Parte 11.2- Para Bellum

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"Eccola, quella è la base!" Indicò Artemis, rivolta verso un punto a poche centinaia di metri. La neve arrivava loro alle ginocchia, facendoli sprofondare ad ogni passo. Law era stato previdente abbastanza da comprare delle giacche pesanti, prima di lasciare Marijoa, ma nemmeno quelle sembravano bastare a tenerli al caldo: il gelo si insinuava attraverso gli spessi strati di vestiti, come se la neve che fioccava ancora davanti ai loro occhi riuscisse a posarsi sui loro polmoni. Dense nubi di condensa si formavano dalle loro labbra ad ogni parola e dai loro nasi ad ogni respiro.
"Con un tempo del genere dubito che Doflamingo abbia inviato qualcuno a controllare, non sarebbe da lui: una chiamata basta e avanza. Dovremmo trovare solo Caesar e la ragazza."
"Pensi opporranno resistenza?" Chiese Law, riprendendo a marciare: non si sentiva più le dita dei piedi. Per quanto il suo stoicismo e il suo incredibile orgoglio gli impedissero di ammetterlo, si sarebbe intrufolato nella stazione scientifica a prescindere dal ruolo più o meno strategico che questa potesse avere.
Artemis si limitò a scuotere le spalle: "Non ne ho idea, francamente. Immagino non abbiano Pacifisti a difenderli, ci avrebbero già individuati e raggiunti. Potrebbero avere qualche arma, ma non sembrano troppo pericolosi. Forse solo il potere di lui..."
"Potere? Non sapevo che anche Caesar fosse fruttato."
"Gas Gas No Mi," commentò Artemis, sfilandosi i guanti invernali e mettendosene un paio da lavoro, robusti e logori. "Controlla le sostanze gassose, potrebbe crearci problemi. O, beh, perlomeno potrebbe farlo se io non sapessi controllare il tempo e tu lo spazio. Se le cose dovessero andare storte vedrò di isolarci, la tua room farà il resto, ma spero non sarà necessario. A proposito, lascia qui armi e bagagli."
"Qui? Nel bel mezzo del niente?"
Artemis annuì distrattamente, controllando l'orologio.
"Cerca solo di tenere la spada e la falce in alto, okay? Non sai mai quando possono servirti."
Seppur con una certa perplessità, Law abbandonò le loro valigie in quello che sembrava il centro del nulla, accatastate le une sulle altre a formare una piccola montagnola su cui le loro lame svettavano come bandiere. Per quanto le richieste strane ed improvvise di Artemis fossero ormai la consuetudine da anni, il Chirurgo non riusciva ancora a farci l'abitudine e, lasciandosi i loro averi alle spalle, si ritrovò a pensare che forse non ce l'avrebbe mai fatta davvero.
Continuando a camminare nella tempesta, i due non poterono fare a meno di rimpiangere la metà di isola su cui erano sbarcati: al gelo di quel luogo entrambi avrebbero preferito mille volte il caldo infernale che avevano attraversato solo poche ore prima, drago sputa-fuoco compreso.
Una volta raggiunto l'ampio portone della base, i viaggiatori si guardarono intorno perplessi per qualche secondo. Era una pesante porta d'acciaio, su cui si intravedeva ancora il nome del vecchio proprietario a grandi caratteri scrostati dalle intemperie: Vegapunk.
Richiamava, in un certo senso, lo stile austero e pratico dell'intera base, il cui rivestimento lucente e ormai seppellito nel ghiaccio aveva salvato i suoi inquilini dal disastro chimico di quattro anni prima. Notarono, inoltre, quello che doveva essere una sorta di campanello e presero a osservarlo incerti come qualcuno scruta il frigorifero alle tre del mattino, chiedendosi cosa l'abbia portato fin lì.
Fu solo dopo una certa esitazione che Artemis si decise a premere il pulsante, ma Law le fermò il braccio a mezz'aria prima che potesse anche solo sfiorarlo.
"Hai intenzione di entrare dalla porta principale? Suonando, per giunta?" Le chiese accigliato.
"Certo che sì." Fu la risposta pacata di lei, in totale contrasto con l'espressione preoccupata che si andava dipingendo a tinte tenui sul viso di lui "In quale altro modo dovremmo entrare in una base sigillata?"
Praticamente nello stesso istante, le pesanti porte di metallo della stazione scientifica si schiusero per farne uscire un minuscolo drappello di strane figure. Indossavano tutti un'uniforme gialla simile ad una muta ed erano equipaggiati con dei fucili che i due intrusi si trovarono presto puntati addosso.
Girandosi lentamente, accerchiati da una decina di questi soldati, si trovarono schiena contro schiena. Pur non vedendosi in volto, Artemis riuscì a percepire il profondo sospiro di Law e lui il sottile sogghigno di lei.
"Sì, sono davanti a noi." Riferì uno degli uomini in giallo ad un Den Den Mushi "Non sembrano armati. Sì, lui è il nuovo Shichibukai, ma lei non sappiamo chi sia, mai vista."
Con la massima discrezione, la ragazza cercò la mano del capitano, intrecciando appena le punte delle dita con le sue.
"Devono essere le guardie di Caesar: immaginavo ne avesse. Cinque a testa, non barare. Stolen Timelapse." sussurrò in un lampo, squarciando l'aria davanti a sé ed estraendone la spada di Law e la sua falce.
La paura o il dolore non fecero nemmeno in tempo a sostituirsi allo stupore, di fronte a quella dimostrazione: la velocità delle due lame fu tale che i corpi dei soldati finirono a circondarli nel giro di pochi istanti. Un singolo fendente a testa fu sufficiente a liberarli da quel primo impiccio.
Mentre si avviavano verso l'interno della base, con un'espressione soddisfatta sul volto, Artemis estrasse da qualche minuto prima anche la borsa con gli esplosivi: erano ormai molti anni che non si trovava a dover adottare le maniere forti in una contrattazione, ma era certa di non essersi dimenticata come fare e che Law avrebbe saputo farlo altrettanto bene.

[One Piece OC] FacelessWhere stories live. Discover now