L'immortale

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La prima cosa che avvertì come riprese conoscenza fu che l'aria che gli entrava nelle narici era pesante e gli raschiava i polmoni. Diede un colpo di tosse e si schiarì la voce, sbattendo le palpebre e guardandosi intorno intimorito.

Era notte e faceva freddo, così si strinse nel soprabito. Riuscì a intravedere che il cielo notturno era nuvoloso, non si vedevano stelle, e del nevischio mezzo squagliato era ammucchiato agli angoli della strada come se avesse smesso di nevicare solo da qualche ora. Si trovava in una stretta via poco illuminata, ma poteva vedere la debole luce di un lampione venire da un angolo con la via principale poco più avanti, grazie a cui poteva distinguere nella penombra le tipiche casette a mattoni rossi a schiera, caratteristiche del diciannovesimo secolo.

Il viottolo in cui si trovava era piuttosto squallido, dai radi lampioni che emanavano una luce giallastra e tremolante allungando le ombre sulla strada. Poteva vedere dei sacchi di carbone buttati sul marciapiede e delle bottiglie rotte ai margini della via, i cocci luccicavano alla fievole luce dei lampioncini in ferro battuto. Il freddo gli entrò nelle ossa nonostante il soprabito, e come respirava si alzava dalla sua bocca un piccolo sbuffo di condensa.

Sino a quel momento aveva creduto che le simulazioni dell'Accademia fossero realistiche, ma capì subito che non era così. Le simulazioni non influivano sulla temperatura corporea, non gli era mai capitato di tremare dal freddo durante l'addestramento, e non aveva mai riflettuto sul fatto che l'aria della Londra in piena rivoluzione industriale potesse essere carica di fuliggine e metalli pesanti, eppure ora l'ovvietà di questo particolare era tanto evidente che lo grattava dentro.

Si frugò in tasca, perché aveva letto nel rapporto che gli avrebbero fornito del salbutamolo, ma allora non aveva riflettuto sul perché. Ne prese una pasticca e chiuse gli occhi in attesa che facesse effetto. Si sentì immediatamente meglio e prese una bella boccata d'aria gelida.

“Eccoti finalmente! Pensavo saresti arrivato quattro minuti fa. L'Accademia a volte dà le informazioni tutte sballate...”

Davide si voltò verso la fine del vicolo, e vide la fonte della voce. C'era una figura, all'angolo della strada, che attendeva sotto l'ultimo lampione. Ci mise qualche secondo a capire di chi si trattava, poi si diede dello stupido.

Cassio stava in piedi a pochi passi di distanza, e sembrava molto diverso dal ragazzo che aveva visto solo pochi secondi prima. Tanto per cominciare, non era conciato come un negozio di caramelle. Sembrava integrato nell'ambiente in cui si trovava, con il suo soprabito scuro, il cappello sotto cui si intravedevano dei capelli castani, e appoggiato a un lungo bastone da passeggio.

L'abbigliamento però non costituiva la differenza più grande rispetto al ragazzo che aveva visto nel futuro. La differenza più grande era che mentre pochi secondi prima gli era sembrato impostato, come se non sapesse bene come comportarsi, le spalle rigide e l'espressione incerta, ora era del tutto a suo agio. Lo guardava con una complicità che lasciò Davide senza parole per qualche attimo, un sorriso sghembo e un'aria rilassata che donava al suo viso un aspetto più sbarazzino.

Nonostante questa enorme differenza, la figura davanti a lui sembrava identica a qualche attimo prima, a diversi secoli dopo. La corporatura, i tratti del volto, la linea affilata della mascella, l'intensità dello sguardo, nulla di questo era cambiato in quasi cinquecento anni. Davide si sentì esposto davanti a quel paio di occhi ambrati, come se vedessero più di quello che lui era disposto a mostrare.

“Beh, non mi saluti?” disse, venendogli incontro. Davide notò che aveva un fagotto sotto al braccio che non portava il bastone, ma non lo interrogò a riguardo, non voleva dare l'impressione di essere un pettegolo proprio il primo giorno.

“Scusa, uhm, ciao,” mormorò, mentre l'immortale gli girava intorno osservandolo come se stesse cercando qualcosa in particolare.

“Grazie al cielo ho portato questo,” gli disse, porgendogli il fagotto che teneva sotto braccio. “Chi ha fatto quel soprabito? Dovrebbero arrestarlo!”

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