-Dentro una stanza troppo buia.-

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Una goccia di sudore rotolò sulla fronte e si tuffò verso il basso, un'altra la seguì il secondo successivo.
Corey strizzò le palpebre e prese un po' di respiro, scese giù rovente lungo la gola e tossì forte. Il sibilo prodotto dall'aria asfissiante iniziava a dargli fastidio; prima o poi sarebbe impazzito.

Gemette di dolore e mosse le braccia legate a un tubo dietro la schiena, il ferro caldo gli bruciò la pelle per l'ennesima volta e dovette reprimere una nuova imprecazione.
Roteò gli occhi e fissò la minuscola finestrella sulla parete, ogni tanto poteva osservare i piedi di alcune persone viaggiare sul livello della strada, eppure aveva smesso di gridare da tempo per ricercare la salvezza.

Si chiese se infine sarebbe morto in quel seminterrato sporco, le polveri della stufa a carbone depositate nei polmoni e il corpo dilaniato dallo sforzo di resistere al male dentro le ossa.
Da quanto teneva quella posizione inginocchiata?
Non seppe dirlo.
Riusciva solo a chiedersi per quale ragione si trovasse lì, rinchiuso senza il suo volere.

Si sentiva uno sciocco per non aver prestato maggiore attenzione alla macchina appostata nell'ombra durante gli ultimi periodi. L'aveva difatti vista spesso agli angoli della strada dov'era solito camminare, tuttavia l'immagine sfilava via, coperta da pensieri molto più importanti.
Deglutì un po' di saliva e ripensò ai momenti con Jacob.

Ecco, quello rientrava decisamente in uno dei pensieri interessanti, forse il più interessante di tutti.
Se non avesse avuto così tanto da fare nel mettere a posto i suoi sentimenti, magari si sarebbe accorto dei dettagli stonati nelle sue giornate.
Scosse il capo e qualche altra goccia cadde sul suolo, ormai si era creata una bella macchia scura tra la terra e le mattonelle chiare al di sotto dello strato pesante.

Non poteva dare la colpa a Jacob per la propria stupidità.
Aveva messo un piede in fallo, e adesso ne pagava le conseguenze.
Uno sbuffo d'aria fresca lo avvolse con piacere e la sua testa scattò verso la porta blindata sullo sfondo, il cigolio si propagò in fretta e sembrò colpire ogni tubatura di rame sul soffitto, amplificandone l'intensità.

Gli occhi di Corey scandagliarono il buio, sebbene risultasse difficile distinguere qualcosa oltre la patina di umido depositata sulle sue ciglia.
Alcune persone erano venute durante quei giorni trascorsi, un paio di loro lo avevano costretto a bere, eppure non aveva messo nulla di solido nello stomaco e le budella si torcevano dai crampi della fame.

Discutere con la famiglia sui suoi gusti difficili sin dall'infanzia gli sembrò terribilmente sciocco, e sarebbe volentieri tornato ai pranzi in cui aveva rifiutato un piatto solo per la presenza di un elemento stonato in mezzo a tanti colori.

«Allen.»

Il suo cognome venne pronunciato con derisione, il tono roco raschiava alla fine della gola, probabilmente prodotto dal troppo fumo ingerito, o almeno questo pensò Corey al primo ascolto.
Deglutì ancora, e ancora una volta non ci riuscì per bene, vista la poca presenza di saliva dentro la bocca.
Provò a dire qualcosa, ma uscì soltanto un sibilo sfiatato e dolorante.

Scosse il capo e sbuffò. Non poteva farsi vedere così debole, non davanti a quelle persone per cui non provava altro se non un profondo disgusto.
Avrebbe lottato nonostante tutto, nonostante la situazione disperata, il male in ogni centimetro di muscolo, le lacrime ricacciate a forza indietro per rimanere fedele a se stesso.

«Chi sei?» mormorò e per fortuna riuscì a dare un senso alla sua voce.

Lo sconosciuto rise e si portò vicino, il fascio di luce lo illuminò per metà e Corey poté distinguere i lineamenti duri di un uomo adulto, forse superava la quarantina, a giudicare dal contorno delle rughe attorno agli occhi e dallo sguardo vissuto.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora