Capitolo V

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«Pronto?»

«Sei una stronza Olivia!» sbraita Iago dall'altro capo del telefono.

«Si può sapere cosa diavolo vuoi a quest'ora?» sbotto in risposta, mentre Iago parla in tono minaccioso, scandendo ogni parola in maniera glaciale: «Mi hanno appena informato che Connor Pence è stato a casa tua e tu mi chiedi cosa voglio?»

«Mi fai anche spiare, Iago? Non devi preoccuparti di lui» gli rispondo con un tono di voce fermo, ma sotto sotto non ci credo neanche io.

«Non devo preoccuparmi di lui?» ripete.

Stringo con più forza il telefono tra le mani: «Non sono così scema da mettere in pericolo me, te e la banda. Ci siamo dentro tutti!»

«Puoi spiegarmi cosa ci faceva il figlio di Harnold Pence a casa tua o devo venire direttamente lì a...» tuona lui.

Mi alzo in piedi e mi avvicino alla finestra del soggiorno. Gli faccio un breve resoconto, fissando il vetro con occhi vuoti, il mio tono di voce è stanco. Gli racconto mia madre, del lavoro, della proposta vantaggiosa di Connor. Iago ascolta tutto il mio discorso in silenzio, senza mai stranamente interrompermi.

«È la storia più assurda che io abbia mai sentito. Non fare alcun passo falso, bambina, e ricorda che ho occhi e mani ovunque» mi dice alla fine.

Le sue parole mi lasciano sfuggire un sospiro: «Me ne ricorderò»

Senza aggiungere altro, Iago riattacca la telefonata e rimango a fissare il giardino buio fuori dalla finestra, con le sue minacce che mi riecheggiano in testa.

💎

Infilo degli stivali con il tacco, afferro gli occhiali da sole e la borsa e mi precipito giù per le scale non appena mi rendo conto dell'ora. È passata più di una settimana da quando ho iniziato a lavorare per la H.P Editorials e non posso permettermi di arrivare tardi. Sono stata affidata ad un giovane copywriter e il mio lavoro è abbastanza ripetitivo: fotocopio, correggo e revisiono bozze e preparo caffè. Soprattutto caffè. Ma non mi lamento: il mio nuovo lavoro, a differenza del precedente, mi lascia parecchio tempo libero da dedicare ai corsi all'università e allo studio. A differenza di qualche settimana fa, sopratutto, uso le notti per dormire. Afferro il passeggino di Claire e la infilo dentro con cura. Controllo un'altra volta di aver preso tutto ed esco di casa. Pochi metri prima dell'ufficio, mi fermo all' asilo nido, lascio lì Claire e proseguo a passo spedito verso il palazzo di vetro.

Salendo le scale, diretta al mio piano,  incrocio per la prima volta, da quando è stato a casa mia, Connor Pence. Ci salutiamo frettolosamente con un cenno del capo ed entrambi ci dirigiamo alle nostre postazioni di lavoro: lui nell'ufficio del vicedirettore, io in quello del copywriter.

Appena entro, Micheal alza gli occhi dalla testiera del computer e mi saluta calorosamente: «Buongiorno Olivia!»

«Buongiorno a te!» gli dico e appoggio un bicchiere pieno di cappuccino sulla sua scrivania, insieme ad un sacchetto di carta. Sono passata dal mio amatissimo bar sotto casa, il Dalì, e l'ho pensato vedendo quei croissant ripieni di crema alle fragole appeni sfornati.

«Ma non dovevi, cara!» fa lui con un sorriso a trentadue denti, mentre apre il sacchetto.

«La colazione è il pasto più importante della giornata»

«Mi vizi, tesoro»

«Questo ed altro per il copywriter più figo dell'ufficio» dico in tono scherzoso.

«Non adularmi» risponde Micheal «O almeno, non così presto! Ti ho lasciato un bel faldone di documenti da revisionare sulla scrivania»

Mi giro e noto la pila di carte posta al centro della mia scrivania. Alzo gli occhi al cielo:  «Sì, è ufficiale: ti odio».

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