6. Cotton Candy Kisses

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"Che ci fai qui?" la domanda mi sorge spontanea trovandomelo sullo stipite del mio appartamento

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"Che ci fai qui?" la domanda mi sorge spontanea trovandomelo sullo stipite del mio appartamento. Il mio tono non è affatto amichevole al contrario di ciò che potreste pensare, anzi, è decisamente infastidito. Vorrei solo che se ne andasse.

È passata una settimana dalla mattina in cui mi ha riaccompagnata e lasciata in tutta furia come se fossi l'ultimo scarto di questo mondo. Mentre sul momento non avevo parole da dire, e sembrava che le mie corde vocali fossero fuggite a gambe levate, più ci ho ripensato nel corso della settimana e più la rabbia è salita in me. E giuro, che ho provato con tutta me stessa a non pensarci. Sono andata spesso in spiaggia con Alex, ho lavorato come una matta, e penso di aver terminato qualcosa come dieci serie tv diverse durante la notte. Nonostante tutti questi impegni presi, in ogni singolo momento ripensavo a quei frangenti.

Sono tremendamente arrabbiata. Sì, perché non ritengo affatto giusto il comportamento che lui ha avuto con me. A partire da ciò che ha fatto con i suoi amici, ma terminando con la cosa più grave: non mostrare nemmeno un minimo di gratitudine per averlo aiutato, per aver messo a posto tutto quel disastro e per essere rimasta lì. Niente di niente. Tantomeno una spiegazione su alcuni punti che mi hanno tartassato la mente per tutta la settimana.

Lui.

"Non mi hai ancora ridato la giacca" dice soltanto impassibile, con le mani nelle tasche di un jeans nero e una t-shirt bianca con lo scollo rotondo.

Quando queste parole escono dalla sua bocca non faccio che infastidirmi ancora di più. Una piccola parte di me pensava che fosse venuto qui per scusarsi, ma realizzo che per uno come lui forse non può esserci alcuna speranza.

Senza aspettare che dica altro lo lascio come un idiota sulla porta e vado in fretta in camera, dove la giacca attende nello stesso posto in cui l'avevo lasciata. La prendo al volo e una volta tornata in soggiorno gliela lancio addosso con una grazia che decisamente non mi appartiene. La afferra mentre mi allontano.

"Bene, hai la tua giacca. Ora puoi anche andartene" dico e faccio per girare i tacchi.

"Non sono qui solo per la giacca" dice e per un attimo penso che voglia davvero parlare di quello che è successo. Alzo un sopracciglio e mi volto nuovamente verso di lui, incrociando le braccia sotto al petto. Aspetto che continui. "Dobbiamo andare in un posto per incontrare una persona" conclude. Sono veramente a corto di parole, anzi di speranza. Di nuovo ho riposto troppe speranze. Sono satura.

"Se tu credi veramente che io abbia ancora la minima intenzione di venire con te ti sbagli di grosso" sbraito finalmente, al punto che lui chiude la porta alle sue spalle per evitare che mi senta tutto il palazzo. Siamo soli in casa ora. "Sei solo un ingrato, non ho intenzione di aiutarti a fare nulla" continuo puntandogli il dito.

"Senti" prova a dire lui tenendosi il ponte del naso, come se fosse stufo delle mie polemiche. Come se avesse ragione.

"No, senti tu. Se pensi che quello che è accaduto la settimana scorsa sia una cosa normale e se pensi che ci passerò sopra, hai sbagliato alla grande" puntualizzo. Questa volta è lui ad incrociare le braccia al petto.

StubbornWhere stories live. Discover now