○Capitolo 10 - Mai lasciare il sentiero.

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Capitolo 10 – Mai lasciare il sentiero.
 
Il giorno seguente furono svegliati dalla pioggia che iniziò a scendere fitta fin da subito, zuppandoli completamente in pochissimo tempo.
Fràin si alzò infastidito, di pessimo umore e con una brutta sensazione sulla pelle.
Durante la notte gli era capitato più volte di svegliarsi e in nessuno di quei momenti aveva trovato Larya accanto a sé, come quando si era addormentato stretto a lei.
Al buio della notte, però, non era stato in grado di individuarla tra i corpi addormentati dei suoi compagni e non era riuscito a capire dove se ne fosse andata.
Il pensiero che lei si stesse allontanando lo turbava parecchio, non riusciva a capire cosa fosse successo dal momento in cui lei aveva lasciato la loro casa fino a che non l’aveva ritrovata a Gran Burrone. Doveva pur esserci un motivo poiché prima non si staccavano un attimo l’uno dall’altra.
Fràin aveva il sospetto che c’entrassero i nipoti di Thorin. Erano sempre in compagnia di sua sorella e quando non lo erano, aveva notato spesso gli occhi di uno di loro cercarla e trovarla e sorridere.
Era ovvio che quel Nano avesse interesse per lei. Era scontato. Glielo si leggeva in faccia.
E questo a Fràin non piaceva affatto.
Larya apparteneva a lui, erano legati dal sangue, nessuno poteva dividerli... o almeno era ciò che si era sempre ripetuto prima di quello stramaledettissimo viaggio!
Non capiva, poi, cosa ci trovasse sua sorella in quei due: lui si reputava migliore per lei, era il suo punto di riferimento, lo era sempre stato fin da piccoli.
Larya era nata esattamente dieci anni dopo di lui e Fràin se ne era subito innamorato. Un amore fraterno che aveva una nota in più e lei lo aveva sempre ricambiato.
Potevano definirsi una cosa sola, prima.
Ma adesso, Fràin vedeva le cose per com’erano. Larya non era mai stata veramente sua. Non gli era mai appartenuta davvero.
E questo gli faceva male.
 
Dopo un paio d’ore di cammino, arrivarono davanti ad un fitto bosco scuro, nel quale la luce del giorno, seppur fioca a causa delle nuvole che oscuravano il cielo, sembrava non filtrarvi minimamente.
Incuteva un certo timore, a vederlo da fuori, figurarsi all’idea di entrarci.
“Bosco Atro.” Disse Gandalf, scendendo dal suo cavallo per avvicinarsi ai rovi che ricoprivano una specie di arco di marmo bianco, rovinato dal tempo.
“Questo posto mette i brividi...” Disse Ori, massaggiandosi le braccia.
“Credo che nessuno possa darti torto, su questo, caro amico.” Gli disse Bofur, mentre strizzava il suo copricapo e se lo rimetteva in testa.
La Compagnia iniziò a scendere dai pony e a liberarli dei pesi che si portavano dietro. In lontananza, nascosta dagli alberi, scorsero la figura del grande orso che li osservava silenziosa.
Larya fu affiancata da Fràin che iniziò ad aiutarla a prendere le sue cose.
La giovane non gli disse niente, gli sorrise e basta, prestando attenzione solo a quello che stava facendo.
In realtà, Larya non sapeva cosa dire a suo fratello. Per tutto il tempo l’aveva sentitofissare la sua schiena con insistenza e si era sentita piuttosto a disagio da quel suo atteggiamento.
“Voglio che tu mi rimanga vicina quando entreremo in questo bosco, capito sorellina?” Le disse lui, d’un tratto, afferrandole il polso. Una presa leggera ma ferrea allo stesso tempo.
Larya allargò i suoi grandi occhi marroni e lo fissò per un istante.
Quando lui lasciò la presa espirò; non si era neanche accorta di aver iniziato a trattenere il fiato.
“Non c’è bisogno che tu mi guardi sempre le spalle, Fràin. Sto guarendo e posso difendermi da sola, adesso.” Gli rispose, usando un tono che le sembrò un po’ troppo piatto. Non voleva far trasparire il timore che aveva avuto quando lui l’aveva sfiorata.
Si disse che aveva reagito in quel modo perché la sua mente gli aveva riproposto l’accaduto di Gran Burrone, ma lei lo sapeva che se lo stava ripetendo solo perconvincersi che era così.
“Mi preoccupo solo per te, lo capisci, vero?” Lo sguardo che lui le rivolse era indecifrabile.
“Sì, sì... lo capisco. Ma voglio che prima di pensare a me tu pensi a te stesso, Fràin. Non sappiamo cosa ci aspetta lì dentro e non voglio essere di peso a nessuno.”
“Non sei un peso, per me.” Fràin le accarezzò una guancia rosea; aveva ripreso colore e le occhiaie erano sparite del tutto.
Larya lasciò che lui le sfiorasse la pelle del viso, continuando a fissarlo nelle sue iridi smeraldine.
 
“Io quello non lo sopporto.” Mormorò Fili, stringendosi la spada alla cinta con forza.
“Devi respirarci in quella, fratello.” Gli fece notare Kili e lui l’allargò di un buco con stizza, rimanendo a fissare quei due con insistenza.
Fràin le stava accarezzando una guancia e Fili stava provando un brivido di disgusto. Non poteva vedere in faccia Larya, essendo di spalle rispetto a lui, ma riusciva benissimo a scorgere una strana luce negli occhi di Fràin che non gli piaceva affatto.
“Fili.” La voce di suo fratello, dura e fredda come il ghiaccio, lo fece voltare verso di lui.
Kili era fermo, di fianco a lui e osservava la sua stessa scena. “Nemmeno a me piace, quel tipo lì, ma è suo fratello. Non puoi farci nulla, purtroppo.” Gli disse poi, toccandogli una spalla.
“Gandalf, non puoi lasciarci proprio ora!” La voce di Bilbo attirò l’attenzione di tutti e la Compagnia si ritrovò a fissare la schiena dello stregone che se andava al galoppo sul suo cavallo, con i pony di Beorn appresso. Si voltò una volta sola, per raccomandarsi di nuovo di non lasciare il sentiero a qualunque costo. Poi sparì tra gli alberi.
“Dov’è andato?” Domandò la voce di Larya e Fili subito si voltò verso di lei. Si era allontanata dal fratello e si era invece avvicinata a Thorin.
“Rhudaur, mormorava...” Disse Bilbo, guardando dove poco prima era galoppato via Gandalf.
“Rhudaur? Ma non c’è niente lì...”
“Ci addentreremo nel bosco senza la sua guida. Adesso andiamo.” Sentenziò Thorin, incamminandosi.
 
Il sentiero di cui avevano parlato loro lo stregone e il Mutapelle era una stradina di mattonelle bianche completamente ricoperta dal sottobosco.
Non fu per nulla facile rimanervi sopra; dovettero fermarsi più volte per scostare il fogliame putrido che avevano sotto i piedi e sincerarsi di non averlo perso.
Da quando erano entrati in quel luogo oscuro, la pioggia era cessata così come il vento, l’aria limpida e la luce.
Non scorsero nemmeno uno scoiattolo o un leprotto, non vi erano rumori, non vi eraniente.
Era come se quel bosco fosse avvolto da una bolla di vetro dentro la quale non passava alcun suono, alcun alito di vento, nemmeno un raggio del sole. Niente.
Camminarono per ore, lentamente, e a mano a mano che si inoltravano di più si sentivano sempre più chiusi dai tronchi degli alberi che erano sempre più fitti.
Nessuno fiatava e il silenzio aveva cominciato ad essere assordante.
Il bosco puzzava. Era evidentemente malato, magari una volta era una foresta luminosa, ricca di vita e movimento... quello che avevano davanti era un bosco marcio.
 
Lentamente, la poca luce che vi era venne meno e i Nani furono costretti a fermarsi.
“Niente fuoco. Potrebbe non essere sicuro mostrare la nostra posizione.” Disse Thorin.
Senza il calore del falò, in pochi minuti iniziarono tutti a tremare dal freddo.
Non si vedeva niente e non riuscivano a capire chi avesse accanto chi. Parlavano sussurrando e a volte non ricevevano risposta alcuna.
Quella fu la prima di una lunga serie di interminabili notti che passarono dentro Bosco Atro.
Presto, con il susseguirsi del tempo, si accorsero che durante la notte erano osservati: piccoli occhietti rossi e bianchi li fissavano senza però avvicinarsi.
Di giorno non vi erano animali o cose che si aggiravano fra gli alberi, quindi non riuscivano a capire chi o cosa li stesse osservando.
 
