18. Confessioni

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EIRA

Il viaggio in macchina prosegue silenzioso e l'imbarazzo è palpabile. Blaise e Adam non fanno altro che fissarmi attraverso lo specchietto ed io avrei voglia di scomparire.

Non pensavo che mi sarei sentita in questo modo stasera alla partita, pensavo che sarei riuscita a divertirmi e a stare bene, ma non è andata così. Non ho fatto altro che guardarmi intorno e sentirmi inadeguata, un pesce fuor d'acqua.

E non potevo neanche spiegare ad Adam come mi sentivo. Lo conosco appena e mettermi a parlare dei miei problemi non mi sembrava la cosa giusta. Così ho deciso che fosse meglio fingere, che fargli credere che stavo bene fosse la cosa migliore. E ci ero quasi riuscita, la partita era finita, ma poi ho sentito il mondo crollarmi addosso e tutta l'ansia accumulata è sbocciata fuori senza che riuscissi a fermarla.

Ho sentito il respiro mancarmi, il cuore scoppiarmi nel petto e le gambe incapaci di sorreggermi. Adam era così spaventato da essere diventato bianco come uno straccio, nonostante io gli dicessi di stare tranquillo, che era normale e che sapevo controllarlo.

Nonostante questo mi ha trascinata fuori con la forza, sorreggendomi, e mi sono sentita subito meglio. Ho ripreso a respirare regolarmente, ed era come se avessi bisogno di stare lontana dalla gente, di stare sola con me stessa e basta, senza nessuno attorno.

Tutte quelle persone intorno a me mi hanno fatta sentire diversa, come mi sono sentita per tutta la vita, anche se non stavano facendo nulla per farmelo credere. Era tutto nella mia testa ed io ci ho creduto.

Così ho dovuto raccontare qualche dettaglio della mia vita ad Adam, per dargli almeno uno straccio di spiegazione per quello che era appena successo. Se la meritava, e nessuno dei due poteva far finta di niente, ma di dirlo a Blaise non se ne parla.

È sicuramente il giorno più bello della sua vita, ha vinto la sua prima partita ed ha segnato l'ultimo canestro. Non posso permettermi di rovinarglielo.

«È qui, Eira?» mi chiede Adam, distraendomi dai miei pensieri contorti.

«Sì.» mormoro, guardando fuori dal finestrino il mio palazzo.

«Niente male.»

La sua risposta mi fa ridacchiare. «Grazie per il passaggio.» dico poi, aprendo lo sportello. «Buonanotte.»

Un attimo dopo sento sbattere anche la portiera di Blaise, e lui è già accanto a me. «Stiamo un po' insieme.» dice, e la sua non è una domanda.

Io annuisco titubante, mentre ci avviciniamo all'ingresso del mio appartamento. Faccio fatica a muovere le gambe, a camminare, perché averlo accanto mi rende instabile e ansiosa. E non posso evitarlo neanche lo volessi con tutta me stessa.

Blaise è speciale e non serve un genio per capirlo, ma la cosa che mi scombussola di più è l'aver realizzato che lui è speciale per me. Ormai è entrato a far parte della mia vita da un po', e pensarlo lontano da me non mi piace affatto. È come quando ti rendi conto di aver bisogno di una determinata cosa per andare avanti, per continuare a stare bene, e separartene sarebbe come perdere qualcosa di troppo rilevante.

Quindi io non voglio perderlo, e non mi interessa se sono un casino e se ho un nuovo problema da risolvere ogni giorno. Lo voglio accanto a me.

«Mi dici che cosa è successo alla partita?» chiede, senza troppi giri di parole, quando arriviamo davanti alla porta del mio appartamento. E so benissimo che non ha fatto altro che tenersi questa domanda ferma in gola, pronta ad uscire fuori.

«Blaise... non voglio rovinarti questa giornata.» mormoro, prima di aprire la porta. «Sappi solo che sto bene.»

Blaise mi segue nell'appartamento, chiudendosi la porta alle spalle. «Sono stanco di rimandare il giorno delle confessioni. Parliamo oggi, di tutto.»

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