Capitolo 18. Piccoli problemi crescono

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Nello stesso istante in cui sentii l'aria fresca attraversarmi i capelli e la consapevolezza di star per cadere nel vuoto, ebbi un deja-vú.

Anni prima, quando stavo per cadere nel Big Ben. Solo che questa volta non c'era Paul per salvarmi.

Annaspai in cerca d'aria e mi appigliai a una tubo di metallo, rimanendo a penzoloni nel vuoto. Le persone sotto di me gridavano, ma io riuscivo solamente a pensare a quella ragazza morta, e che tutto quello non era stato un caso. Mi guardai attorno e notai un'asse ancora  solida e non traballante.

Metà della passerella era crollata e io dovevo ritornare in piedi il più presto possibile.

Qualcosa scricchiola pericolosamente. Serrai le palpebre e cercai di raggiungere l'asse. Allungai la gamba. No, era troppo lontana.
Ripensai come Arsène Lupin si liberava in acrobazie sui tetti, come si calava sui fluviali e poi con uno slancio riusciva a finire sui davanzali di pietra. Dovevo fare la stessa cosa.

Con la forza del corpo, cominciai a far oscillare il busto in avanti e indietro, mentre il tessuto del vestito mi solletica le caviglie. Il corsetto mi opprimeva il petto, impedendomi di riprendere fiato, ma l'idea che anche Sherlock era nella mia stessa situazione, mi fece continuare.

Ancorai entrambe le gambe attorno la trave, e afferrata una corda che pendeva dall'alto, mi spostai a sedere sulla parte ancora integra e sospesa della passerella. Nell'esatto istante nel quale mollai la presa sul metallo, esso si staccò e scivolò giú.

Qualcuno gridò il mio nome. Mi misi a carponi, cercando di strisciare verso il mio migliore amico appeso nell'aria.

-Sherlock!- strillai sporgendo il braccio verso di lui. -Prendi la mia mano!-

Lui non reagì.
Mi sporsi ancora, appoggiando il petto sul legno senza smettere di tendergli la mano.

-Sherlock!- ero disperata. Gli afferrai il polso della mano destra, cercando di tirarlo su. A quel punto sbatté le ciglia e mi guardò. -Irene?-

-Diamine, Sherlock, aiutami!-

La mano che non tenevo lascio la presa, e io urlai, sentendomi trascinare verso il basso.
Poi qualcuno mi afferrò le caviglie, tirandomi di nuovo indietro.

Arsène comparve al mio fianco, e anche lui si distese a pancia in giú afferrando il braccio del nostro amico.
- Al mio tre, dobbiamo tirare, intesi?- biascicò il francese con la fronte mantida di sudore.

-Uno...- strinsi la presa.

-Due...- chiusi gli occhi, sentendo la parte alta del vestito lacerarsi.

-Tre- e a quel punto con tutte le forze che avevamo in corpo, issammo in alto William Sherlock Holmes.
Lo abbracciamo con trasporto, e io versai anche qualche lacrima di liberazione.

Sherlock peró rimase rigido, come se fosse in una specie di trans. Ci fissò con occhi stralunati, e dopo aver scoperto la mano destra chiusa in un pugno, lasciò cadere un coltello a terra.

-La principessa- biascicò prima di svenire tra le braccia di Lupin.

***

Certe volte, quando pensi che qualcosa nella vita non può andare peggio, è meglio non pensare proprio, perché puntualmente succede qualcos'altro.

Fissai l'arma del delitto con il sangue che scorreva veloce nelle vene. Il manico era d'osso nero come la pece, e la lama d'argento brillava sotto la luce che proveniva dal basso. Ciò che attirò maggiormente la mia attenzione fu una croce ortodossa capovolta, intagliata al centro del metallo. Deglutii.

Nell'esatto istante, si sentirono dei passi pesanti sulle scale di ferro, dirette nella nostra direzione.

Io e Arsène ci scambiammo uno sguardo d'intesa, e forse spinti nell'animo da uno strano istinto di sopravvivenza ci fossimo dall'altra parte.
Afferrai il coltello e lo riposi nella tasca interna del mio giacchetto, mentre Lupin si caricava in spalla il nostro amico esanime.

Ci mossimo veloci verso le scale, cercando di ignorare lo scricchiolio del legno sotto ai piedi. Anche i gradini sembravano ballare sotto ai nostri piedi. Una volta di fronte alla porta che conduceva ai camerini, il ragazzo dai capelli corvini si bloccò di colpo, ancora di le sue dita attorno al mio polso.

-Attraversa il corridoio, andando dritta, facendo il giro, per ritrovarti di nuovo in platea. Trova Yulia e parlale.- disse sparando a manetta. Boccheggiai sbattendo le palpebre.

-Lupin...-

Ma non finii la frase, perché le labbra del ragazzo premettero sulle mie per qualche secondo, zittendomi.
Si staccò con un sorrisetto furbo.

-Fidati di me- poi mi fece l'occhiolino. -Sei o non sei la moglie di Monsieur Papon?- e detto questo scomparve dietro le quinte, scavalcando oggetti di scena di tutti i tipi, e rendendosi stretto Holmes.

Sospirai e prima che qualcuno mi notasse, sgusciai nel corridoio, chiudendomi la porta alle spalle.
Ciò che mi circondava era pressapoco uguale a quello che avevo visto con Sherlock neanche una ventina di minuti prima. Sospirai, continuando a camminare.

Poco dopo lanciai un'occhiata al mio petto, trovando il corpetto del vestito leggermente strappato, e io mi affrettai ad abbottonare il giacchetto, nonostante facesse un caldo assurdo. Cercai di ignorare la cosa, andando dritta, senza voltarmi.

Quello che aveva detto Sherlock Holmes prima di svenire...la principessa...aggrottai le sopracciglia.
Sicuramente parlava di me, come il biglietto che avevamo trovato nel carillon.
La mia vita era quindi messa a rischio anche da un uomo incappucciato? Ma allora perché era stato assassinato l'anziano nonno di Yulia? Perché uccidere una ballerina durante le prove? Perché uccidere una ballerina in generale?

Non aveva alcuna spiegazione logica. O meglio, c'era sicuramente, ma io allora non l'avevo ancora capita. Se solo avessi saputo

Affrettai il passo, e dopo aver superato la porta che presumevo portasse in basso, verso l'orchestra, con un slancio mi ritrovai di nuovo tra le ultime file della platea. La donna all'ingresso stava correndo avanti e indietro e appena mi vide, corse verso di me con gli occhi sgranati.

- Signora Papon!- urlò, per poi accasciarsi su una poltroncina.

- Devo raggiungere mia sorella-biascicai stringendo le braccia lungo i fianchi. Attraversai la fila di posti con il cuore in gola. Le altre ballerine se avevano sgombrato il palco, ma c'era solo una ragazza in ginocchio sul corpo inerme della vittima. Piangeva.

Salii gli scalini per arrivare sull'enorme pedana, mentre le luci sul bordo della scena mi illuminavano in pieno. Il mio stomaco si contorse quando vidi la pozza di sangue. Guardai Yulia che con le mani tra i capelli neri, sedeva a terra, mentre la gonna del suo vestito stava diventando praticamente tutta scarlatta.

- Yulia- la chiamai.

Alzò gli occhi lucidi su di me. Era disperata.

- Chi sei?-

- Non ci conosciamo, ma io mi chiamo Irene Adler, e sono una delle ultime persone che ha visto tuo nonno in vita- lanciai un'ultima occhiata sul corpo inerme. -So che non è uno dei momenti migliori, ma dobbiamo parlare-

Mi guardò come se fossi pazza. Io raddrizzai la postura e feci un passo verso di lei. La ragazza indietreggiò, probabilmente terrorizzata.

E a quel punto, le porte del teatro si spalancarono: -Fermi tutti, polizia!-

Ecco, mi riferivo a questo. Tutto può peggiorare, sempre.

Sherlock, Lupin e io. Quando qualcosa ritornaWhere stories live. Discover now