13. Stringimi

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BLAISE

Sbatto prepotentemente la portiera dell'auto, appena arrivo davanti al campo da basket degli allenamenti. Sono così nervoso che potrei distruggere ogni cosa mi capiti sotto le mani, e la colpa è tutta di mio padre.

Quell'uomo non riesce a far altro che sgridarmi per ogni singola cosa, anche se stupida, ed io non riesco ad evitare di rispondere o di attaccarlo, nonostante ci provi con tutte le mie forze. E le conseguenze sono sempre disastrose.

Tutto è iniziato sabato, quando ho deciso volontariamente di scappare prima dagli allenamenti, per poter uscire con Eira, e questo non è andato giù a mio padre. Ovviamente, non potevo sapere che sarebbe passato al campo a salutarmi o controllarmi, dipende dai punti di vista.

Ed ora, dopo aver passato l'intero fine settimana a discutere con lui, dovrò darci dentro con gli allenamenti sotto il suo controllo giornaliero. Ma dove sono, in carcere? È assurdo.

«Non sbattere la portiera!» grida mio padre, correndo dietro di me per raggiungermi.

«E tu non starmi addosso!» rispondo a tono, senza riuscire a controllare la mia lingua.

«Figlio ingrato.» borbotta, mentre entriamo nel campo, già occupato dai miei compagni di squadra e dal Coach.

Mi dirigo a passi svelti verso lo spogliatoio e sbatto la porta alle mie spalle. Mi lancio, senza nessuna delicatezza, sulla panca di legno lucido, e poso i gomiti sulle ginocchia. Sono davvero troppo nervoso; devo darmi una calmata o potrei fare un casino.

«Ehi, amico, stai bene?» mi chiede Chris, prendendo posto accanto a me. Deve avermi visto entrare come una furia nella palestra, e chissà cosa avrà pensato vedendomi arrivare con mio padre.

Nello spogliatoio ci siamo soltanto noi due ed un altro membro della squadra, che mi osserva curioso. Lo fulmino con lo sguardo, e corre velocemente verso la porta, lasciando me e Chris da soli. Odio provare tutta questa rabbia, so che non mi fa bene, ma è inevitabile. E non sono mai riuscito a controllarmi quando mi sentivo così, già da quando ero più piccolo.

«Potrei stare meglio...» dico alla fine.

«Ho visto che tuo padre ti segue come un segugio... immagino sia per questo.»

Mi alzo dalla panca, e indosso velocemente la divisa della squadra. «Immagini bene. Me la sta facendo pagare per aver saltato un'ora di allenamenti sabato.»

«Il Coach non sa tenere la bocca chiusa.» borbotta Chris, passandosi una mano fra i capelli.

Annuisco, e mi dirigo verso la porta, lasciando il nostro discorso a dissolversi nello spogliatoio, insieme ai miei nervi. Spero che giocare possa allentare un po' tutta la tensione che sento, anche se so che non sarà così.

Appena arrivo in mezzo al campo, il sorriso di Justin mi schernisce, e so già che dirà qualcosa che mi farà arrabbiare sul serio.

«Ti sei portato il paparino?» ridacchia, palleggiando verso il canestro.

«Fatti i cazzi tuoi, Justin!» stringo i pugni lungo i fianchi e vorrei davvero spaccargli il naso.

«Oh, il nuovo arrivato ha bisogno del papà per difendersi dai compagni di squadra cattivi...» continua imperterrito.

Mi avvicino a lui con uno scatto ed afferro il collo della sua maglietta, stringendola con prepotenza. «Ti sembra che abbia bisogno di mio padre per difendermi?» ringhio, mentre l'espressione di Justin cambia radicalmente.

Sento la mia mascella contrarsi e so che i miei occhi sono scurissimi e spaventosi. Quando il mio stato d'animo è questo, cambiano tonalità e mostrano tutto ciò che sento. È impossibile nasconderlo a chi sa vedere.

Oltre i limitiWhere stories live. Discover now