Capitolo 7.

94 26 26
                                    

Rimango imbambolata di fronte alla sua frase vaga e alquanto superficiale. Perdo il contatto con lui, poco dopo aver percepito il suo polso liberarsi dalla stretta. Rivolgo lo sguardo verso il punto più alto della scala. "Che significa? Perché non puoi spiegarmi?"

Non ricevendo risposta, mi fiondo ancora una volta verso mio fratello, salendo le scale a due a due.

I nostri sguardi si scrutano nuovamente: i suoi occhi sono rigidi, spenti. La mascella è serrata e il corpo rigido.

"Se vuoi un consiglio, ascolta ciò che ti ho detto." Proferisce serio.

"Perché sei così schivo con me?"

Rotea appena gli occhi al cielo, cominciando a spazientirsi.

"Perché circolano voci poco raffinate sul suo conto." Evita palesemente una delle mie domande.

"Ti stai basando unicamente su voci di corridoio Aaron? Davvero?" Alzo un sopracciglio.

Rimane in silenzio e ciò mi permette di captare il rumore dell'auto di papà che raggiunge il giardino.

Mi innervosisco e decido di troncare il discorso. "Come non detto. Discutere con te è inutile, non capisco nemmeno perché ci voglia provare ogni volta."

"Smettila di comportarti come una bambina, Diana! Ti ho solo messa in guardia. Ho le mie ragioni per non dirti perché quel ragazzo non mi piace, devi colpevolizzarmi anche di questo?" Il suo tono di voce si scalda, aumentando di intensità.

Mamma ci fa sapere che lei e papà sono rientrati, urlando dal piano di sotto. Siamo troppo coinvolti nella conversazione per distrarci e risponderle.

"Vorrei almeno sapere un motivo concreto per cui non fidarmi di una persona. Non mi piace dar retta ai pettegolezzi senza avere certezze. E poi avresti dovuto vedere la tua faccia quando l'ho nominato a tavola!" Inesorabilmente finiamo per inveirci contro. "C'è qualcos'altro sotto, non puoi mentire a tua sorella!"

"Pensi davvero di conoscermi? Quando, negli ultimi anni, ti sei interessata alla mia vita? Mi hai sempre e solo dato contro, sfogando tutto il tuo nervosismo addosso a me. Se veramente volessi riallacciare i rapporti mi dedicheresti del tempo, invece sei sempre con le tue amiche e con Yago! Sei tu quella che pensa solo a sé stessa."

Perdo completamente le staffe nell'udire le sue accuse. "Questo è davvero troppo, Aaron! Ho cercato di parlarti, di starti vicina, ma tu non me l'hai mai permesso. Ti sei allontanato all'improvviso e tutto quello che eravamo rimarrà stampato sulle foto negli album di famiglia. Che cosa ti è successo? Perché ti comporti così, cosa ti ho fatto per meritarmi ciò?" Gesticolo animatamente, consapevole di essere nel bel mezzo di una conversazione che non avrà un lieto fine.

Lo vedo scuotere più volte la testa, come se fossi una causa persa. Il suo comportamento mi fa scoppiare in lacrime e mi volto velocemente per correre in camera e restare da sola. Rimango in piedi, la schiena appoggiata alla porta e i palmi sul viso come a nascondere le mie emozioni. Dall'altra parte sento i miei genitori affrettare il passo verso Aaron e iniziare a rimproverarlo per il modo in cui si atteggia. Mi giungono all'orecchio le solite prediche, le solite risposte fredde e distaccate, la discussione che termina con un altro tonfo secco della porta.

Resto in posizione fin quando non sento il cuore tornare calmo e le lacrime asciugarsi appena sulle guance. Prendo lunghi respiri e regolarizzo il battito. Mi siedo al centro del letto con la testa vuota e gli occhi pesanti. Non avverto rumori, nemmeno le voci dei miei genitori. Solo dopo una decina di minuti sento Aaron parlare, presumibilmente al telefono. La sua voce mi rende nervosa, ma le cuffie sono sulla scrivania e le mie gambe non rispondono ai comandi. Non riesco a captare il senso delle frasi, ma solo parole sconnesse: "Lasciala stare", "...Ti avevo avvertito", "...Lei non c'entra".

Ma che diavolo...

Casco a peso morto all'indietro, sbattendo violentemente contro il materasso. Emetto un forte sospiro, cercando di distrarmi. La mia mente raggiunge Tara e Carmen; ci siamo scambiate qualche breve messaggio questa mattina e non ho raccontato nemmeno a loro di ciò che è successo da Yago. Mi sono limitata a rassicurarle e poi non ho calcolato più il cellulare. Non è necessario che lo sappiano, in fondo non comprometterà i miei giorni e non dovrò nascondere un pancione sempre più ingombrante sotto maglioni extra large fra i corridoi dell'università. Rimarrà il piccolo segreto mio e del mancato papà.

Lo sbattere delle nocche contro il legno della porta mi distrae dai miei viaggi. Fingo di non aver sentito bussare e rimango impassibile nella mia posizione. Suppongo sia mamma, così prevedo mentalmente le sue mosse.

Al secondo tentativo mi chiamerà dolcemente per nome, mi parlerà per qualche minuto dall'altra parte della porta e...

La maniglia cigola appena e subito non riconosco il passo e il modo delicato di fare di mamma.

Aaron?!

Mi giro su un fianco, lo sguardo rivolto alla finestra e la schiena alla porta. Lo sento avvicinarsi lentamente al letto ed esitare una volta arrivato a pochi centimetri dal bordo.

Dopo qualche istante di esitazione si accomoda sul piumone. In un primo momento si mette seduto, poi si stende su un fianco e si avvicina alla mia schiena. Da bambini dormivamo così per paura che il mostro nascosto sotto al letto ci dilaniasse all'improvviso. Eravamo convinti che solo dormendo assieme saremmo stati al sicuro, perché "Due contro un mostro non possono esser sconfitti". Era il nostro modo ingenuo di affermare che l'unione fa la forza. Dormivamo abbracciati e ogni paura svaniva: eravamo impavidi dinnanzi al buio e alle creature che prendevano forma nella nostra fantasia.

Percepisco il flebile 'click' dell'interruttore posto sopra la testiera del letto. La mia camera rimane quasi totalmente al buio, illuminata soltanto dai lampioni della strada che si riflettono sul vetro della finestra.

Ora sono una giovane adulta e non temo più il buio. Temo le persone, i sentimenti non corrisposti, il tempo perduto. A volte ho paura di invecchiare.

Il braccio di Aaron mi oltrepassa e si posa sul mio ventre. La sua nuca è appoggiata sul cuscino appena sopra la mia, a causa delle altezze diverse e della mia predisposizione a dormire rannicchiata. Non mi reca disturbo il contatto con lui, benché la rabbia non sia totalmente estinta. Il ricordo di noi due da piccoli mi ha distratta dalla litigata di stasera. Mi sento meno appesantita, ma non del tutto in sesto.

"Pensi che la nostra capanna di legno sia ancora là?" Proferisce sottovoce.

Una domanda inaspettata, estremamente particolare in una situazione del genere. Ci rifletto un po' su e, con un angolo delle labbra appena sollevato, rispondo a voce bassa: "Sì, anche se un po' sgangherata, credo sia ancora in piedi. E' passato molto tempo dall'ultima volta che abbiamo fatto visita ai nonni."

"Ci andiamo? Dopo domani ho il pomeriggio libero. Prendiamo la mia macchina e chiacchieriamo un po'."

La sua richiesta è al limite del surreale, non mi sarei mai aspettata di udire una cosa simile provenire dalle sue labbra.

Annuisco col capo e istintivamente mi avvicino maggiormente con la schiena al suo torso. Lui stringe appena la presa intorno al mio e finiamo per addormentarci entrambi, senza aggiungere altro.


▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Ciao miei bellissimi lettori!

Finalmente un momento dolce tra fratelli. Ci voleva, non credete? Tenetevi pronti per la prossima parte💣

Sarà una totale altalena emotiva.

Baci, appuntamento al prossimo capitolo!

„ After the deal "Where stories live. Discover now