dopo poche settimane, la notizia aveva fatto il giro del college, e la cosa sorprese Castiel perché non pensava che a qualcuno potesse importare di lui. Ma comunque cercava di ignorare gli sguardi e di stare sempre sulle sue.
Al college, però, non tutti volevano stare al proprio posto, e se il modo di essere di qualcuno non andava a genio a qualcun altro, bisognava punirlo.
Il problema fu che non era solo una persona a cui non andasse a genio che lui fosse gay.
Non seppe mai chi fu a fargli tutto quello che gli fu fatto.
Accadde tutto molto in fretta: stava tornando a casa da solo, aveva studiato fino a tardi nella biblioteca messa a disposizione dal college. Camminava spedito, ma questo non bastò a salvarlo. Improvvisamente, qualcuno lo afferrò alle spalle e gli tappò la bocca con una mano, mentre qualcun altro lo incappuvciava. Si sentì trascinare da due persone molto più grosse di lui, e per quanto provasse a divincolarsi era tutto inutile. Dopo poco tempo si sentì buttare per terra su qualcosa che riconobbe come un prato, tentò di togliersi il cappuccio ma uno dei due ragazzi gli diede un calcio alla bocca dello stomaco, lasciandolo senza fiato.
<<Allora, frocetto, ti piace stare con i maschi, mh? Ti piace essere uno scherzo della natura, una schifezza?>>
Prima che Castiel potesse dire qualsiasi cosa, qualcuno lo colpì alla schiena, verosimilmente l'altra persona che lo aveva trascinato lì.
Nessuno dei due parlò più con Castiel.
Lo picchiarono e basta. Calci, pugni, lo calpestarono persino, senza che lui riuscisse a muoversi.
Poi, all'improvviso, Castiel fu alzato di nuovo e portato altrove dove c'era qualcun altro ad aspettarlo. Qualcuno che gli fece qualcosa di peggiore.
Qualcosa che non voleva nemmeno più ricordare, voleva che tutto quello sparisse dalla sua mente senza lasciare più traccia.

Nessuno volle credere a Castiel quando denunciò di essere stato violentato.
Chi gli credeva, lo guardava con pena.
Era costretto a camminare a testa bassa, per non mostrare la sua vergogna ed i suoi lividi.
Ma non ce la fece ad andare avanti.
Lasciò il college prima di impazzire e tornò a casa dai suoi genitori, senza mai dir loro cosa fosse accaduto realmente. Non gli avrebbero creduto o avrebbero avuto pietà di lui.
Era una cosa che non riusciva a sopportare.
Rimase chiuso in casa per giorni, senza mai uscire dalla sua stanza.
Non sentiva più niente. Era tutto vuoto, tutto buio, tutto solitario. I suoi genitori provavano a parlargli, a portargli da mangiare, a farlo uscire, ma Castiel non voleva saperne.
Restava nel suo letto, non parlava, non dormiva. Era solo lì a fissare il muro.
Dimagrì in modo inverosimile.
Alla fine, i genitori decisero di parlare con uno psicanalista, che gli diede dei medicinali che Castiel non voleva prendere.
Pensava solo che vivere fosse inutile, mangiare fosse inutile, che prendere le medicine non gli avrebbe ridato la gioia di vivere.

Per sua fortuna, si sbagliava. Dopo settimane di tentativi, di sedute passate in silenzio, medicine lasciate sotto la lingua, accadde qualcosa. I suoi genitori gli parlarono, sotto consiglio dello psicanalista, facendogli sapere che loro lo accettavano per com'era.
Sembrava poco, ma per quanto loro sapessero dell'omosessualità del figlio, non gli avevano mai detto che andava bene.
Questo accese una piccola scintilla di vita nel cuore di Castiel, il quale accettò finalmente di prendere le medicine.
Ci vollero mesi di terapia, centinaia di sedute, ma qualcosa fece tornare a Castiel il desiderio di non morire.
Tutto questo era molto lontano dalla gioia, ma fu abbastanza da fargli desiderare di iniziare qualcosa di nuovo, trasferirsi in una nuova città e avere un lavoro, per ricominciare daccapo. Magari, un giorno, sarebbe persino andato in un altro college e avrebbe completato gli studi. Un passo alla volta.

Ed ora eccolo lì, sul pavimento del suo appartamento, a chiedersi se mandare un messaggio a Dean fosse una buona idea.
Pensò che, prima di parlare con Dean, dovesse affrontare le sue paure e cercare di andare avanti.
Si era ripromesso di avere una nuova vita, ma era ancora schiavo delle vecchie paure. Nonostante avesse iniziato quella nuova vita, niente era come lo aveva immaginato. La sua vita era ancora vuota e sapeva che se non avesse fatto qualcosa sarebbe rimasto da solo, sarebbe tornato come prima, si sarebbe lasciato trascinare di nuovo nel baratro.
Doveva affrontare tutto questo e reagire, cercando di avere quella nuova vita che aveva tanto desiderato.

"Ciao Dean, sono Castiel. Questo è il mio numero :) "
{Il messaggio è stato inviato con successo!}

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Sono felice di riuscire ad aggiornare in poco tempo! È che ho appena finito un esame, quindi mi sono presa un attimo di pausa prima di studiare per il prossimo.
Τό φοβερόν [Fo-be-ròn]: il timore
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Eutychìa || DestielWhere stories live. Discover now