Capitolo IX

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Le mani mi tremano leggermente ma trovo subito la lucidità necessaria per poggiare le carte sul tavolo e annunciare a tutti i giocatori  la conclusione della serata. «È stato un piacere giocare con voi, signori»  dico congedandomi per inseguire Connor, il quale è sparito tra la folla del locale voltandomi le spalle, senza darmi alcuna spiegazione, senza un cenno o un saluto. Nella mia testa iniziano a prendere vita una miriade di domande. Nessuna di loro ha una risposta e tutte finiscono con il chiedersi se sono nei guai. Probabile.

Trovo Connor seduto ad un tavolo, in compagnia di un bicchiere di whiskey.L'occhio mi cade sul suo smoking nero: è possibile che sia più elegante del solito o è un mia impressione?

Anche lui sembra studiarmi attentamente, tant'è che ci scrutiamo per qualche secondo in silenzio. Sono in piedi dinanzi a lui e non so da dove cominciare. La situazione mi sembra al quanto surreale ma appena schiudo le labbra per parlargli, lui m'interrompe poggiandosi un dito sulle labbra.

«Non qui» mi ammonisce.

«Allora seguimi» rispondo in tono risoluto.

Ho bisogno di risposte, non posso aspettare. Il cuore mi martella nel petto dall'ansia e ho i palmi delle mani sudati. Cerco di non dare nell'occhio a causa della mia agitazione e faccio cenno a Connor di seguirmi. Senza aggiungere altro, posa il bicchiere sul tavolo e si incammina dopo di me. Dopo esserci fatti largo tra la folla delirante e ubriaca, lo spingo in una saletta privata posta sul retro.

Mi richiudo la porta alle spalle, siamo finalmente soli. Mi guarda con un espressione furibonda mentre cammina avanti e indietro per la stanza. Lo vedo togliersi la giacca e lanciarla su una sedia.

«Connor» inizio a dire ma il suo andirivieni non mi aiuta.

«Calmati, diamine!» sbotto.

Lui si blocca all'istante: «Fammi capire: è una settimana che ti cerco inutilmente per tutto l'ufficio....e ti ritrovo qui?»

«Perché sei così arrabbiato?»

«Perché sono così arrabbiato?» ripete, incredulo.

Lo vedo incamminarsi verso di me ed è un niente che me lo ritrovo addosso, i nostri petti schiacciati l'uno contro l'altro. Con una lieve spinta, mi ritrovo di spalle al muro, sovrastata dal suo corpo.

«Sono arrabbiato perchè è tutta la settimana che sogno di farlo, ma tu non ti sei fatta trovare» mi sussurra all'orecchio.

Basta quella semplice frase a far crollare la mia rete di certezze e a destabilizzarmi. È come se nel profondo stessi aspettando solo questo: una banale conferma, la più stupida, la più scontata, la più immediata. Cavolo, Olivia. Non hai proprio un briciolo di autocontrollo.

Cerco disperatamente le sue labbra e quando le trovo, queste si poggiano voracemente sulle mie. Entrambe si schiudono all'unisono e si trascinano in un bacio disperato, desiderato, famelico. È come se tutto ciò che è successo tra noi avesse da sempre avuto come fine ultimo questo: il mio corpo contro il suo, le sue labbra sulle mie.

Sento le sue mani spostarsi, non ha più i palmi poggiati sulla parete ai lati della mia tasta, adesso sono scese sul mio corpo. Le sento stringermi la vita, ricadere sui fianchi ed esplorare con il tatto ogni centimetro di me. Mi  afferra la coscia lasciata scoperta dallo spacco del vestito e io automaticamente la sollevo, premendola sul suo fianco.  La sua mano indugia ancora sulla pelle delle mie gambe nude mentre i nostri corpi si spingono contro il muro, cercandosi senza sosta. Tutto ciò non ha senso, ma non mi sazia. Sono sopraffatta.

Connor si arrampica con le mani sull'ampia scollatura del mio vestito ed afferra il mio seno da sopra la stoffa. Posa le labbra nell'incavo del mio collo, succhiando avidamente la mia pelle. Ho il respiro affannoso e il fiato corto.

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