14. Opposti

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EIRA

Quando apro gli occhi, li sento bruciare, e capisco subito che sarà una giornataccia. Non ho praticamente chiuso occhio e la colpa è tutta di quel ragazzo che dorme beatamente sul mio divano.

Pensare a lui in casa mia, che si trova ad un passo da me, non mi ha dato pace, ed ora ne risento pesantemente.

Mi alzo dal letto controvoglia, e mi sforzo di muovere i passi verso la cucina. Purtroppo non posso evitare di andare a lavoro, nonostante ogni parte di me desideri rimettersi sotto le coperte e dormire fino a questa sera.

Appena arrivo, vedo subito Blaise, incastrato nella coperta che gli ho dato. Un braccio esce fuori dal divano e le gambe sono piegate per entrarci tutto intero. In effetti è troppo alto per poter stare sdraiato nel divano piccolissimo che occupa il mio soggiorno.

Mi avvicino ai fornelli e inizio a preparare del caffè, e mentre lo faccio non riesco ad evitare di pensare a ieri sera. Alle braccia di Blaise attorno al mio corpo, alla sua mano stretta alla mia, alle sue parole. In realtà non ha detto nulla, ma l'ho capito subito che c'era qualcosa che lo turbava. Qualcosa che non voleva dirmi per chissà quale strana ragione.

Le mie guance si riscaldano quando penso a lui in quel modo, perché è tutto così strano e dolce e bello. Tra di noi non c'è stato niente, né un bacio, né altro. Non c'è stato niente di più che quel singolo abbraccio. Ma non me ne dispiaccio, anzi mi fa sentire speciale, come riesce a fare lui soltanto.

Non so neanche come mi sia venuto in mente di farlo restare a dormire qui, ma era tardissimo e mi ha detto di essere venuto a piedi. E non so, ero preoccupata e dispiaciuta, e non lo avrei mai mandato via.

Verso il caffè in due tazze, e mi avvicino a Blaise. È sveglio, e mi osserva curioso, con un piccolo sorriso stampato sul volto.

«Buongiorno.» dico, passandogli la tazza.

«Buongiorno a te.» risponde, mettendosi seduto sul divano. «Siediti qui.»

Non me lo faccio ripetere, e mi siedo accanto a lui. Appena lo faccio, sento una strana tensione impossessarsi di me e forse anche di Blaise, che si irrigidisce appena le nostre braccia si sfiorano. Così sorseggio il mio caffè in silenzio.

«Tra poco devo andare a lavoro.» mormoro, dopo qualche secondo.

«Vorrei accompagnarti, ma non ho la macchina con me.»

«Non fa niente, vado con la metropolitana ogni giorno.» sorrido, sorseggiando altro caffè. Ne ho bisogno per svegliarmi.

«Oh, pensavo avessi la macchina.»

Mi incupisco appena sento le sue parole, perché mi rendo conto che lui non sa niente della mia vita, non sa niente della mia famiglia. E mi sento un po' male per questo, soprattutto quando mi ricordo della bugia che gli ho raccontato sui miei genitori. Ma come dici ad una persona che conosci appena, che la tua famiglia è un casino?

«No, non ce l'ho.» mi limito a dire, alzandomi dal divano.

Blaise mi afferra il polso, fermando i miei passi. «Potrei portarti io a lavoro domani.»

Scuoto il capo. «Non ho bisogno dell'autista.»

«Non ho detto questo.» risponde prontamente. «Voglio farlo.»

«No, Blaise.»

So di sembrare dura, ma non voglio essere vista come una persona bisognosa d'aiuto. Sono sempre riuscita a farcela da sola e non mi piace che lui si senta in dovere di fare questo per me.

«Eira, voglio soltanto farti un favore... da amico. La metropolitana non è un mezzo fantastico, diciamo.»

Sbuffo sonoramente, e mi dirigo in bagno, chiudendomi la porta alle spalle. Sciacquo velocemente il viso, per cercare di smorzare il mio nervosismo. Non riesco mai ad accettare l'aiuto di nessuno, perché nessuno ha mai voluto farlo davvero. Ed ora mi risulta impossibile accettare quello di Blaise.

Oltre i limitiWhere stories live. Discover now