Capitolo 18. Precipitare

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Come sempre sto una merda, ma bella. Se volete ammalarvi in ogni situazione, chiamate me. A quanto pare sono una grande esperta.

Votate e sclerate in pace!

***

Il camerino di Yulia era avvolto nella più completa oscurità e l'unico spiraglio di luce proveniva dal corridoio illuminato a giorno.

Sherlock afferrò una lampada ad olio che si trovava su uno scaffale accanto alla porta, e accese la fiammella, sempre restando di fonte a me, con lo sguardo vigile e le orecchie tese. Io deglutii a fatica: nella mia testa avevo ancora ben chiara la figura dell'ombra che si era stagliata lungo le pareti del corridoio. Qualcosa mi disse che non fosse affatto una strana illusione ottica.

La prima cosa che notai nella stanza, fu l'enorme toiletta con uno specchio grandissimo, forse uno dei più grandi che io avessi mai visto in vita mia. Una sedia dal colore perlaceo era accostata al tavolino, dal quale pendeva un cappottino leggero femminile, lasciato lì nella fretta.

Il mio migliore amico strizzò gli occhi, e con una falcata raggiunse la piccola struttura. Tra i bordi dello specchio era incastrata una foto di medie dimensioni, che l'inglese prese analizzandola con estrema attenzione.

Poi, sempre in religioso silenzio, me la porse: -Sono Yulia e suo nonno- mormorai. Lui annuì.

-Sembra che fossero molto vicini- disse mordendosi l'interno della guancia -La foto è datata il 4 giugno 1875, l'anno scorso-

- Pensi che potrebbe essere in qualche modo collegata all'omicidio?- domandai inarcando un sopracciglio. Sherlock Holmes appoggiò la schiena contro il muro e scrollò le spalle, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.

- Non bisogna mai escludere niente. E poi...non le abbiamo ancora fatto alcuna domanda. C'è ancora tempo per fare delle ipotesi o delle supposizioni- spiegò incrociando il suo sguardo con il mio. Lanciai un'ultima occhiata alla fotografia. La ragazza sorrideva (cosa che accentuava ancora di più la sua bellezza) con le mani incrociate sul grembo e seduta su una poltrona. L'uomo intanto dimostrava meno rughe di quanto io ricordassi il giorno della sua morte e poggiava la mano sinistra sulla spalla della nipote.

Sembravano felici.

- Sherlock, tu hai già delle teorie, vero?-

Il ragazzo sbuffò in un vano tentativo di nascondere un sorrisetto:- Anche se ce le avessi, è troppo presto, come ti ho detto già prima- fece scoccandomi un'occhiata indecifrabile.

Presi un respiro profondo cercando di non mostrare il fatto che mi fossi un po' infastidita. Mi voltai e lanciai un veloce sguardo all'ingresso.

E poi la vidi ancora, quell'ombra.

La mia mano si agguantò attorno al polso di Holmes in una stretta ferrea, mentre entrambi osservammo in silenzio la figura scivolare lungo la parete del corridoio. Accanto a me, Sherlock trattenne impercettibilmente il respiro.

- L'hai...l'hai visto anche tu?- balbettai con gli occhi ancora fissi su dove prima avevo visto l'ombra.

- S-sì...sembrava un uomo incappucciato, ma data l'altezza poteva essere anche una donna- biascicò, prima di afferrare la lampada ad olio e correre all'esterno del camerino. Squittii dalla sorpresa.

Indugiai un attimo e mi schiaffeggiai mentalmente e mi affrettai a seguirlo velocemente. I miei stivaletti da passeggio battevano sul pavimento ricoperto interamente da un morbido tappeto scarlatto. Svoltai l'angolo e ben presto il corridoio cambiò radicalmente: il tappeto scomparì, lasciando posto a delle piastrelle lucide. Le pareti si fecero più strette e spoglie di qualunque quadretto o foto.

Mi fermai di fronte a un bivio. Dell'inglese nessuna traccia.

