°Tributo a George Floyd•

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Immaginavo di camminare per le strade di Minneapolis con le più belle canzoni blues alle orecchie, muovendomi come un vero ballerino pronto per i più grandi talent show televisivi. Era questo che ti rimaneva quando perdevi tutto: l'immaginazione, quella bella, quella che ti fa ridere e ballare sotto la pioggia, quella che ti fa star bene anche quando il capo ti licenzia o quando Qualcuno si diverte a metterti i bastoni fra le ruote. La vita...forse non l'avevo mai contemplata abbastanza, forse non avevo dato abbastanza importanza al bacio sulla fronte di mia figlia, non avevo dato abbastanza importanza alla banconota nel mio portafoglio; ero allegro, e la musica Blues produceva il beat al tempo con i miei passi. Perché dico questo? Perché sono bastati 8 minuti e 46 secondi per uccidermi, per farmi ricordare che a volte l'immaginazione ti rende brutti scherzi, che non importa quanto avanti andiamo nel tempo, no, siamo sempre divisi tra di noi: bianchi e neri, potenti ed impotenti, soppressore e soppresso.
Mi chiamavano il 'gigante gentile' per la mia stazza, me ne ero sempre vantato con gli amici sai quelle cose lì, le pacche sulla spalla, le risate con la birra in mano, una sigaretta accesa e andata via: ne avevo fumate così tante che forse mi ero ridotto anch'io come loro, vivere inconsapevolmente una società razzista e classista, accendermi e spegnermi in un lasso di tempo così piccolo da sembrare infinito...perché per me lo è stato. Ho amato, ho vissuto, ho dato il mio affetto e il mio impegno in ogni cosa, avevo perso il lavoro ma la musica Blues nelle orecchie mai, avevo giocato e riso, pianto e nuotato.

Forse però quegli 8 minuti e 26 secondi potevo risparmiarli.

Era successo tutto in fretta, in un lasso di tempo che sembrò infinito, quando venni circondato da tre poliziotti: avevo pagato un pacchetto di sigarette con una banconota fasulla. Uno di loro mi buttò a terra, non opposi resistenza, i crimini andavano puniti e loro lo avrebbero fatto giustamente: il ginocchio dell'ufficiale si pose sul mio collo, proprio dove il mio respiro mi ricordava che avessi potuto evitare tutto quello, che forse la colpa fosse mia... sarò egoista però perché i crimini come quello da me commesso non avevano bisogno di tutta quella violenza. Più io cercavo di arrivare a respirare nuovamente, si muovevano davanti ai miei occhi tutte le immagini più belle della mia vita: i volti dei miei familiari, dei miei amici, di mia figlia, di mia mamma; volevo solo tornare a casa.

Non opposi resistenza.

Il respiro mancava, gli occhi si inumidivano sempre più velocemente, intorno a me delle persone tenevano il telefonino in mano puntato verso di noi mentre gli altri due poliziotti impedivano loro di intervenire.
"Non riesco a respirare...ho male dappertutto" cercai di sussurrare ma forse l'agente era sordo, avevo affidato la punizione della mia colpa ad un poliziotto poco ragionevole. Cerchi neri cominciarono a sostituire le immagini nitide del mondo esterno, mentre l'immaginazione chiudeva i battenti e immaginai, tra la folla, qualcuno più potente di me, più potente di loro, degli agenti, i quali avrebbero capito la gravità della situazione...perché io non respiravo più.

"Mamma... perfavore".

I miei ultimi pensieri andarono a questa società convinta che le differenze culturali non incidano più sulla quotidianità, che le inclinazioni razziali non possano portare alla morte dei cittadini; a mia figlia che avrebbe dovuto vivere la sua crescita sola, senza un gigante gentile che la proteggesse; alla vita in sé che mi sarebbe mancata, lavorare per soddisfarsi, camminare, giocare e fumare quelle dannate sigarette. E forse allora un po' egoista potrò esserlo: non fate tacere la mia voce un'altra volta, quegli 8 minuti e 26 secondi sono bastati.

°Shakespeare• TAEKOOKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora