capitolo 30

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«eccoci» afferma, tra un affanno e l'altro, senza sciogliere la sua presa intorno alla mia mano. Osservo il suo volto stanco, per via della corsa e la sua fronte, madida di sudore, che si affretta ad asciugare con il dorso della mano, scompigliando poi, di poco, i capelli arruffati.
Distolgo lo sguardo dalla sua impeccabile figura e mi piego in due, con le mani posate sulle ginocchia, riprendendo respiro. Alzo lo sguardo, senza alzarmi in piedi, ed osservo la struttura.
Cosa c'è di speciale qui?
«Un bar?» chiedo confusa, ma lo vedo annuire. Mi alzo in piedi, senza chiedere oltre e lo seguo all'interno.
« Voglio farti conoscere meglio una persona» dice, spalancando la porta d'ingresso, ed osserva dritto dinanzi a sé. Seguo il suo sguardo, sino ad incontrare una dolce ragazza dai lineamenti orientali da un'aria, inspiegabilmente, familiare. La fisso per alcuni secondi, con morbosa insistenza, ma non sembra farci caso e mi rivolge un sorriso. Un sussulto impercettibile scuote il mio corpo e ricambio il sorriso ricordando la provenienza di quel viso conosciuto. C'era anche lei in ospedale.
«Marinette, lei è katami. Una tua amica e collega di lavoro» dice e si volta nella mia direzione. La mia faccia in questo momento dev'essere sicuramente qualcosa di epico, me la immagino.
« Collega di lavoro?» chiedo, attonita, e reprimo la smorfia presente sulle mie labbra. Mi guardo intorno. È un bar molto carino, ma niente di più, non ci vedo niente, nessun ricordo, neanche un frammento.
Rilascio un sospiro e scuoto il capo, allontanando questo senso di impotenza che padroneggia in me.
« Cosa c'é?» la voce di Adrien è calma, rassicurante, come al suo solito.
Afferro la sua mano ed abbozzo un sorriso « Niente, non preoccuparti»
« seguimi» questa volta è katami a parlare, rivolgo su di lei il mio sguardo rivolgendole un sorrisino imbarazzato, prima di stringere la mano che mi sta porgendo.
La tensione si taglia con un coltello. Non sono sicura loro possano sentirla, mi sembrano così rilassati, eppure io mi sento completamente fuori posto, mi sento estraniata dal mondo, perché tutti loro conoscono una parte di me della quale ora neanche io sono al corrente. Mi sento vulnerabile, stretta nei loro pugni, come se la mia vita ora dipendesse da ciò, e fa male dirlo, ma in un certo senso è così.
Non riesco a fidarmi come dovrei, perché in fondo non conosco nessuno di loro, eccetto Adrien, che al momento è l'unica persona che ho avuto occasione di frequentare maggiormente.
Scuoto il capo, ricacciando nella mente quei pensieri e metto su un piccolo sorriso, sperando non risulti più falso del dovuto.
Attraverso il bancone e rivolgo uno sguardo alle spalle, implorando Adrien di venire con me, perché con lui, mi sento meno sola.
Sorride ed annuisce, seguendoci a ruota.
Mi guardo intorno, sul retro del bancone e un sorriso spontaneo prende vita sul mio viso, un sorriso che non riesco a spiegarmi, ma che sento di dover esporre.
Passo un dito sul vetro freddo dei bicchieri, posti ordinatamente all'interno del lavabo e proseguo dritto, osservando scrupolosamente ogni centimetro di quel piccolo spazio.
Mi volto, dando loro le spalle ed osservo le macchine per il caffè, carezzo superficie metallica e traccio il contorno dei tasti e delle leve, ritrovando in esse una certa familiarità.
« vuoi provare?» Katami mi si avvicina, stringe tra le mani un semplice grembiulino rosso, su di esso vi è inciso il marchio del locale. L'osservo spaesata e lascio scivolare lo sguardo sul pavimento, a disagio per quella proposta, e sento le sue mani cingermi il collo. Alzo lo sguardo sorpreso e il suo sorriso, a pochi passi dal mio volto, mi stupisce.
Sistema i miei capelli, dietro il laccio del grembiule ed abbasso lo sguardo sul mio corpo. È carino. Sorrido a mia volta, nonostante la sensazione di disagio che mi attanaglia, non ancora del tutto assopita, ed alzo le mani dinanzi al volto farfugliando delle scuse.
«I-io, meglio di no, non ricordo come si fa»
« Ti farei vedere io Marinette ma so che ne sei perfettamente capace» il sorriso di katami è confortante, e, in questo momento, il mio cuore batte forte. Sono felice di aver nella mia vita delle persone che si fidano di me, meglio ancora di quanto io stessa sappia fare.
Katami mi passa una tazzina, l'afferro, anche se con esitazione, tra le mani sudate e Deglutisco nervosa.
fare un caffè è una cosa da niente, so che lo è, eppure il cuore non smette di martellare nel mio petto, perché in fondo so di esserne capace, ma la paura di fallire, la paura di non essere in grado, insieme a quella di non ritrovare me stessa, bloccano ogni mia possibilità di successo, impedendomi di progredire nella mia ricerca tra i ricordi, che sembrano scivolarmi tra le dita.
Qui non si tratta di un semplice caffè, la mia è una battaglia contro me stessa, che non mi reputo in grado di affrontare, perché mi rifiuto di provare a cercare chi ero, di provare ciò che mi è nuovo, per paura che tutto ciò possa essere semplice vanità.
