Capitolo XXI

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Il mattino dopo sono sdraiata in maniera scomposta sul letto, con le gambe poggiate alla parete. Non ho avuto neanche la forza di scendere di sotto per la colazione, nonostante gli incoraggiamenti di Talisia. Alla fine, si è arresa. Ha capito che ciò che mi serviva era essere lasciata da sola ad affrontare la fase acuta del dolore ed è andata ad allenarsi in palestra, nonostante la mattinata libera.

Con le cuffie nelle orecchie, connesse ad un vecchio iPod che ho rimediato qui, alterno musica strappalacrime a canzoni rock, a seconda dell'umore. Se ho voglia di spaccare il naso a Connor Smells Like Teen Spirit fa da colonna sonora alla scena che mi ricreo nella mente ma mi basta preme il tasto play su un qualsiasi brano di Whitney Houston per ricominciare ad autocommiserarmi.

Mentre il mio umore oscillante raggiunge il picco massimo della rabbia, con First Date in sottofondo, due colpi secchi dati alla porta d'ingresso disturbano il mio ascolto. Mi trascino verso la porta pigramente, infastidita dal fatto di essermi dovuta muovere dal letto per colpa di...Connor.

«Ancora tu» sbuffo quando apro la porta e me lo ritrovo davanti, con un braccio poggiato alla parete e una mano  ferma sullo stipite della porta che m'impedisce di chiudergliela in faccia come meriterebbe.

«Olivia, aspetta!» implora inserendo un piede nella fessura dell'uscio.

«Vattene!» urlo, spingendo con forza. È tutto invano dal momento che, con il minimo sforzo, Connor apre comunque la porta: «Ti devo riferire una cosa importante...»

«Non m'interessa»

Connor entra dentro la stanza, ma gli do le spalle ostinata, trascinandomi verso la mia camera da letto senza aggiungere una singola parola. Lui mi insegue, pregandomi di ascoltarlo: «Dove vai? Fermati!»

Mi blocco in mezzo al mio piccolo soggiorno, tappezzato da una orribile moquette marroncina: «Non mi va di ascoltare Connor, fammi il favore di uscire. Voglio stare sola»

Lui  mi afferra un polso, facendomi girare ed impedendomi di continuare a voltargli le spalle: «È una cosa urgente, non sarei qui altrimenti»

«Infatti, lungi da te chiedere scusa per il pezzo di merda che sei» sbotto, sarcasticamente irritata.

Come al solito, lui non fa una piega dinanzi al mio furore. Si limita a mollare la presa dal mio braccio e a fare un passo indietro, poi a voce bassa aggiunge: «Sono qui per dirti che hai visite. Ti aspetto fuori, se hai intenzione di venire. Hai dieci minuti»

Sgrano gli occhi dalla sorpresa: visite?
Il pensiero di ricevere qualcuno, dopo mesi rinchiusa in questa opprimente torre d'avorio spiazza via tutto il resto: la rabbia, la depressione, la tristezza. Chi si trova dall'altra parte ha più importanza.

«Oh, va bene...»  dico solamente, mentre mi stringo del cardigan color panna a disagio.

Connor mi fa un cenno d'intesa con la  testa ed esce fuori dalla stanza girando i tacchi.

«Ho delle visite» mi ripeto piano, una volta rimasta sola. Ho come l'impressione che pronunciarlo lo renda reale e non un frutto della mia fervida immaginazione.

💎

Mi porta per la prima volta, dopo mesi, fuori dal palazzo della Centrale. Nonostante io sia terribilmente curiosa di sapere dove e da chi mi stia portando, non spiccico una parola durante tutto il viaggio in macchina.

Passando per il fitto bosco che circonda la Centrale, arriviamo in un piccolo borgo. È minuscolo, ma caratteristico: le case hanno i tetti spioventi e le mura pallide e le vie del centro sono strette e tortuose. Credo di essere in una piccola cittadina di montagna, spersa chissà dove. Connor parcheggia l'auto nera metallizzata difronte ad un piccolo bar, su una strada laterale del centro, compiendo le manovre in religioso silenzio.

OLIVIA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora