Aaron rimase in attesa sul bordo del marciapiede per venti minuti, gli occhi fissi sulla strada nella speranza di vedere spuntare il solito casco biondo.
Niente.
Per i primi giorni aveva provato paura anche solo a mettere un piede fuori, intimorito dal pensiero di incontrarlo. La reazione esagerata dell'amico continuava a frullargli nella testa, così come la domanda di quale errore avesse commesso per scatenarla.
Il silenzio era stato assordante, i rami vuoti e solo il vento a scuoterli, nessuna presenza tra le foglie.Aveva perso Aubrey senza neppure accorgersene.
Purtroppo, per mancanza di coraggio, non era riuscito ad affrontare le scale per andare a trovarlo.
Se solo ne avesse avuto un briciolo per compiere qualche gradino in più.
Sospirò nell'ascoltare il fischio dell'autobus alle proprie spalle. Tenne stretta la borsa e si fece largo tra le persone, guadagnando il solito posto accanto al finestrino.Gli mancava il suo amico. Gli mancava così tanto da fargli desiderare di piangere per ore senza mai smettere. Però, se Aubrey non desiderava più rincontrarlo, l'avrebbe rispettato tenendosi ai bordi della sua vita.
Quando si sedette al proprio banco, lo scroscio di insulti e le cartacce tirate contro di lui riempirono la sua mattinata.
Quasi ne fu grato. Preferiva tenere la mente impegnata in quel tipo di dolore, invece che al male procurato dalla lontananza con il biondo.A metà orario, la porta si spalancò e Steven respirò a pieni polmoni, lanciando un'occhiata storta in direzione della professoressa.
Lei strinse le labbra e fece per parlare, ma il ragazzo l'anticipò.«Sì, ho fatto tardi. Possiamo evitare la solita lagna del cazzo e lasciarmi entrare? Vuole vedermi snocciolare la mia fottuta disgrazia di abitare più sotto, ed elogiare il suo fortunato ceto medio?» disse burbero. Sembrava fosse sul punto di sbottare, ticchettava il piede a terra con rabbia.
La donna lasciò andare il fiato e si limitò a indicare il suo posto con un cenno del mento.
Aaron si accigliò nell'osservare la nuvola torva sulla testa dell'amico, lo sentì borbottare e sedersi a un passo da lui, lanciando malamente la borsa sotto le gambe.«Tutto bene?» sussurrò piano, lasciandosi attirare da quelle iridi pericolose, vedendolo annuire senza però aggiungere nulla.
Da lì a poco, la campanella risuonò nell'aria, le note finali sfiatarono gracchiando robotiche.
Il moro si perse malinconico a guardare fuori.E se non fosse riuscito a ricucire il loro rapporto?
Uscire dalla vita di Aubrey in quel modo sarebbe stato terribile. Lasciarsi nel rancore... quale disastro.
Senza preavviso, un getto di liquido gelido calò su Aaron, facendolo sussultare preso alla sprovvista. I capelli si attaccarono alla fronte, il profumo dolciastro nelle narici gli fece salire la nausea.
Cosa diavolo era successo?«Ops», mormorò un ragazzo agitando un bicchiere di carta, «sono stato così sbadato!» aggiunse con una risata, trascinando nell'ilarità i pochi rimasti in classe.
Il moro si toccò i vestiti, le dita appiccicose e impregnate di quella sostanza. Era ovunque, la sentiva colare nella schiena e finire oltre il bordo dei pantaloni.
Sapeva di dolce, un probabile succo di frutta.
Perché continuavano a tormentarlo?
Cosa ci trovavano di bello nel vedere soffrire un ragazzo innocente?Ingoiò il magone e rivolse loro uno sguardo da sotto le ciglia folte, strinse la mascella e liberò il fiato.
Era stanco.
Davvero stanco di quella situazione.«Siete soltanto dei patetici poveracci che, per dimostrare la vostra grandezza, vi coalizzate in gruppo attaccandovi così alla vostra stupida supremazia», sibilò alzandosi in piedi, «complimenti, tanti contro uno solo. Un vero esempio di maturità» disse battendo le mani, gli schizzi di liquido volarono ovunque.
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Schiavo del Mio amore Malato
General FictionQuando qualcosa si rompe, il più delle volte è impossibile riportarlo alla sua forma originale senza intravedere ancora le sottili crepe della colla, una scalfittura nel materiale, un alone di troppo. Aaron Baker lo sa bene, costretto a lasciare gli...