○Capitolo 16 - Il Drago è caduto! Il drago è caduto!

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Capitolo 16 – Il Drago è caduto! Il drago è caduto!
 
Quello che successe una volta aperta la porta segreta non fu esattamente quello che si erano aspettati.
Bilbo era stato mandato in avanscoperta e lui, dopo essersi infilato l’Anello per non farsi vedere da Smaug, si era addentrato con circospezione nella Montagna, ammirando le sue grandi sale e gli mancò un battito quando si ritrovò davanti alla più grande distesa d’oro che avesse mai visto in tutta la sua vita.
Era davvero immensa.
Cumuli e cumuli di monete, pietre preziose, oggetti di oro e di argento.
Vi era abbastanza ricchezza per sfamare tutta la Terra di Mezzo in quella Montagna.
Ma Bilbo aveva un compito preciso: sincerarsi della presenza di Smaug, tastare il terreno, osservare e riferire.
Quello che però lo Hobbit non poteva prevedere era che Smaug fosse sveglio e li stesse aspettando.
 

Tre giorni dopo ~ Collecorvo

 
Un banco di nebbia fitta avvolgeva l’alba con le sue spire bianche, un alba particolarmente silenziosa, senza vento, dove tutto sembrava immobile. Era come se il tempo si fosse fermato, come se il mondo avesse smesso di girare e la vita si fosse arrestata all’improvviso.
In quell’assordante silenzio, in quel grande vuoto, un ticchettio cadenzato disturbò il sonno della Compagnia.
Nessuno era rimasto di guardia, quella notte, poiché a Collecorvo si ritenevano al sicuro: una grotta nascosta dalle fronde fitte della piccola foresta, impossibile da trovare se non conoscevi la strada per arrivarci; al suo interno, delle scale scavate direttamente nella pietra portavano alla torretta d’osservazione, ma nessuno aveva osato salirle da quando si erano rifugiati lì tre giorni prima.
Entrando nella Montagna, Bilbo si era ritrovato solo a fronteggiare Smaug e quest’ultimo, dopo aver tentato più volte di cavare di bocca allo Hobbit informazioni con parole ingannevoli, si era arrabbiato e aveva riversato la sua ira fuori dalle mura di Erebor, sulla città degli Uomini di Esgaroth.
I Nani erano fuggiti per timore che potesse tornare e da quel momento non avevano messo piede fuori da Collecorvo per nessun motivo.
 
Larya si sentì scossa dolcemente per le spalle e aprì gli occhi scuri, assonnati, puntandoli subito in quelli del Nano che la stava destando dal suo risposo.
Fili le sorrise e la aiutò ad alzarsi, poi insieme si diressero con gli altri all’entrata della grotta: Thorin era inginocchiato a terra e osservava in silenzio un grosso Corvo con gli occhi scuri che beccava la pietra del masso sul quale era poggiato.
Tutti lo osservavano in silenzio; era stato il volatile a svegliarli con il rumore che il suo becco provocava sbattendo sulla roccia.
“Cosa succede?” Domandò Larya in un sussurro, scuotendo Fili per una manica.
Lui la guardò e alzò le spalle con la stessa espressione curiosa di tutti gli altri in volto.
“Quello è un Corvo Reale.” Disse loro Balin, voltandosi per guardarli in viso. “Solo i diretti discendenti di Durin possono comprendere il suo linguaggio.”
 
Dopo qualche istante, il ticchettio cessò e Thorin allungò una mano ad accarezzare il dorso dell’uccello poi abbasso il volto e avvicinandosi al piccolo capo nero piumato, sussurrò delle parole in Khuzdul antico che solo il Corvo riuscì a sentire.
Quando il Nano si allontanò, quello spiccò il volo e la Compagnia lo osservò finché non scomparve tra gli alberi.
“Cosa ti ha detto, Thorin?” Fu Balin a dare voce ai pensieri di tutti e con trepidazione attesero che la risposta del loro Re arrivasse.
Il Drago è caduto! Il Drago è caduto!” Gridò Thorin, levando le braccia in alto con un sorriso gioviale sulle labbra.
Allora si innalzarono grida di vittoria e contentezza fra i Nani e perfino Bilbo rise di gioia, visto che era stato lui l’unico a rischiare la vita faccia a faccia contro una bestia feroce e assetata di morte e distruzione – come se quella che aveva causato secoli prima non fosse già abbastanza.
 
Quando gli animi si quietarono, il volto di Thorin tornò serio e nel silenzio che tornò sovrano, tuonò con voce grave: “Amici, Röac figlio di Carc non è stato portatore solo di belle notizie, ahimè. Un esercito di Elfi e Uomini di sta dirigendo verso la Montagna. Dovremo difenderla. Dobbiamo tornare a casa, la nostra casa, nessuno ce la porterà via!”
“Cosa intendi fare, Thorin?” Gli chiede Dwalin, incrociando le braccia al petto nella sua solita posa seriosa.
Costruiremo un muro.”
 
 
Per molti di loro, mettere di nuovo piede ad Erebor fu un emozione così grande che si commossero dalla felicità e dalla consapevolezza di aver portato a termine la loro impresa con successo.
Erebor, la Montagna Solitaria, di nuovo nelle mani del popolo di Durin! Che grande gioia era poter affermare di essere tornati a casa, finalmente.
Per i più giovani, invece, che non avevano mai visto le Grandi Sale né gli ampi corridoi né tutto ciò che Erebor aveva da offrir loro, entrare nella Montagna li riempì di stupore; si guardavano intorno con le bocche spalancate e gli occhi sgranati.
Larya strinse la mano di Fili e gli sorrise. Sapeva che per lui essere lì in quel preciso momento significava molto, così dopo gli lasciò del tempo per abbracciarsi con il fratello e con lo zio, mettendosi in disparte insieme a Fràin.
“È davvero grandiosa, non trovi?” Domandò al fratello, il quale annuì convinto. “Ma ci pensi, Fràin, che un tempo mamma e papà camminavano in queste sale, percorrevano questi corridoi tutti i giorni... doveva essere davvero bella nel pieno del suo splendore. Spero di riuscire a vederla, un giorno, tornare alla sua antica gloria, come narrano i racconti e le canzoni della nostra infanzia.” Mentre parlava, la giovane faceva scorrere lo sguardo sull’altissimo soffitto e le colonne che lo collegavano a terra. Alcune erano cadute a causa del passaggio del Drago ma altre erano ancora ben salde a sorreggere le pareti.
Erano bellissime.
Tutto era bellissimo.
I ricami d’oro che adornavano i muri erano ancora ben visibili, componevano motivi geometrici che si ripetevano con impeccabile precisione in un ciclo infinito, svoltando angoli e continuando a perdita d’occhio.
Ma quello che più li colpì fu la vastità del Tesoro che brillava, riflettendosi nei loro occhi, spietato.
Nemmeno il tanfo di Drago e di bruciato che appestavano l’aria riuscirono a rovinare quel momento.
“Wow... non credevo fosse possibile l’esistenza di una tal grande ricchezza!” Disse Larya, affacciandosi al Tesoro.
“Ammirate, amici e fratelli, il Tesoro di Erebor.” La voce profonda di Thorin vibrò per tutta la Montagna, riempiendo ogni spazio possibile.
Nei suoi occhi, una strana luce brillava oscurandogli lo sguardo, rendendolo ancora più freddo e distante di quanto già non fosse.
 
Nei giorni che seguirono, Thorin diede ordine di costruire il muro e di alternarsi a turni di lavoro e turni di ricerca. Sì, perché ora che era il Re, aveva un incredibilebisogno di possedere tra le mani il Gioiello del Re: l’Arkengemma.
Più il tempo passava senza che essa venisse trovata, più Thorin si ingobbiva, si incupiva...
Una volta che il muro fu terminato, le ricerche continuarono senza sosta ma del Gioiello non vi era traccia.
E Thorin peggiorava sempre di più. Non passava istante che non fosse immerso nel Tesoro, calciando le montagnole d’oro e pietre preziose. Non dava ascolto a nessuno, era come se la sua mente avesse abbandonato il suo corpo e fosse lontana, incapace di comprendere qualsiasi cosa non riguardasse l’Arkengemma.
 
“Se vuoi nascondere un albero, la foresta è il luogo migliore.” Mormorò Bilbo, guardandosi intorno distrattamente.
Era stanco, come anche gli altri del resto, gli facevano male i piedi e la schiena, voleva solo riposare.
Si sedette a terra e prese a rigirarsi tra le mani una coppa d’oro, specchiandosi sulla sua luminosa superficie perfettamente liscia.
“Hey, Bilbo!” Nella coppa comparve anche il volto sorridente di Larya e la sua lunga treccia solleticò una guancia dello Hobbit.
“Larya, mi hai spaventato!” Ridacchio lui, osservandola sorridergli e sedersi accanto a lui.
Era stanca, glielo si leggeva in viso, ma non si dava per vinta e Bilbo suppose di sapere come mai non avesse ancora abbandonato la cerca.
“Scusa.” Gli disse la giovane, sorridendogli. Poi tornò seria e diede una rapida occhiata attorno a loro prima di parlare di nuovo: “Chi lo avrebbe mai detto che potesse esistere un Tesoro di questa vastità. Ci avresti creduto se te lo avessero raccontato?”
“Probabilmente avrei riso e insinuato che se lo stessero inventando.” Ridacchiò Bilbo, una risata amara.
“Hai notato anche tu che Thorin è cambiato, vero? Non è più lo stesso. Sembra... assente, in un mondo parallelo, completamente solo. Provo tanta tristezza per lui, vorrei aiutarlo, ma non so come...”
Il Mezzuomo la guardò, chiedendosi quante persone al mondo esistessero come lei, quante avessero la sua gentilezza e bontà d’animo, la sua dedizione per gli altri.
Probabilmente poche, se non proprio nessuna.
Larya era unica nel suo essere e non era affatto caratterizzata da quella’avarizia e possessività che si narra appartenessero ai Nani.
Nessuno della Compagnia lo era, in realtà.
Ma lei, lei aveva quel qualcosa in più che la rendeva speciale.
“Tu sei tanto buona, Larya.” Le disse, accarezzandole una mano.
Lei sorrise sincera e poi gli diede un bacio su una guancia che lo fece arrossire fino alle orecchie. “Grazie, mastro Scassinatore!”
 
“Dobbiamo fare qualcosa!” Esclamò Kili, calciando un cumulo di monete con forza, spargendole sul resto del Tesoro in una miriade di tintinnii acuti.
Fili, accanto a lui, sospirò.
“Non ci ascolta. Non ci ascolta!” Gridò ancora Kili, fuori di sé. “Ma che gli è successo? Quello laggiù non è nostro zio. Sembra... sembra... posseduto! Ecco, l’ho detto. Nostro zio è posseduto dal Tesoro, Fili! Come lo fu nostro nonno.”
“Smettila di urlare o ti sentirà.” Disse il biondo, in tono piatto, sedendosi a terra con rassegnazione.
Il fratello si mise accanto a lui e lo guardò torvo. “Credi che se anche mi sentisse cambierebbe qualcosa? Ma lo hai visto, Fili? Hai visto come si comporta? Reagisce in modo passivo a qualsiasi cosa gli accada intorno o gli venga detta, sembra che non gli importi più nulla di tutto ciò che lo circondi, compresi tutti noi. Il suo pensiero è solo quella stramaledetta pietra. Se la dovessi trovare non so se gliela darei...”
Fili sentì una forte rabbia montagli nel petto: afferrò Kili per il colletto e lo scosse poderosamente. “Vuoi piantarla di urlare? Vuoi farti tagliare la testa forse?”
Gli occhi chiari del Nano mandavano scintille e Kili si sentì come tornato bambino, quando Thorin lo sgridava per qualcosa che aveva fatto di sbagliato.
Ma stavolta non era suo zio a rivolgersi a lui in tono duro, ma suo fratello. Non aveva mai visto Fili in quello stato così decise di tapparsi la bocca e abbassare lo sguardo.
“Kili.” Quando suo fratello lo richiamò, puntò di nuovo gli occhi nei suoi. Fili lo lasciò andare e si passò una mano sul volto. “In questo momento, se lo zio ti sentisse penserebbe che tu lo tradiresti, capisci? Non devi più dirle quelle cose. Non sappiamo come potrebbe reagire...”
“Hai ragione, scusa.” Il moro si sistemò il colletto della giacca e si fece pensieroso.
Pochi minuti dopo, da quelle parti passò Balin. Li guardò con gli occhi lucidi, scosse il capo e continuò a cercare fra le monete e le pietre preziose, sparendo poco dopo.
 
Fràin stirò le gambe e le braccia e si affacciò al muro che avevano costruito, sospirando e strofinandosi gli occhi.
Certo, non aveva nulla di cui lamentarsi della sua situazione poiché mentre tutti erano impegnati a scavare nel Tesoro, lui se ne stava seduto già da qualche ora a fare la guardia, insieme a Bofur.
Non si erano detti una parola.
Non credeva di stare simpatico più a nessuno, oramai, da quella sera a Esgaroth.
Alzò le spalle, sovrappensiero: poco importava se non potevano sopportarlo, per lui contava solo che sua sorella lo avesse perdonato, nient’altro.
Affilò lo sguardo, riducendo gli occhi a due fessure quando qualcosa, in lontananza, sembrò muoversi.
All’inizio non disse niente. Prima di dare l’allarme voleva esserne sicuro, così trascorse i seguenti minuti ad osservare quella cosa che effettivamente avanzava in direzione di Erebor.
Poi, all’improvviso, sgranò gli occhi come se si fosse ricordato in quel momento di una cosa importante.
“Hey, Bofur!” Esclamò, facendogli cenno di avvicinarsi.
Contro voglia, il Nano con il buffo cappello si alzò e gli andò accanto.
“Se non sbaglio Röac aveva detto che una legione di Elfi e Uomini stava venendo alla Montagna, non è così?”
Bofur annuì, confuso.
“Guarda!” Gli disse allora Fràin, indicandogli la miriade di persone che a passo di marcia si stavano avvicinando.
“Per la barba di Durin. Dobbiamo avvertire gli altri!”
 
Alla luce rossastra del crepuscolo, i Nani si erano schierati sulla balconata sopra la porta e attendevano soltanto che l’ambasciata si arrestasse davanti all’entrata della Montagna.
Thorin portava in capo la corona che era appartenuta a suo nonno e a chi prima di lui e serioso osservava il Re degli Elfi Silvani e Bard che si avvicinavano con disinvoltura. Erano sicuri di loro e questo Thorin lo percepì dalla postura e dalla fermezza con cui volsero lo sguardo in alto, verso di lui.
Il primo a parlare fu Thranduil, che con la sua aria superiore affermò che nella Montagna vi fosse una parte del Tesoro che apparteneva a lui.
Thorin si infuriò a tal punto che strinse i pugni contro la pietra fredda fino a sbiancare le nocche. Se fosse stato possibile, la roccia si sarebbe sgretolata sotto le sue mani.
“Tu, come osi venire alla mia dimora e pretendere che ti sia data parte del mioTesoro? Vuoi derubarmi! Tutto ciò che è ad Erebor appartiene a me!” Esclamò, con un tono così freddo e tagliente da far rabbrividire anche un sasso.
L’Elfo non si scompose.
“E che ne sarà della tua promessa? Renderai l’oro che hai garantito agli Uomini?” Fu Bard a parlare.
“Non una sola moneta lascerà questa Montagna.” Replicò il Nano.
“Cosa ne sarà di noi? A causa vostra il Drago ha distrutto la nostra città. Non abbiamo più niente. Cibo, acqua, le nostre case, è andato tutto perduto a causa della tua follia. Ci lascerai a morire di fame e di freddo?” Continuò l’Arciere, imperterrito.
“Da me non avrete niente.” Sentenziò Thorin, facendo per andarsene.
“Sei un vigliacco, Re sotto la Montagna.” La voce fredda di Thranduil risalì fino a loro e Thorin, inorridito dalle sue parole, con un gesto repentino tolse l’arco di mano a suo nipote e scagliò una freccia ai piedi della grossa Alce che cavalcava l’Elfo, costringendola ad indietreggiare.
Tra i membri della Compagnia ci fu uno scambio di sguardi generale, occhi sgranati e incapaci di comprendere le azioni del loro Re, del loro amico...
“Andatevene. Se tornerete, la prossima andrà a segno senza esitazioni.” E così dicendo, il Nano si ritirò nella Sala del Tesoro, sbattendo l’arco sul petto di Kili prima di andarsene.
Per quella sera l’ambasciata si ritirò e i Nani rientrarono sconvolti e frastornati dal comportamento del loro compagno.
 
“Non posso credere che abbia fatto una cosa del genere!” Mormorò Kili, calciando una pietra con rabbia.
Fili gli si avvicinò e gli toccò una spalla, scuotendo il capo.
Larya si guardò intorno: tutto si era aspettata, tranne che una cosa del genere potesse mai accadere. Non credeva che il Tesoro potesse fare quell’effetto sulla mente di Thorin, soggiogandolo a quel modo.
Non era il Nano che aveva conosciuto all’inizio, che l’aveva accettata con il sorriso nella Compagnia, con il quale aveva parlato nella Valle Nascosta al chiaro di luna... non era più in sé e le si strinse il cuore nel vederlo in quelle condizioni. Ma più di tutto, le dispiaceva vedere la sofferenza che il suo comportamento causava nei suoi compagni e in Fili che, seppur non diceva nulla, stava soffrendo più di tutti.
Tuttavia, in quel momento, non fu da Fili che si diresse quando mosse i primi passi, bensì andò da un certo Nano scontroso e musone, con la testa rasata e piena di tatuaggi.
Perché sapeva benissimo quanto Thorin contasse per lui e vederlo soffrire le dispiaceva tantissimo.
 
La notte era calata e a Dwalin toccava il turno di guardia, così lo trovò sulla terrazza proprio sopra la porta di Erebor.
Si poggiò alla ringhiera di pietra, scrutò il buio freddo e vuoto che avvolgeva ogni cosa.
Poi si voltò e si ritrovò lo sguardo del guerriero nel suo.
Dwalin era abbattuto, triste, sembrava addirittura più vecchio di prima, ma nonostante tutto le mostrò il suo solito sguardo duro e serio.
“È incantevole la notte, non trovi?” Esordì, per rompere il ghiaccio.
Il guerriero incrociò le braccia al petto e non rispose alla sua domanda, spostando però lo sguardo verso l’orizzonte, nero e infinito.
La piccola mano di Larya si posò sul braccio e Dwalin sobbalzò a quel contatto. Non era abituato a quel genere di cose e non si era aspettato un gesto simile da lei, non dopo come l’aveva trattata per la maggior parte del tempo.
“So che stai soffrendo molto nel vederlo così. Io... lo capisco, sai? Sei molto legato a lui, è un po’ come se foste fratelli, voi due... Credo che dovremmo fare qualcosa per aiutarlo.”
Dwalin si voltò di nuovo verso di lei, dopo aver sostato con lo sguardo sulla sua esile mano poggiata a lui. Era calda e liscia. Un tocco piacevole.
“Non vuole essere aiutato.” Disse solo, senza scansarsi da lei.
Larya lo sentì teso sotto il suo palmo, così decise di avvicinarsi ancora di più, poggiandosi a lui con il fianco e il braccio. Poi, fece scivolare la testa di lato e la poggiò alla sua spalla.
“Troveremo un modo. Insomma, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, non permetteremo a quattro stupide monetine luccicose di rubare la mente del nostro amico nonché nostro Re, dico bene?!” Sorridente, si voltò verso di lui.
Non si era minimamente accorta di averlo fatto arrossire e la sua espressione si addolcì quando il Nano cercò in tutti i modi di camuffare il suo imbarazzo.
“Cosa c’è da ridere? Smettila di guardarmi in quel modo.” Borbottò Dwalin, scansandola da sé. In realtà, la allontanò piano, senza farle male o essere burbero.
Incredibilmente, si riscoprì a rabbrividire senza il calore di lei addosso.
Sorrise impercettibilmente, ma Larya se ne accorse uguale e gli diede una pacca sulla spalla con un espressione vittoriosa in volto, battendosi poi un pugno sul petto.
“Ah! Ce l’ho fatta, visto? Sapevo che da qualche parte anche tu avevi un cuore, ma non immaginavo sapessi anche sorridere!” Gli fece l’occhiolino, poi scoppiò a ridere e si allontanò, rientrando nella Montagna.
Dwalin scosse il capo e si poggiò alla ringhiera di pietra della terrazza, ritrovandosi a pensare che infondo non era per niente male quella ragazza, anzi...

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