Capitolo -5-

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Si pulì gli angoli della bocca con un fazzoletto, riponendolo poi nella tasca del pantalone.
Sarebbe mai stato in grado di tenere qualcosa nello stomaco? Anche la semplice acqua gli si stava rivoltando contro.
Dal suo ultimo discorso con Steven era cambiato qualcosa, scattato nel profondo di entrambi.
Difatti, il maggiore desiderava vederlo sempre meno dentro casa sua durante il giorno, ma lo obbligava a tornare per la notte.

Se possibile, il loro rapporto aveva raggiunto un grado ancora peggiore.
Sospirò e si affacciò allo specchio di una vetrata.
Doveva sembrare perfetto, il solito ragazzo senza problemi. A breve avrebbe incontrato le domestiche giunte per rassettare la casa, portare alcuni cibi e medicine essenziali.
Si trattava di una pratica effettuata una volta al mese, e la sua presenza era necessaria per non destare sospetti, o altrimenti tutta la sua fatica per mantenere il segreto sarebbe andata in frantumi.

Portò i capelli ai lati del volto e pregò che i lividi non si vedessero.
Quelle donne andavano sempre piuttosto di fretta, probabilmente neppure lo avrebbero guardato in faccia per scappare velocemente dalla città natia. Dopotutto, i servi provenivano dai piani più bassi e, una volta raggiunta la cima della città ricca anche solo per lavorare ed essere sfruttati, erano disposti a tutto pur di non scendere di nuovo.

Avanzò lungo la strada, i suoi passi quasi non produssero suoni.
Corrugò la fronte e sollevò lo sguardo di scatto, riconoscendo dei tratti familiari in lontananza.

«Jacob... Jacob!» gridò. Avrebbe riconosciuto la sua fisionomia tra migliaia di persone.

Il ragazzo si bloccò udendo la sua voce e si volse nella sua direzione, gli occhi minacciosi e la bocca serrata.
Una figura estranea. Il dolore lo aveva devastato e reso ancora più scuro di quanto non fosse prima.
Aaron deglutì, trovandosi improvvisamente a corto di parole.
La sua idea di fermarlo non era stata poi così brillante e solo ora se ne rese conto.
Abbassò lo sguardo e afferrò il bordo della propria maglia, roteandola con forza tra le dita.

«Ho visto che hai smesso di farti vedere in giro e così...» si morse le labbra.

Cosa avrebbe potuto aggiungere? Lui stesso era fortunato se poteva uscire qualche volta alla settimana e mostrarsi per le strade.
Jacob sbuffò incrociando le braccia e Aaron riuscì a vedere tutta la tensione percorrere la sua pelle.
Gemette internamente di dolore. Ogni suo angolo di corpo era martoriato, compresa la bocca. La sentiva secca sotto la lingua.

«Come... come sta Corey?» soffiò, ponendo una mano in tasca, accartocciando un vecchio foglietto di istruzioni fornite da Steven.
Non riusciva a tenere le dita ferme.

Più volte aveva pensato di andare a trovarlo e vedere da sé la situazione.
Era il coraggio a mancargli.
Jacob socchiuse le palpebre, mostrandosi ostile come mai aveva fatto vedere prima di quel momento.

«Osi pronunciare il suo nome? Come ti permetti, razza di ricco dei miei coglioni» lo apostrofò quasi ringhiando.
Fu doloroso per Aaron ascoltare quelle parole. Dopotutto, la colpa non era la sua, perché Jacob lo attaccava in quel modo?
Forse, era disposto a prendersela con lui pur di non affrontare le sue responsabilità.

«Sappi che, se dovesse avere bisogno di cure mediche...»

Non riuscì a finire che l'altro lo afferrò per il colletto, sollevandolo alla sua altezza. «Vuoi donarmi la tua pietà, Aaron?» sibilò chiamandolo per nome e non con uno dei soliti nomignoli.

Il moro trattenne il fiato.
Aveva davvero creduto alla loro amicizia e di essere finalmente entrato a far parte di qualcosa?
Illuso.

«Io e Cory non abbiamo bisogno di niente. Pensa a te, piuttosto. Sembri uno scheletro» aggiunse lasciandolo cadere.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora