15. Una voce

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BLAISE

Quando metto piede in casa mia, immagino già cosa mi aspetta. Mio padre ancora furioso con me e mia madre preoccupata a morte per la mia assenza. Non le ho dato nessuna spiegazione plausibile, ho soltanto spento il cellulare, per evitare di ricevere chiamate da entrambi.

Non volevo sentire nulla. Né le grida di mio padre, né le lacrime di mia madre per l'ennesimo litigio. Volevo tenerli lontani da me per un po', e volevo tornare a respirare e stare bene. Anche se per poco.

Ed ora che sono di nuovo qui, mi sento male come ogni volta. Mi sento come se volessi scappare di nuovo e perdermi. È una di quelle sensazioni che ti restano incollate addosso e non se ne vanno più. Che ti bruciano sulla pelle, e ti stringono lo stomaco in una morsa. E non puoi fare nulla per cambiare le cose, sarà sempre così. Ti si spezzerà sempre il respiro e ti sentirai sempre morire.

«Dove sei stato?»

È la voce di mia madre a travolgermi come un'onda potentissima, piena di rabbia e preoccupazione.

«Altrove.»

«Blaise, non puoi comportarti così ogni volta che litighi con tuo padre!» mi grida contro. «Devi rispettarlo e devi rispettare me. Lo sai almeno quanto ci siamo preoccupati?»

Sento la rabbia iniziare a ribollirmi nelle vene, e per evitare di dire cose che la farebbero scoppiare in un pianto disperato, decido di allontanarmi da lei.

Salgo le scale di corsa, nonostante lei continui ad urlarmi dietro e seguirmi, finché non giungo in camera mia e mi chiudo la porta alle spalle. Poso la schiena contro il legno della porta e stringo le dita fra i capelli fino a tirarli.

«Blaise... parla con tuo padre, per favore!» grida ancora, con la voce incrinata e fragile. E capisco subito che sta piangendo, che non sopporta più queste situazioni, che prima o poi crollerà, e la colpa sarà la mia. Mi ammazza vederla così, mi ammazza vederla soffrire. E mi ammazza ogni singolo singhiozzo che sfugge dalle sue labbra.

Apro la porta di scatto, e mia madre sta già andando via, con la testa bassa e le mani sul viso. Le corro dietro e le afferro le spalle, voltandola verso di me. Stringo le braccia intorno al suo corpo, e mi sembra una vita dall'ultima volta che l'ho abbracciata. Mi sembra così tanto che neanche lo ricordo.

«Mi dispiace, mamma.» le dico, accarezzandole i capelli. Pensando che questo basti per farla stare meglio, per cambiare le cose.

Lei mi stringe un po', e poi mi osserva. Il viso una maschera di stupore e confusione.

«Non mi abbracci mai.» sussurra. «Che ti succede?»

Bella domanda, la sua. Non so cosa mi succede, so soltanto che c'è una ragazza che mi è entrata nel cuore ed ha risvegliato una parte di me che avevo perso da tempo e che avevo sotterrato. La parte di me che si prende cura degli altri e che si fa aiutare, si fa accudire e si fa stringere. Ha risvegliato una parte di me che ha bisogno di qualcuno vicino per sentirsi meglio e che non esisteva più.

«Ho conosciuto una persona.» le dico soltanto, aumentato i suoi dubbi.

*

«Ciao.» mi saluta Eira, appena entra nella mia auto. Sorride, anche se guardando bene il suo viso sembra piuttosto turbata.

Quando mi ha chiamato, verso l'ora di pranzo, era visibilmente preoccupata. Ha detto che aveva una cosa importante da dirmi e che probabilmente non mi sarebbe piaciuta e che non aveva intenzione di parlamene a telefono. Così ho deciso di andare da lei e portarla a cena, cosicché avremmo potuto parlare liberamente.

«Tutto apposto?» le chiedo, mettendo in moto l'auto. «Mi hai fatto preoccupare oggi al telefono e non ho fatto altro che pensare a quello che avresti dovuto dirmi.»

Oltre i limitiWhere stories live. Discover now