Dopo qualche giorno di marcia, iniziarono a perdere la consapevolezza di star viaggiando di giorno o di notte. Si sentivano continuamente osservati e dopo un altro paio di giorni quegli inquietanti occhietti non li lasciarono più; li seguivano ovunque andassero, tenendosi però sempre a distanza.
“Non credo siano una minaccia, se non li infastidiamo.” Aveva detto Balin, saggiamente, continuando il cammino.
 
“Da quanto tempo siamo in questo bosco?” Domandò Larya, massaggiandosi un orecchio. Da qualche tempo aveva iniziato a farle male, poi a fischiarle. Era insopportabile.
“Non ne ho idea... forse una settimana o due.” Le rispose Dori, con sguardo stravolto.
Erano tutti stanchi, stremati, ma si imposero di continuare a camminare per uscire il prima possibile da quel posto infernale.
Fràin non aveva lasciato un attimo il fianco della sorella. Quel bosco li stava avvelenando con la sua aria putrida e non aveva alcuna intenzione di perderla di vista.
Fili e Kili erano rimasti sempre ad una certa distanza da loro, ma comunque vicini.
Fili, soprattutto, non aveva perso Larya di vista nemmeno per un istante.
Thorin era sempre in testa alla fila, con Dwalin e Balin al fianco, mentre lo Hobbit se ne stava nel mezzo, accanto a Bofur, Nori e Bifur e tutti gli altri.
Anche il Mezzuomo accusava una stanchezza unica e terribile, i piedi gli dolevano e la testa era diventata gradualmente sempre più pesante.
Era come se l’aria della foresta stesse annebbiando le loro menti, atrofizzando il loro cervello, impedendo loro di pensare lucidamente, di dire frasi di senso compiuto composte da più di cinque o sei parole.
Dovevano uscire da quel luogo buio e malato o sarebbero impazziti tutti.
Le provviste stavano andando via velocemente e l’acqua ancora più del cibo. Stavano centellinando quella che rimaneva, bevendone un sorso ogni tanto, cercando di sopravvivere alla gola arida e alle labbra screpolate.
Dovevano uscire da lì.
 
“Perché ci siamo fermati?” Tuonò Thorin, d’un tratto, voltandosi ad osservare il resto della Compagnia che fissava i propri piedi.
“No... no, no, no! Non è possibile!” Gridò qualcuno, in preda alla disperazione.
Nori guardò Thorin dritto negli occhi e con tono grave gli fece notare che avevano persoil sentiero.
“Come possiamo averlo perso se ci abbiamo sempre camminato sopra?!” Gridò allora il Nano, furibondo. “Cercatelo, forza! Dobbiamo ritrovarlo ad ogni costo!” Vedendo che nessuno si azzardava a rispondere, diede ordini precisi e tutti si animarono almeno quel che bastava per iniziare la cerca del sentiero.
Girarono per ore, forse giorni, perdendosi completamente.
Non avevano più idea di quale direzione stessero seguendo prima, se erano già passati da questa o quella parte, se quell’albero era identico a quello passato tre giorni prima... si erano persi totalmente e del sentiero nemmeno una traccia.
Il tempo iniziò a scorrere sempre più lentamente; in poco finirono l’acqua.
Pochi giorni più tardi, terminò anche il cibo che aveva fornito loro Beorn.
Gli occhi che li osservavano si erano moltiplicati e si erano fatti più vicini.
I Nani avevano inoltre iniziato a respirare male, si sentivano soffocare e si fermavano sempre più spesso per riposare.
Era come se una forza mistica li schiacciasse al suolo e loro dovevano contrastarla cercando di rimanere in piedi.
Solo quando qualcuno domandò dove fosse finita la luce del sole a Bilbo venne una grande idea: si arrampicò su un albero e, una volta in cima, fu come se si risvegliasse da un lungo sonno; l’aria fresca gli smosse i capelli, frustandogli il viso, facendolo sentire vivo.
“Ho trovato il sole!” Gridò, ma non gli giunse risposta.
Guardò all’orizzonte e scorse la vetta di Erebor più vicina, c’erano quasi.
Vide un fiume e un lago alle pendici della Montagna.
Tutto sorridente, ridiscese per dar loro la notizia che avevano quasi raggiunto la fine della foresta, ma una volta che i suoi piedi toccarono di nuovo terra si accorse che non vi era più nessuno.
Era solo.
In quell’infinito bosco buio e inquietante, Bilbo era solo.

Memories of a time to comeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora