Capitolo III

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Quando arrivo a casa devo avere un aspetto orribile: ho preso un autobus totalmente a caso, scalza e bagnata di thè, che mi ha portato dall'altro lato della città per poi prenderne un altro per tornare indietro, fino alla fermata vicino casa. Martha apre la porta di casa mia e strabuzza gli occhi sconvolta, mentre accarezza la testolina di mia sorella che mantiene in braccio.

«Ma cosa diavolo ti è successo?»

«Guarda, lasciamo perdere: un disastro!» dico entrando e salutando la mia sorellina Claire con un bacio sulla fronte, la quale rimane aggrappata al maglione verdastro di Martha.

«Io non ho parole...» sbuffa sconsolata Martha guardandomi entrare.

«È un altro dei miei soliti disastri...»

Il nervosismo s'impossessa di me. Non appena mi rendo conto di essere in un luogo sicuro in cui poter finalmente scaricare la rabbia, «Maledizione!» urlo, tirando un calcio al divano. Quel calcio, dato da scalza e con veemenza, mi fa anche male: altre imprecazioni sfuggono dalla mia boccaccia.

Claire inizia a piagnucolare e, dandomi immediatamente un contegno, la prendo dalle braccia di Martha e la stringo a me: «Perdonami miele, sono una frana» le sussurro all'orecchio. Al suono della mia voce, si placa e poggia la testolina su di me. Mi odio per averla fatta spaventare.

Faccio un cenno a Martha, che attende ancora risposte sul ciglio della porta, e ci accomodiamo sul divano. La mia amica è la persona più paziente che io conosca e l'unica al mondo a sapere tutto, ma proprio tutto di me e ad accettarmi lo stesso per ciò che sono. O meglio: per ciò che sono diventata.

Le spiego dell'ultima rapina e dei Pence, del colloquio che ho avuto, il quale era tenuto proprio dal figlio del proprietario della Villa e che nonostante non stesse andando già benissimo di suo –  il colloquio – ho deciso di rovinarmi completamente anche la più vaga delle mie possibilità rovesciando thè e lanciando scarpe con il tacco nell'ufficio di Connor Pence.

«Dio mio, Olivia, sei stata...fenomenale» dice lei alla fine del mio resoconto, guardandomi con occhi divertiti e preoccupati allo stesso tempo.

«Chiami fenomenale questa pagliacciata? Mio Dio, che figuraccia!» piagnucolo, prendendomi il viso tra le mani.

«Francamente parlando è ovvio che non verrai più richiamata da quelli dell' H.P Editorials e Olivia, credimi quando ti dico che forse è meglio così»

«Già – constato, allontanando le mani dal viso per guardare negli occhi Martha – Sarebbe stato troppo rischioso»

«Molto, Olivia. E non te lo puoi permettere. C'è Claire a cui devi badare. Lei ha solo te adesso»

Sbuffo, lanciandole un'occhiata torva: «Martha, mi sono sempre occupata di lei, senza mai ricevere l'aiuto di mia madre. Quindi...»

«Tesoro – m'interrompe, poggiando una mano calda sulla pelle olivastra del mio braccio – adesso è arrivato il momento di farlo trovando un lavoro onesto»

«Ho desiderato tantissimo e con tutto il mio cuore liberarmi di Iago, della rapine, e dei suoi ricatti solo per poter dare a mia madre e sopratutto a Claire questa maledetta vita onesta e credimi quando ti dico che non voglio affatto che mia sorella cresca come sono cresciuta io»

Le lacrime iniziano a fare capolino, ma decido di ricacciarle indietro, devo essere forte. Non posso più piangermi addosso. Martha mi fissa, comprensiva come sempre.

«Ed è proprio quando finalmente ci riesco» continuo cercando di mantenere un tono di voce neutro: «Quando finalmente ne esco fuori, che succede? Mia madre, per ringraziarmi, mi lascia qui con una bambina di tre anni per andare Dio solo sa dove! Ci ha lasciate qui senza un soldo, senza assicurasi di nulla, senza niente di niente!»

Mi rendo conto di star alzando la voce di qualche ottava di troppo, ma la vista di Claire addormentata e aggrappata a me con la sua piccola mano, che si stringe attorno la stoffa azzurra del mio abito macchiato, mi calma all'istante.

«Troveremo una soluzione. Proprio stamattina Sam mi ha detto che cercano un barista al Mozheart» mi propone in tono pratico Martha, interrompendo il mio flusso sconnesso e disperato di parole con della sana razionalità.

«Cosa?»

«Mi hai sentita. Ti stavo aspettando per dirtelo. Ovviamente è un lavoro part-time, niente di che, ma è qualcosa! Puoi cominciare da lì»

«Oh, Martha» esclamo, cercando di riprendere il controllo di me stessa e della situazione. Mi abbandono con le spalle contro lo schienale del divano, dolcemente, per non svegliare Claire.

«E non dovrai fare nessun colloquio per tua fortuna – aggiunge la mia amica con aria divertita – Sam conosce il proprietario molto bene, metterà una buona parola per te. Vedrai che ti chiameranno per una prova!»

«Grazie. Siete i miei angeli custodi. Non so cosa farei senza di voi!»

Sono commossa. La gentilezza di Martha e del suo compagno, Sam, mi spiazza sempre. Tuttavia, un pensiero si fa strada nella mia testa, rattristendomi di nuovo: «Questo secondo te basterà a tenerli lontani?»

«Intendi... gli assistenti sociali?»

Annuisco in silenzio, piegando gli angoli delle labbra in giù.

«Non saprei, vederti lavorare sarebbe comunque meglio di nulla» si appresta a confortarmi.

«A Claire non mancherà nulla, mai» bisbiglio, rivolta più a me stessa che a lei. Ci lanciamo uno sguardo complice e trovo la forza di abbozzare un sorriso. Forse ha ragione lei, devo essere solamente un po' più fiduciosa.

«Ora, se non ti dispiace, va' a darti una ripulita. Sei inguardabile e puzzi di thè!» esclama Martha, distogliendomi dai pensieri, e ci scappa una risatina.

«Hai ragione» rispondo divertita e, porgendole Claire, mi alzo e mi dirigo verso il bagno. Ancora una volta, la speranza sembra di nuovo volersi affacciare timidamente nella mia vita.

La doccia lava via ogni traccia di sporco, di incertezza. Il calore mi rilassa. Quando esco, indosso la mia morbida felpa, i pantaloni della tuta e raccolgo i capelli in una coda alta, buttando il mio puzzolente vestito azzurro nel cesto della biancheria sporca. Mi infilo le mie sobrie pantofole pelose, maledicendo tra me e me i tacchi indossati poche ore prima e finiti chissà dove. Scendo di sotto e vedo Claire dormire nella sua sdraio a dondolo, appoggiata sul pavimento, accanto al divano. È così dolce in quella soffice copertina rosa che l'avvolge. Martha si è occupata di metterla a dormire ed è andata via, lasciandomi alla mia doccia. Mi chino sulla mia sorellina e le accarezzo dolcemente la guancia paffuta.

«Amore mio» le sussurro dolcemente, incantandomi a guardarla. Raccolgo i suoi giocattoli sparsi per terra quando– all'improvviso – sento il campanello di casa suonare. Fuori è scesa la sera e il cielo si è tinto di azzurro scuro.

Martha. Avrà sicuramente dimenticato qualcosa.

«Arrivo» dico rivolta alla porta e mi incammino per andare ad aprire.

«Cos'hai dimenticato questa vol–»

Quando apro il portone di casa, rimango pietrificata sulla soglia. Il peluche di Claire, che avevo appena raccolto per metterlo a posto, mi sfugge dalle mani e cade ai suoi piedi.

Sbatto le palpebre incredula e dopo un paio di attimi che mi sembrano eterni trovo il coraggio di parlare all'uomo difronte a me: «Signor Pence, ma lei cosa ci fa qui?»

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