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«Sei molto riposato, vero Damien?» chiese Georgie, riferendosi alle occhiaie del ragazzo.
«È vero! Da quanto tempo non dormi?» anche Edward si era interessato alle occhiaie di Damien.
Lui alzò le spalle.
«Forse da sei giorni. Ma non saprei dirlo con certezza. Comunque non è una novità, poche volte, in tutta la mia vita, sono riuscito a dormire.» spiegò, con la voce stanca.
«Soffri di insonnia?» chiese Edward.
«Soffro e basta! È questo che puoi fare quando hai una vita di merda, quando pure Dio si diverte a farti del male.»
Lucia rimase a bocca aperta. Quel ragazzo gli faceva tanta tenerezza, da quando lo conosceva non lo aveva mai visto veramente felice.
«Hai voglia di parlare?» propose Edward, e come risposta Damien alzò ancora una volta le spalle.
«A cosa serve parlarne?»
«Parlare aiuta, Damien. Non risolverà i tuoi problemi, ma almeno possiamo aiutarti a superarli.» disse Edward.
Ormai anche Damien sapeva che Edward fosse uno psicologo, e capiva per quale motivo volesse aiutarlo così tanto. Era il suo mestiere, chissà quanti altri casi come lui aveva avuto. Sarebbe stato un gioco da ragazzi.
«Nessuno può aiutarmi. Sono destinato a morire con una vita di merda, solo!»
Elia lo avrebbe abbracciato, baciato e coccolato ma lui lo avrebbe sicuramente respinto, in compagnia della sua famiglia. Ma la tentazione di farlo era tantissima.
«Nessuno muore triste e solo, tutti avremmo il nostro lietofine.» disse Elia, credendo a quelle sue parole.
Ma Damien stava negando con la testa.
«Il lietofine non esiste. È solo il frutto della fantasia di un uomo o di una donna che nella vita ha sofferto molto. La morte di qualcuno a lui caro, una malattia, un matrimonio finito male o tutto questo assieme lo hanno spinto a pensare che, almeno alla fine di quella tortura, avrebbero tirato su almeno un sorriso. Ma la fantasia, appunto, è solo fantasia! Come ho già detto, il lietofine non esiste, e non esisterà mai. E tu, Elia, faresti prima a non credere alle fiabe e ai film, credi alla vita. Vivi, ma fallo consapevole che non tutto va come vuoi tu, che finirai questo tuo lungo percorso non con un sorriso, non con felicità ma solo con tristezza. Riuscirai, tu come me e tutti quanti, ad essere veramente felice solo dopo la morte, quando ormai niente e nessuno potrà più farti del male!» si fermò, osservando lo chock di Elia e della sua famiglia... con uno dei suoi soliti "sorrisi inquinanti", come li definiva Elia, riprese a parlare proprio rivolto al fidanzato.
«Te lo ripeto, Elia, non prenderla come un'offesa: sei troppo ingenuo per avere 17 anni. Hai una visione tutta tua della vita, positiva... fantastica. Ma anche finta, impossibile.» non voleva essere duro con Elia, non voleva farlo diventare come lui, voleva solo fargli vedere come stavano realmente le cose.
«Profondo...» commentò Georgie, sperando di non essere stata troppo fuori luogo.
«Forse dovresti essere tu quello un po' più positivo. La negatività porta solo dispiaceri.» disse Elia, come se la sorella non avesse aperto bocca.
«Non sono negativo, sono realista! La vita fa schifo, non capisco perché alla fine dovrebbe diventare bella, tutto d'un colpo.»
«La vita non fa schifo.» Elia non aveva mai sentito tanta negatività in vita sua, e non era bello sentirlo per la prima volta dal suo fidanzato.
«Hai un tumore, Elia! Dubito che tu abbia mai fumato, bevuto o fatto qualsiasi cosa per meritarti questo maledetto tumore! Lo hai detto tu stesso che fai del bene ma ricevi solo merda! La vita è una di loro: la lodi, e lei ricambia con una malattia.» aveva finito di parlare con la voce tremante e gli occhi lucidi, ed Elia che non sembrava il più felice del mondo. Sembrava aver toccato nel profondo anche Lucia, che guardava il figlio con tristezza... ma forse non era del tutto contraria alle parole del ragazzo.
Elia non disse più nulla, e Damien ebbe la tentazione di prendersi a schiaffi. Era arrabbiato con se stesso e con il padre, ma se la prendeva con Elia che non gli aveva fatto nulla. Era davvero pessimo!
«Scusa.» disse Dam, dopo circa due minuti di silenzio.
«Tendo sempre a scaricare i miei problemi su chi non centra niente.» ammise, prendendosi le sue colpe. Fissava il tavolo con gli occhi appannati, sentendo gli sguardi degli altri su di sé.
Si stava mostrando fragile e triste davanti la famiglia di Elia, e non avrebbe voluto. Ma ormai aveva cominciato, non sarebbe stato facile fermarsi, non per Damien.
«Sei solo stressato.» lo rassicuró Elia, capendo che in circostanze diverse non gli avrebbe mai detto una cosa simile.
Georgie scambió un'occhiata con i suoi genitori, indecisa se rimanere o meno. Si sentiva di troppo, come se fosse a causa sua che Damien non si stesse sfogando come doveva. Si stava tenendo tutto dentro, pensò la ragazza. Ora capiva la voglia che aveva Elia, il primo giorno di scuola, di abbracciarlo e baciarlo.
«Vieni.» aggiunse Elia, porgendogli la sua mano. Dam l'accettó senza nessuna esitazione, e dopo essersi alzato dalla sua sedia andò a sedersi sulle gambe di Elia, nella stessa posizione in cui una mamma tiene il proprio figlio, per cullarlo. Gli teneva una mano, mentre con l'altra stringeva in un pugno la sua felpa.
«Mi hanno sempre odiato. Tutti. Senza motivo.» parlava con la voce così bassa e tremante, che difficilmente capivano cosa stesse dicendo.
«E ci stavo quasi facendo l'abitudine; sta diventando la mia routine.» aggiunse, mentre le lacrime cominciavano a bagnargli le guance.
«Ma essere odiato da mio padre... è peggio! Mi odia, mi guarda come se fossi il suo peggior nemico.»
Elia stava soltanto ascoltando quello che Damien aveva da dire, mentre con una mano gli accarezzava la schiena e con l'altra, una volta liberata dalla presa del fidanzato, gli asciugava le guance dalle lacrime. Lo guardava negli occhi, leggendo ancora una volta il suo dolore attraverso essi.
«Non mi parla da cinque giorni, non ha neanche chiesto perché la professoressa ha chiamato a mia madre, e questa la dice lunga.» un singhiozzo seguì subito dopo le sue parole, e questo fu tutto quello che disse, prima di lasciarsi andare in un lungo pianto, fra le braccia calde e rassicuranti di Elia.
«Avrà bisogno di tempo, forse. Non tutti lo accettano a primo impatto, magari ha solo bisogno di tempo per riflettere.» provò a dire Elia, sperando di non peggiorare la situazione.
Intanto, Edward con la moglie e la figlia, avevano deciso silenziosamente di uscire da quella stanza, per lasciarli da soli. Non era corretto ascoltare i problemi di Damien se lui non voleva, ma non era neanche carino chiedere a loro due di andare in camera di Elia.
Damien non si era nemmeno accorto dello spostamento dei tre, così immerso nelle sue lacrime e nella disperazione. Però si accorse del bacio che Elia gli diede sulla fronte, e dell'altro braccio che si stringeva sulla sua vita. Era così fortunato ad avere un ragazzo come Elia, che si prendeva cura di lui! E credeva che non se lo meritava, che avrebbe dovuto lasciarlo ma, forse perché troppo egoista, non riusciva a farlo, perché se non ci fosse stato lui... con chi altro sarebbe mai stato? Chi lo avrebbe abbracciato? Chi gli avrebbe asciugato le lacrime? E chi non si arrabbiava con lui, dopo che gli aveva detto che aveva una vita orribile!?
«Si sistemerá tutto, devi solo avere pazienza. Ti capisco, è orribile...»
«Non puoi capire: tutti ti amano.» disse Damien. Asciugó gli occhi con le maniche della felpa, si era detto a mente che non doveva più piangere e non lo stava più facendo. Spostando gentilmente le braccia di Elia dal suo corpo, si alzò e si mise di nuovo sulla sedia, accorgendosi solo in quel momento che erano rimasti da soli.
«Non tutti, che tu ci creda o no.»
Damien lo guardò confuso.
«Mio nonno.
Lui era un uomo freddo, duro... non aveva la mia stessa dolcezza. Era vecchio stile. Doveva essere tutto come diceva lui, altrimenti non andava bene. Ma con i suoi nipoti era un'altra persona, completamente. Giocava, scherzava e metteva da parte la sua serietà. Con me giocava anche a calcio, nonostante la sua età e il fatto che odiava quello sport. Mi vedeva il futuro di quella famiglia. Mi voleva bene, e io ne volevo a lui. Però quando gli dissi di me, che sono gay... mi ha guardato con vero e proprio disgusto, poi si è girato e se ne è andato. Senza dirmi nulla. Lo chiamavo, ma non si girava. Da quel giorno fu come se io mi fossi annullato completamente: esisteva Georgie, mia cugina Elisa ma non io. Mio padre, nonché suo figlio, provò in tutti i modi a fargli capire che ero la stessa persona, e non ci riuscì per mesi e mesi... fino a quando, un giorno, mi saluta di nuovo...» Elia si era bloccato, immerso nei suoi ricordi a fissare il vuoto davanti sé, con Damien che lo ascoltava e attendeva la fine di quella storia. Ma non arrivava, così lui fu costretto a chiedergli come andò a finire. Elia gli mostrò un sorriso triste, e disse:
«Morì il giorno dopo, a causa di un infarto improvviso. Aveva appena ripreso a parlarmi, ma poi è morto. Hai ragione su una cosa, Damien: la vita delle volte è dura, ma non fa schifo.» il suo sorriso si era fatto incoraggiante, e chinandosi leggermente prese le mani di Damien con le sue, e gliele bació. Alzò la testa subito dopo, puntando i suoi occhi su quelli del moro.
«Non aspettare niente e nessuno, Damien. Vai da tuo padre e parla con lui, fagli capire che sei assolutamente normale!»
«Non ce la faccio. È troppo... complicato.» si lamentó.
«Lo so. Ti capisco, neanche io sono andato a parlare con mio nonno, lo ha fatto mio padre al posto mio, e mi sono pentito di questa cosa. Avrei dovuto dirglielo io, dirgli che ero lo stesso ragazzo di prima... solo più vero.
Vai da tuo padre. Non posso dirti che si sistemerá tutto adesso, perché non conosco bene tuo padre. Ma a piccoli passi si arriva sempre al traguardo.»
«Vorrei anche solo un po' della tua positività.» ammise Damien sollevandosi dalla sedia, giusto il tanto che gli serviva per avvicinarci ad Elia e abbracciarlo.
«Dici che devo andare a casa? È da un giorno che sono qui.» gli chiese, sperando che la risposta fosse no. Ma sapeva che gli avrebbe detto di fare la cosa giusta.
«Fosse per me ti farei stare settimane intere qui, ma dovresti andare a casa tua, sì. Prova a parlare con lui.»
Damien non rimase deluso da quella risposta soltanto perché se lo aspettava.
«Vieni, dai, ti accompagno alla porta.» disse Elia, mettendosi in piedi. Come detto, gli prese una mano, e assieme arrivarono davanti la porta. Il castano l'aprì, e Damien fece due passi fino a ritrovarsi fuori.
«Vuoi un passaggio? Fa freddo.» gli propose Elia, rabbrividendo.
«No. Più tardi arrivo meglio è.»
«Fammi sapere se riuscirai a parlare con lui. D'accordo?»
Damien annui, e alzandosi in punta di piedi posò le sue labbra su quelle di Elia.
Girandosi, fece tre passi in avanti ma si fermò nuovamente, e tornò a guardare Elia.
«Poco fa, quando ho detto quella cosa sul tumore... ti sei arrabbiato?»
«Mi fanno arrabbiare le tue paranoie senza alcun motivo, Damien!»

Quando arrivò a casa, stavano già cenando. La situazione era quella delle sere precedenti: il padre che lo ignorava, lui che non riusciva a dirgli qualcosa e la madre che lo guardava come si guarda un cucciolo con una zampa rotta.
Prese posto a tavola, suo padre lo fissava silenziosamente aspettando, forse, che il figlio gli dicesse qualcosa... ma fu Lydia a parlare.
«Dove sei stato tutto questo tempo? È da quando è finita scuola che non ti vedo.»
Damien l'avrebbe uccisa. La guardò come per dirle "stai zitta, stupida, così fai capire che ero da Elia" ma rispose soltanto
«Non sono affari tuoi.»
«Ringrazia che te l'ho chiesto io, visto che non è interessato a nessuno.» ribatté la sorella, tornando a mangiare come se non avesse detto nulla.
«Taci!» sbottó il ragazzo.
«Sei stato tu a cominciare, io ti ho solo chiesto dove sei stato tutto questo tempo. Allora, dove sei stato?»
«Sei stupida, Lydia? Ti ho già detto che non sono affari tuoi, ci vuole un genio per capirlo?»
«Devi cominciare a bere più camomilla.»
«E tu a farti un po' più i cazzi tuoi!» da quando il padre non gli parlava, Damien era diventato più scontroso con lei. Ed era per questo che lei continuava ad insistere, sperando che Greg capisse fosse andato dal fidanzato.
«Ragazzi, smettetela!» ordinò Sarah, ormai stufa delle loro liti.
«È lui che deve smetterla. Nonostante tutto io continuo ad interessarmi a lui, ai suoi schifosi sentimenti e a quello che fa. Ma da adesso non gli chiederò più nulla... in fin dei conti, non lo fa neanche suo padre, perché dovrei farlo io!?»
Damien non rispose. Si alzò dalla sedia, tutti credevano stesse andando in camera sua, invece si fermò accanto alla sorella, e approfittando della sua distrazione per darle uno schiaffo in pieno viso. Non lo aveva mai fatto, al massimo le dava spintoni quando erano più piccoli, ma quella volta aveva proprio esagerato. Lei si toccò istantaneamente il punto colpito, ma non esitò ad alzarsi e graffiare una guancia del ffratello con le sue unghie. Fu Chris ad allontanare il fratello dalla sorella, prima che potesse rispondere ancora una volta.
Anche Sarah si era avvicinata ai loro figli, lei stava tenendo Lydia per un braccio; Greg, ancora in silenzio, passò in mezzo a loro e sparì nella scala.

«Dam...» Sarah, dopo aver bussato tante volte senza ottenere risposta, entrò in camera del figlio, preoccupata. Dopo l'accaduto con Lydia, lui era subito andato in camera sua, e da allora non era più uscito.
Quando la donna fu dentro, trovò Damien che cercava qualcosa dentro il suo armadio, in piedi sopra al letto.
«Damien, come stai?»
«Se non ti ho dato il permesso per entrare, ci sarà un motivo: non voglio vedere nessuno.» disse, come se sua madre avesse qualche colpa.
Scese dal letto con in mano una vecchia felpa -probabilmente una che usava per dormire, vista l'ora-, e chiuse le ante dell'armadio con forza.
«Non puoi chiuderti sempre in te stesso, Damien. Devi parlare, e soprattutto non puoi sfogare la tua rabbia su tua sorella.»
«Se lo è meritato! Non può dirmi certe cose...»
«Ti riferisci alla storia di tuo padre? Sì, hai ragione, ha sbagliato a dirtelo... ma tu alzando le mani ancora di più.»
"Ovviamente" pensò lui, impedendo alle lacrime di bagnare le sue guance... ancora una volta.
«Capisco che...»
«Capisci?» aveva alzato la voce Damien, stringendo in un pugno la felpa.
«Come puoi capirmi, tu ? Tuo padre o tua madre ti ha mai odiato solo perché sei lesbica? Che io sappia no, quindi non puoi capirmi, neanche lontanamente!» disse, e senza darle il tempo di aggiungere altro si chiuse in bagno.

Quella sera Damien, oltre ad un bagno caldo, fra lacrime e singhiozzi, fu costretto ad infrangere la promessa fatta ad Elia.

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LONELYOnde histórias criam vida. Descubra agora