Capitolo -13-

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Aaron si guardò per l'ennesima volta allo specchio, ravvivando, come meglio poté, i capelli attorno alle guance scavate per tenerle in parte nascoste.
Era trascorso davvero molto tempo dall'ultima volta in cui aveva visto i genitori; quasi stentava a ricordare i loro volti.
Quattro mesi di silenzio?
Sì, si disse, e la data risaliva alla giornata organizzata nella sua città per festeggiare l'ottimo lavoro svolto dal loro ragazzo prodigio.

«Eccolo, il ragazzo prodigio» borbottò mentre tendeva la stoffa della camicia e immaginava altre due persone entrare all'interno e stringersi al suo fianco. Ci sarebbero state di sicuro; avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco.
Sospirò e mosse le spalle per alleggerire la tensione. Suo padre, di tanto in tanto, si era recato lì, ma sua madre non aveva mai messo piede in quel luogo definito da lei: mediocre e tossico.

Come mai, allora, sarebbero giunti entrambi?

Iniziò a sentire l'ansia premere il suo stomaco e fu costretto a prendere generose boccate di fiato per non vomitare. Già immaginava la voce di sua madre pronta a rimbeccarlo e a giudicarlo per il suo aspetto a dir poco orribile.
Avrebbe potuto aggiungere un paio di cuscini sui lati per dare volume al corpo e rimanere immobile, ma così immobile, da sembrare una statua fatta e finita.
Abbassò lo sguardo sulle dita e le vide ossute, la carne ridotta a un sottile strato.
No, nessuno stratagemma poteva risolvere quella situazione.

Sbuffò e rivolse l'attenzione oltre la finestra della cucina, si perse nel fogliame fitto e gli venne da sorridere nostalgico.
Immaginarsi là sopra risultava complicato da riportare alla mente, eppure percepiva ancora il calore del corpo di Aubrey contro il suo e la gelida brina caduta dalle foglie verdi a sfiorare la pelle.

Gli mancava.
Gli mancava così tanto, e il pensare a Steven e alle sue ultime parole pronunciate appesantite da velati sapori minacciosi, gli strappò un singhiozzo senza voce, coperto dalla pressione della mano per ingoiare le lacrime.

-Manca poco-, si ripeté.

Udì il campanello e il fiato si bloccò in fondo alla gola, tuttavia si fece forza e percorse il corridoio, inclinò le labbra in alto in un sorriso plateale e pigiò la maniglia, costretto a scontrarsi con il disgusto malcelato di sua madre. Jonathan, invece, saettò immediatamente sull'aspetto del figlio, e Aaron si sentì spogliato di ogni sicurezza e scosso nel profondo da uno sguardo che niente lasciava all'immaginazione: suo padre aveva barattato parte della maschera imperscrutabile con uno scintillio di preoccupazione.

No, era stato di certo un abbaglio causato dalla troppa stanchezza.

«Venite, accomodatevi pure» esordì Aaron facendosi da parte, scambiando un lieve cenno con le domestiche e l'intramontabile maggiordomo con cui la famiglia si spostava sin da che ne aveva memoria.
Il profumo dei genitori si espanse nella stanza, dolciastro e dai toni piacevoli, e Aaron si perse nel ricordo dei pomeriggi seduto attorno al tavolo in soggiorno, le finestre spalancate per offrire l'entrata al sole di un tiepido pomeriggio.

Presto si sarebbe ricongiunto al suo passato e lasciato alle spalle il periodo più brutto della sua vita, i rimpianti legati a un masso e gettati nelle acque profonde del suo essere con la chiara intenzione di non vederli mai più.
Amanda e Jonathan presero posto sul divano, mentre il figlio preferì accomodarsi su una sedia di fronte a loro, le mani in grembo e la schiena dritta e completamente aderita allo schienale.

«Mi chiedo in che modo questa gente riesca a sopravvivere a un clima così gelido» esordì Amanda scrollando la folta pelliccia dai residui di pioggia, i guanti felpati ben tirati su fino al gomito.

Aaron storse il naso nel sentirla pigiare con forza sulla parola "gente".
Tra quelle persone che lei tanto disprezzava c'erano anche i suoi amici, ragazzi che non meritavano un tale giudizio solo per non essere nati in una zona dove, grazie alla tecnologia, si potevano creare ambienti artificiali e rendere la vita più vivibile.
Ingoiò una frase velenosa sulla punta della lingua e si strinse nelle spalle, un tiepido segno di interesse scoccato alle parole della madre.
Prese un respiro e decise di dare un taglio a quei banali discorsi di circostanza.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora