Capitolo 12

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Quando mi resi conto di essere sveglia, non aprii gli occhi, dovevo ancora trovare la capacità per muovere un solo muscolo

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Quando mi resi conto di essere sveglia, non aprii gli occhi, dovevo ancora trovare la capacità per muovere un solo muscolo.

Il letto stranamente era durissimo e sembrava che sul mio viso avessero steso una lastra di marmo dura, appiattendomi naso e bocca contro di essa. Così aprii gli occhi, solo per la curiosità di vedere dove fossi capitata, sperando di non ritrovarmi nuda in un vicolo del Bronx. Ricordavo pochissimo della notte precedente, accidenti!

Mi ritrovai due occhi neri puntati addosso, inespressivi, che sembravano giudicarti nonostante tutta la loro imperturbabilità. Mi ci volle un po' per capire che quelli appartenevano a un peluche di orsetto con un fiocco rosa attorno il collo.

Ricordai di averlo regalato ad Alan quando eravamo piccoli, chissà perché non era in camera sua, ma nella mia.

Nonostante tutto non credevo di aver mai avuto del parquet nella mia stanza, così presi tutta la forza di questo mondo e con un grugnito alzai la testa, sembrava di avere un masso appeso al collo per quanto fosse pesante.

Ero nella stanza di un ragazzo e quello era certo, bastava vedere dei boxer sparsi sul pavimento. Il tutto mi era familiare, ma non c'ero mai stata prima di quel momento. Poi a un tratto girò tutto e mi ricadde la testa all'ingiù, provando un disgustoso senso di vomito.

«Non ti azzardare a vomitare sul mio pavimento», sentii dire da qualcuno con la voce pericolosamente conosciuta dalle mie povere orecchie.

Sbarrai gli occhi appena e mi maledissi mentalmente per aver bevuto così tanto la sera prima.

Frastornata e amareggiata da quei continui incontri, volsi solo lo sguardo verso Seth, che mi guardava dall'alto al basso, stando seduto sul letto.

Perché era così in alto se entrambi eravamo sul letto? Oddio, e se avessimo fatto qualcosa? Non volevo neanche pensarci, me ne sarei pentita amaramente.

Mi guardai meglio attorno e notai come tutta la stanza sembrava più ampia e grande vista da quella prospettiva. Quando me ne resi conto non mi meravigliai più di tanto, ero stesa sul pavimento e probabilmente avevo passato tutta la notte lì.

«Come ci sono finita qui?» domandai, mettendomi seduta con lamenti di dolore per via della schiena e della testa, che rimbombava a ogni minimo rumore.

«Fare il compito del fidanzatino premuroso spetta ad Alan, io ti ho lasciato sul divanetto, ma sei caduta subito». Mi rispose non curante e con un'alzata di spalle, tutto concentrato sul suo telefono nuovo di zecca.

«E non potevi rialzarmi?» Cercai di fermare la mia testa provando a mantenerla con due mani, ma non ne voleva sapere niente, così chiusi gli occhi per qualche secondo.

«Quello che dovevo fare l'ho fatto. E poi nemmeno in un universo parallelo mi sognerei di dormire con te, o peggio, cederti il mio letto». I suoi pollici si muovevano svelti sullo schermo nero di quel marchingegno infernale e non vi scollò gli occhi.

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