Stringo la tazza con forza, le nocche delle dita diventano bianche, le mani tremano, il respiro accelera.
Sento la presa allentarsi intorno la porcellana, mentre la vista mi si annebbia, a causa delle lacrime bloccate tra le ciglia, che iniziano la propria discesa contro il mio volto.
Un frastuono si ode nella sala, la tazza è in terra, distrutta in piccoli frammenti distesi sul pavimento, sobbalzo all'indietro, e mentre le voci di Adrien e katami risuonano ovattate alle mie orecchie, un continuo frastuono si ripete nella mia mente.
Due occhi verdi, profondi, immobili in uno sguardo freddo e cupo, mi scrutano in volto.
"Piacere, Adrien" il suo tono è restio, ricordo la freddezza con la quale quelle parole hanno attraversato le sue labbra e chiudo gli occhi per un semplice attimo, mandando giù il groppo che ho in gola. Mi rifiuto di riaprire gli occhi, per non dover affrontare la realtà che mi circonda, mentre il dolore dilania la mia anima corrotta.
« È qui che ci siamo conosciuti?» mormorò tra me e me, i miei occhi sono ancora chiusi, dubito che mi abbiano sentito, ma decido di non riaprirli , per non dover affrontare le loro espressioni.
Perché il suo sguardo, freddo come il ghiaccio, ritorna alla mia mente, e come una stilettata mi colpisce il petto? Non ho visto mai occhi capaci di logorare qualcuno in quel modo. Possibile, in un tempo remoto, me lo abbia rivolto contro? Per quale motivo poi? Non mi conosceva nemmeno, giusto?
Prendo dei respiri profondi, e gli occhi mi si aprono di scatto. Ignoro la preoccupazione dipinta sui loro volti e mi chino sul pavimento per raccogliere, velocemente, i cocci dal parquet. Le mani tremano ancora, per via di quel ricordo improvviso, ma tento di non darlo a vedere. Adrien mi affianca, preoccupato raccogliendo i frammenti di porcellana insieme a me.
« Marinette, che ti prende?» mi chiede, il suo tono è preoccupato e si ferma dal ripulire quel disastro per osservarmi. Sento il suo sguardo bruciarmi sulla pelle, mentre raccolgo i pezzi restanti, più rapidamente del previsto, pur di evitare quello sguardo che provocherebbe nuovamente dolore, come nei ricordi.
«Ahia!» gemo di dolore, lasciando cadere nuovamente in terra il coccio che tenevo tra le mani. Adrien afferra con forza il mio polso, portando la mia mano sotto il suo sguardo e il mio saetta nel suo, spaventato, mentre reprimo un urletto causato dalla sorpresa, ma anche dal lieve pizzicore che il taglio provoca sulla mia pelle. Osservo il sangue caldo colare dall'indice, e un'altra fitta colpisce la mia testa, più forte della precedente, mentre altri ricordi frammentati, si insinuano in me, ripercorrendo come vecchi filmini, dinanzi ai miei occhi.
"Perché allora? Perché mi avete mentito?" questa volta, è la voce di katami a rivivere nella mia mente, la situazione non è chiara, tutto intorno pare essere sfocato, la sua voce è tutto ciò che percepisco.
Mentire? Non capisco, perché avrei dovuto mentirle?
Prendo il capo tra le mani, le stringo contro di esso e strizzo maggiormente gli occhi, mordendomi il labbro, annebbiata da troppe emozioni.
L'immagine del sangue caldo, che scivola via dalla pelle della mia gamba si protende dinanzi a me, mentre continuo a stringere gli occhi, per evitare di vedere ancora, ma senza successo.
"A-Adrien" la mia voce è spezzata dai singhiozzi e dalle lacrime che soffocano le mie parole, mentre imploro di poterlo avere al mio fianco.
Scuoto imperterrita il capo. Ma che sta succedendo? Nella mia mente, una battaglia tra immagini sfocate e ricordi frastagliati prende vita mentre un senso di nausea mi invade. Sono troppe emozioni tutte insieme che non sono ancora pronta ad affrontare, che non mi sento all'altezza di gestire.
«Marinette» la voce calma di Adrien mi riporta alla realtà, mi scuote dolcemente per le spalle, mentre sento i pensieri, nella quale ero assolta, assopirsi chissà dove negli angoli più remoti del mio cervello.
« Cos'hai visto Marinette?» fa un passo in avanti, nella mia direzione, spalanco le labbra per dire qualcosa, ma il silenzio è l'unica cosa udibile, dal momento che le parole mi muoiono in gola, e il ben che minimo suono viene pronunciato dalla mia bocca.
« non lasciarti sopraffare dalla vastità di ricordi sparsi presenti nella mente, riorganizza ogni pezzo e ricrea la tua storia» il suo sorriso è sincero e riprendo a respirare regolarmente, ha ragione lui. Non posso raggiungere conclusioni affrettate. Nella mia mente è presente un puzzle di innumerevoli tasselli sparsi, e solo quando saranno completamente incastrati fra loro, la situazione sarà chiara.
«Adrien...» lo chiamo, con lieve affanno, ma il suo nome, pronunciato, con voce roca, dalle mie labbra risuona più come una domanda incerta. Si volta a guardarmi, senza fare domande.
«Andiamo via» 

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