Qualcosa di fronte a me produsse un rumore ferraceo e io ricominciai a correre.

Poi il corridoio finì.

Afferrai la ringhiera della scala che si presentò di fronte a me dopo qualche secondo, e con il braccio libero sollevai il vestito.

Intravidi la corporatura magra e alta di Sherlock in cima alla scala di metallo. Incalzai il salire i gradini e con i tonfi dei miei passi impacciati che risuonavano probabilmente in tutto il teatro, e quando a metà scala la luce forte delle lampade cominciò a scomparire gradualmente, il mio amico si accorse di me.

- Irene! Sbrigati, maledizione!- e sparì oltre una tenda.

Quando finalmente arrivai all'ultimo gradino, mi guardai intorno: il pavimento era costituito da solo delle assi traballanti scure e prossime al marcire. La luce soffusa mi impedì di vedere oltre a due passi di lontananza da me, facendomi strizzare gli occhi e proseguire alla cieca, con solo della musica allegra nelle orecchie che arrivava ovattata.

Scostai il tessuto grezzo della tenda, feci un passo e fu un attimo. Il mio piede toccò il vuoto e io persi l'equilibrio. Mi immaginai a precipitare nel vuoto. Qualcuno mi afferrò il braccio, e prima che io potessi cadere mi ritrovai contro il petto di Sherlock Holmes e il respiro corto.

- Non mi abituerò mai al fatto che tu puoi morire da un momento all'altro, se lasciata senza supervisione- sussurrò senza mai guardarmi gli occhi. Il mio battito si fece più lento.

- Che cos- Sherlock mi tappò la bocca con una mano. Mi fece segno di tacere, e con la lampada ad olio ancora accesa proseguì. I nostri passi scricchiolarono pericolosamente contro le assi.

Lanciò un'occhiata verso il basso:- Siamo esattamente sopra il palco- disse piano. Mi sporsi leggermente. Era così, riuscivo ad intravedere le ballerine che danzavano leggiadre sul palco, ignorando completamente l'esistenza di me e l'inglese.

Ci fermammo di fronte a un parapetto di ferro e fu in quel momento che vidimo di nuovo l'ombra incappucciata, in piedi su una pedana non molto lontana dalla nostra. Nella penombra brillò un coltello e riuscii intravedere il manico, che era di colore bianco, probabilmente osso.

- Cosa sta facendo?- domandai con un filo di voce. La presa di Sherlock si allentò all'istante e lo vidi spalancare gli occhi.

La lama si ritrovò a tagliare una corda, la stessa corda che teneva appeso un sacco pieno di sabbia sopra il palco. Trattenni il respiro.

Holmes mollò definitivamente il mio braccio e lasciando cadere la lampada ad olio tra le mie mani scattò in avanti.

- Sherlock!- il mio grido sovrastò la musica. La figura si voltò verso di noi. Le assi sembrarono spezzarsi sotto il peso dell'inglese e dei granelli di sabbia scivolarono in basso, facendomi trattenere il respiro.

Strinsi ancora di più il manico della lampada, trattendomi dall'urlare.

Poi il coltello tagliò definitivamente la corda.

Sherlock afferrò il mantello dell'uomo.

Il sacco precipitò.

Qualcuno gridò, ma non ero io. Lasciai cadere la lanterna e il suono cristallino del vetro che si infrangeva mi rimbombò nelle orecchie. Le mie mani afferrarono il bordo della balaustra e mi ritrovai a fissare il corpo esanime di una ballerina e il sangue che si espandeva man mano sul pavimento.

- Irene, attenta!- esclamò allora Sherlock guardandomi terrorizzato. Mi accorsi troppo tardi di cosa stava succedendo.

Le assi ricominciarono a ballare pericolosamente e un attimo dopo sentii, per la seconda volta, il vuoto sotto i piedi.

Maledizione.

Sherlock, Lupin e io. Quando qualcosa ritornaWhere stories live. Discover now