Capitolo sedici.

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Avevamo preso l'abitudine di tornare nelle nostre città d'origine ogni tre settimane.

Questa volta Tancredi però non era con me, ma con i ragazzi a Roma, avevano del lavoro da finire.

Ci saremmo ritrovati tutti a Milano il lunedì e avremmo passato le vacanze di Natale da soli, senza tornare a casa.

Ed io sapevo che le mie sensazioni mi avrebbero portato ad isolarmi.

Non lo vedevo già da qualche giorno.

Sono sparita di mia spontanea volontà.

Avevo paura che qualcosa di sbagliato in me stesse tornando.

Quel qualcosa mi sta divorando dall'interno e non mi da pace.

Questa fredda mattina di un sabato di metà dicembre quasi mi invoglia ad uscire di casa e andare in giro per la città.

Mi vesto velocemente e inizio a studiare modi sicuri per arrivare dove voglio.

Prendo il treno, poi un altro ancora e infine un autobus che mi porta in un posto che non visitavo da tempo.

Marechiaro è l'unico posto dove non ho ricordi condivisi con Tancredi.

Fa freddo, ma è uno dei posti più belli che danno sul mare.

D'inverno è solitario, ma d'estate è ricco di persone che affittano kayak per andare a visitare il parco sommerso della Gaiola, su cui incombe una leggenda sinistra.

La Gaiola è situata al centro del parco sommerso ed è una grande villa, ormai abbandonata.

Questo posto fa parte del 'dopo Tancredi'.

Scendo le varie scalinate e raggiungo la piattaforma artificiale che mi porta sulla scogliera.

Raggiungo, con non poca fatica, la parte più esterna e vicina al mare.

Il vento freddo mi colpisce leggermente il viso.

Non mi siedo sullo scoglio, ma rimango alzata a guardare il mare davanti a me.

È mosso e scuro.

Quasi come il mio umore, decisamente scuro.

Mi guardo intorno inserendo le mani nel giubotto nero che indosso.

Ci sono poche persone sedute, qualche coppia, ma il mio sguardo cade su un ragazzo seduto a qualche centimetro da me con il volto abbassato e il cappuccio della sua felpa nera alzato.

Tiene un quaderno sulle ginocchia incrociate e scrive.

Torno a guardare il mare e chiudo gli occhi, inspirando profondamente.

"Strano che una ragazza dei quartieri alti venga qui, da sola"

Apro gli occhi e mi volto verso la voce.

È il ragazzo incappucciato.

N:"Scusami? Stai parlando con me?"

"Vedi qualcun'altro nei paraggi? Ovviamente parlo con te"

N:"Non sono una ragazza dei quartieri alti... ma ci conosciamo?"

Lo guardo confusa, non riuscendo a distinguere dettagli del suo viso, è come se parlassi ad un'ombra.

Ormai ha smesso di scrivere, ma continua a tenere il volto basso.

"Sai, esistono tante canzoni collegate a questa città" - dice, mentre riposa il quaderno e la penna nel suo zaino nero. - "Ma una che mi è rimasta impressa è 'parlano ma non sanno niente di casa mia' e tu sembri proprio una che non sa niente di casa sua"

Non cogliendo il punto focale della conversazione, faccio per replicare ma il ragazzo riprende a parlare.

"Il tuo continuo flusso di idee, il tuo dilemma Milano-Napoli, la paura di ciò che senti, il fatto che ti spaventano i rapporti umani, la tua paura di fallire, i legami che ti sembrano tutti falsi, la quasi vergogna di viverti il tuo rapporto con Tancredi, ma anche il tuo semplice cercare risposte nei tuoi luoghi preferiti.. se continui così non andrai lontano e la tua mente vincerà di nuovo, è quello che vuoi?"

N:"No, non so come tu faccia a dire tutto questo perché non sai nulla di me e..."

"Si sente nell'aria la tua paura, piccola Luna"

Mi blocco totalmente a quelle parole e capisco che qualcosa non va.

Il ragazzo si alza, non mostrando mai il volto e si volta verso la piattaforma artificiale.

Mentre si incammina per tornare indietro lo sento canticchiare.

"Quando ti ho incontrata facevi la gelosa, il cuore irrequieto e la mente tormentata, la voce del destino, una nota, un fiore, il mondo attorno a me che non aveva colore.."

D'un tratto svanisce tutto.

Lui, Marechiaro e la mia Napoli.

Chiudo gli occhi quasi d'istinto.

Quando li riapro non sono più a Napoli ma a Milano.

Nella mia stanza, nel mio letto.

Tancredi al mio fianco, che dorme sereno e tiene il braccio appoggiato al mio fianco destro.

Gli lascio un bacio sulla guancia e lui per tutta risposta mi stringe a sè, affondando la testa contro la mia spalla.

Sorrido.

Guardo la mia stanza e l'unica cosa che sento è una sensazione di pace.

Persino la mia mente sembra finalmente serena.

N:"Che razza di sogno" - penso.

Mi ritorna in mente il ritmo della canzone.

N:"Abbiamo cantato troppo e non abbiamo più voce."

Silenzio.

Congelato nel tempoWhere stories live. Discover now