-Il castello crolla.-

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Le sue mani si incastrarono nella pelle, aprendo maggiormente le gambe della persona sotto di sé, udendola gemere.
Una scopa si inclinò, battendo contro l'armadietto di metallo, risuonando all'interno del piccolo stanzino.

Non importava.

Voleva scomparire in quel momento, smettere di pensare alla tristezza.
Affondò con più vigore, ringhiando come un animale.
Una bestia ferita in cerca di conforto, ecco cos'era diventato.
Strinse le palpebre e immaginò i colori di quelle iridi che tanto amava. Un tormento continuo in due settimane di immutato silenzio.
Percepì le dita tra i suoi capelli sudati, la bocca spalancata alla ricerca di fiato. Un atto che lui gli negò, baciandolo e infilando la lingua nella fessura, gustandone il palato come se fosse un piatto prelibato.

Si immerse in quel verde scuro come le fronde degli alberi.
Il piacere annebbiava le iridi, le ciglia nascondevano qualche lacrima restia a scendere.
Aumentò il ritmo, desiderando di protrarre quell'attimo per sempre, sapendo come non fosse possibile.
Arrivò al culmine un istante prima dell'altro e le voci ben presto si spensero, lasciando solo gli ansiti.
Posò la fronte umida sulla spalla dell'amante.
Trascorsero qualche minuto in quella posizione, ognuno a bearsi del respiro del compagno.
Ma non era quello il respiro che lui desiderava, e non era quello il corpo da stringere nelle mani.

Un piacevole ed eccitante diversivo.
Tutto lì.

«Smetterai mai di fottermi nello stanzino delle scope?» disse il ragazzo, pigiando sul suo petto per toglierselo di dosso.
Aubrey corrugò la fronte sollevandosi sulle braccia per guardarlo meglio.

«Ti piace no?» chiese con un ghigno, intrecciando una lunga ciocca di capelli ramati attorno al proprio dito.

In tutta risposta il compagno gli cinse il collo, attirandolo in un nuovo bacio famelico, producendo più saliva del normale per vederla colare lungo il mento.
La campanella delle lezioni risuonò in alto, le voci dei ragazzi riempirono i corridoi.
Aubrey corrugò la fronte vedendo l'amante prendere fiato e gli tappò con le dita la bocca.

«Non dici che dobbiamo andare, Noah» ammonì provocante, leccandogli il collo per l'intera lunghezza, salendo a tormentare il lobo destro, mordicchiandolo.
Noah rise roco, inclinando la testa da un lato, facilitando il movimento.

«Ci troviamo in mezzo a due armadietti e la mia schiena è piegata quasi a metà. Diciamo che non è la posa più comoda», mormorò lasciandosi andare a un sospiro lussurioso, «il bidello sentirà il bisogno prima o poi di pulire il pavimento, e verrà a cercare la sua scopa bella dritta» disse, scendendo lentamente al di sotto dello stomaco di Aubrey, stimolandogli la pelle con le dita.
Il biondo si morse il labbro inferiore, incastrandolo tra i denti.
«O forse, l'ho trovata io e non abbiamo bisogno del bidello per dare una sistemata» lo provocò Noah sorridendo.

Aubrey spinse il bacino contro di lui, gemendo, lasciandosi nuovamente trasportare dalla corrente di eccitazione trasmessa dall'altro.
«Puoi chiamarti Aaron?» domandò baciandogli il petto, e ascoltò il cuore battere all'interno.

Una domanda insolita, così come tutte le altre richieste espresse da lui.
Ma Noah non ci prestava attenzione. In realtà, era proprio questo a renderlo perfetto agli occhi di Aubrey: non si lamentava mai e, all'infuori di quei momenti, si comportava persino come se non provasse gioia nell'esprimere i propri sentimenti.
I loro organi pulsanti tra le costole non battevano gli stessi colpi.
Sesso, battute, chiacchiere.
Due grandi amici dentro quel piccolo stanzino. Fuori, due sconosciuti.
Mondi opposti e quasi estranei.

«Posso essere chi vuoi» rispose Noah svogliato, incurante delle scelte dell'altro.
La porta sbatté contro i piedi di Aubrey, seguita da un'imprecazione a denti stretti. «Se ne vada, dannazione» ringhiò Noah, muovendo le gambe per richiudere l'uscio.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora