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«Damien. Hey, Damien. Svegliati.» una voce dolce, maschile e calda arrivava alle orecchie di Damien come se li dividessero km, anche se lo aveva appena a 60 cm.
Il moro si mosse nel sonno, alzando un braccio nel vuoto, sperando di colpire Chris.
Il ragazzo, in piedi, lo scosse appena, e Dam diede un altro pugno nel vuoto.
«Vattene, Christopher!» sbottó, con la voce impastata dal sonno.
«Non sono tuo fratello, Damien.
Il moro aprì gli occhi lentamente.
C'era molto buio in camera, ma riuscì a capire si trattava di Elia.
«Elia? Che ore sono?» chiese.
«Le 16:15.» rispose, dopo aver controllato sul cellulare.
«Ah!» rotoló nel letto, credendo di aver abbastanza spazio... ma invece cascó a terra, portandosi con sé le coperte.
Imprecó, prese a parolacce il pavimento e si mise in piedi.
Elia ridacchió, Damien lo fulminó.
«Ti sei fatto male?» gli chiese, accendendo la luce.
«Tu che dici? Cazzo, Sì. Mi sono rotto tutto.»
«Vuoi che ti dia un bacino?» scherzó, anche se effettivamente la voglia di baciarlo c'era per davvero.
«Aih!» si lamentó, massaggiando la schiena nel punto dolorante.
«Elia, senza pensarci, si avvicinó a lui e lo abbracció; da quanto tempo voleva farlo!
Damien era così piccolo, e quasi si perdeva in Elia, che al contrario era alto e muscoloso.
Lo sentiva immobile, se non fosse stato per le mani che gli si erano attaccate alla giacca. Non abbracciava qualcuno da quando era morta sua nonna -aveva 10 anni. Aveva sempre rifiutato ogni tentativo di abbraccio da parte della sua famiglia. Al contrario, aveva accettato quello di Elia, anche se era parecchio a disagio e imbarazzato.
Lui era caldo, era ddolce era bello e non lo infastidiva poi così tanto, come invece aveva fatto nei primissimi giorni.
Damien, che arrivava appena al petto di lui, riusciva a sentire il battito accelerato del castano, pulsare contro il suo orecchio.
«Elia...» disse Damien, alzando lo sguardo.
«Sì, Damien?» il suo battito aumentava ogni secondo in più che passava, così vicino al moro. Lo guardava con quegli occhioni neri, il viso leggermente imbronciato e le mani ancora chiuse a pugno nella giacca.
«Hai il battito accelerato; che cosa hai?» chiuse il labbro inferiore fra i denti, e ciò non aiutò affatto Elia.
«Non ho niente, ma tu... tu sei bellissimo, Damien!»
Adesso anche il cuore di Damien batteva velocemente.

I due ragazzi erano da poco usciti di casa. Non avevano fatto tanta strada, ma già Damien si sentiva male, in mezzo a quelle poche persone che c'erano.
Elia se ne accorse. Si fermó, e fece fermare anche Damien, che teneva le mani in tasca, il cappuccio in testa e lo sguardo basso.
«Cosa succede?»
«Mi sento troppo osservato.» ammise.
«Non ti stavo fissando...» disse Elia.
«Va bene, lo ammetto. Capita che ti guardavo, forse per un po' di secondi, ma...»
«Elia, non sei tu. Con te sto quasi facendo l'abitudine; sono... gli altri.» spiegò, mentre gli occhi cominciavano ad inumidirsi.
Elia si guardó attorno.
«"Gli altri" chi, Damien?»
«Quando ti ho detto che mi fanno tutti schifo, e che dove c'è confusione non ci sono io, non stavo scherzando. Mi sento a disagio.»
«Quindi, non potremmo fare il compito.»
«È per questo che non volevo farlo: Roma è una grande città, in una grande città ci sono molti... umani. Capisci che schifo?»
«Potevi dirlo prima. Non mi sarei arrabbiato con te.» gli sorrise, e lo portó dietro una casa, lontano da possibili "occhi curiosi".
«Possiamo dividerci il lavoro: io faccio le foto, per me non è un problema uscire, anzi. E tu, da casa, ti copi qualche parola sul monumento. Va bene?»
Damien fece spallucce, insicuro.
«No, non va bene. Tu faresti il lavoro più complicato, e io...» si fermó. Spalancó gli occhi, poi esclamò:
«Chris, mio fratello. Lui le avrà sicuramente le fotografie!»
«Perché lui le avrebbe?»
«Perché lui farebbe le foto anche ad un cane. Quando è arrivato qui, con un amico trovato non so dove, ha fatto il tour della città. Se non ha fatto neanche una foto io lo ammazzo!»
Elia ci pensò un po' su.
«Non so... l'idea sarebbe bella, bellissima ma...»
«Non dire che sarebbe come imbrogliare!»
«No, il problema non è questo. È che, dopo, non potremmo più stare assieme. E io voglio passare ancora del tempo con te.»
«No che sono un esperto in materia, ma per "passare del tempo" con qualcuno, non bisogna per forza fare uno stupido compito, lasciato da una stupida professoressa.»
Elia sorrise; due file di denti bianchi e perfetti in messo a due guance arrossate.
«E adesso vieni, voglio farti vedere una cosa!»

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